L’idea per questa intervista mi è venuta nel momento in cui Francesco Pacifico, descrivendo i rapporti di forza all’interno del Tascabile durante una lezione dell’omonima scuola, ha detto che Elisa Cuter era una “dirtbag leftist”. Mi si sono drizzate subito le orecchie.
La dirtbag left, ambiente politico a cui sento di appartenere, è un orientamento politico della sinistra mondiale terminally online, nato al centro dell’impero, negli USA, che utilizza una postura disperata, volgare e provocatoria per portare avanti il proprio impellente marxismo con un grande e paraculo populismo.
È nato con un podcast (sigh!) nel 2016, Chapo Trap House, e ora ha vari interpreti, che, come di solito succede in questo ambiente, non sanno organizzarsi e quindi si disperdono nell’etere o fanno altro.
In Italia non ha mai avuto la diffusione che ha avuto negli Stati Uniti, ma i suoi pochi aficionados, come cellule dormienti, sono ovunque, capita che spesso scrivano sul Tascabile.
Elisa Cuter, per questo, volente ma più nolente, ne è una sua ispiratrice e fautrice.
Mai incontrata, mai neanche vista, ho deciso che, solo per quella definizione, dovevo diventare suo amico, ho fallito per coerenza con la rubrica.
Elisa Cuter ha visto il sol dell’avvenire, c’è da capire se ironicamente o no.
Perché ti sei laureata con una tesi su Adorno?
Gertrude Koch è una studiosa che adoro: si è laureata dopo i quarant’anni ed è poi diventata una figura di spicco nell’accademia. Lei, insieme a Casetti e pochi altri, fa parte del pantheon della teoria del cinema. Koch proviene dalla tradizione adorniana, e questo mi ha ispirata. Lavorare con Adorno mi sembrava un modo più filosofico di fare cinema. Sentivo di non avere molto da dire sul linguaggio cinematografico in sé, preferivo usarlo come pretesto per ragionare su altro.
La mia tesi di dottorato, infatti, affronta il tema del precariato cognitivo e delle sue rappresentazioni nel cinema europeo contemporaneo. Come riflessione di filosofia politica funziona molto bene, ma per quanto riguarda l’aspetto propriamente cinematografico – l’analisi del linguaggio – i film che ho analizzato sono opere piccole, che parlano di personaggi spiantati, con una dimensione meta-cinematografica. Non sono certo i miei film preferiti in senso assoluto, ma mi interessano come sintomi sociali.
Non avendo fatto la triennale in cinema mi mancano un sacco di basi. Ognuno fa il suo.
Ma ingegneria del cinema, cosa facevi esattamente?
I miei amici, ossia persone più brave di me, sanno programmare bene, sanno usare Blender, c’erano pochi esami di linguaggio cinematografico.
Chi ve li faceva?
Enrico Verra.
Sì, sì, lo conosco. Quello dell’AIACE, dovevo lavorarci, ero tornata da Berlino ma non se n’è fatto un cazzo e ho iniziato a cercare lavori da commessa.
È abbastanza un personaggio, mi ricordo una sua sfuriata per uno che aveva detto “visualizzatore” invece di “spettatore”.
Ha ragione, dai.
Nicolò Porcelluzzi, che tu sicuramente conosci, ha scritto che nel nostro mondo le persone si dividono tra chi lavora dodici ore e chi ne lavora due, tu a che categoria appartieni?
Tristemente dodici, lo dico un po’ con orgoglio bresciano del Nordest – di cui Nic è compare. Lavoro tanto perché non ho i soldi, ho moltissima ansia da prestazione sempre, vorrei improvvisare di più ma non riesco quasi mai. Sono grata quando la gente non ti manda le domande per le interviste, sennò finisco per lavorare troppo sulle cose sbagliate, fare bene i compiti; ma poi ho lacune pazzesche ovunque. Preoccuparsi dell’ego porta via un sacco di ore di vita.
Quante probabilità ci sono che Elena Ferrante sia su 4chan?
Non ho un buon rapporto con Elena Ferrante. Tutti pensano che io debba essere ferrata su Elena Ferrante solo perché mi occupo di lavoro e di genere. Alla fine è solo un grande romanzo popolare. Io odio abbastanza Ferrante, anche se non l’ho letta. Odio quello che rappresenta. Siamo tutti inorgogliti dal fatto di avere una scrittrice italiana che piace agli americani. Io no.
Mi sembra piaccia davvero davvero solo agli editorialisti del Corriere.
Non c’è gente della bolla a cui piace davvero, dici? Soprattutto le donne che dicono “Elena Ferrante la devi leggere”. Sulle questioni di genere, lì le acque si confondono, è difficile trovare una radicalità vera. Non so se sta su 4chan, non mi illuderei.
Ha fatto più male alla democrazia Kamala IS brat o la P2?
Kamala, Charli. Il fatto che ci siano cose di deep state o corruzione te lo aspetti ed è anche bello, non lo so. Quando vado in montagna in Trentino mi ritrovo in un rifugio dove ci sono libri degli ospiti che risalgono fino agli anni ’60. Quando prendo quelli del ’68 o ’69 trovo disegnini di Potere Operaio, del Che, quella era l’aria che si respirava al tempo. Però Gaber lo diceva: “Quando è moda è moda”. Anche a quel tempo magari qualcuno poteva dire Kamala IS brat, però adesso questo è il nostro dibattito politico, non la lotta armata, è veramente triste. Mentre la P2…
La P2 è brat.
(ride) Come al solito, la lotta di classe la sanno fare meglio i padroni, sempre in un modo un po’ più gangster. Infatti lo fanno con stile, noi no. Siamo diventati scarsi quantomeno. Kamala Is Brat è uno dei punti più bassi toccati recentemente.
Non è così grave secondo me.
È proprio l’illusione di dirlo e sentirsi radicale che secondo me è deleteria. Però stiamo parlando di politica americana, che non è per niente radicale.
Però Luigi Mangione, l’ultima uccisione politica di livello. Ora possiamo dirlo: Le Brigate Rosse avevano ragione.
Sì, ma dobbiamo dirlo seriamente: recentemente sono stata a Ca’ Foscari a fare una lezione con Mimmo Cangiano e mi stava fermando perché sembrava che io stessi inneggiando alla lotta armata. Stavo parlando di come il problema delle BR è stato una questione di tempismo, di strategia. Ma d’altra parte il fatto che non abbiano avuto il tipo di appoggio dell’opinione pubblica che avevano prima è stato il grande errore politico, poi le uccisioni dei burocrati, quella è una questione morale.
Dovevano tastare il terreno meglio. La sensazione è che sia stato creato un grande scandalo morale apposta per squalificare tutta quella stagione, ma magari non è stata percepita così nell’immediato. Ma sembra che questo abbia scollato la società dalla politica, ma forse è una questione di come è stata raccontata. Di lotta, di propaganda, che ha vinto chi aveva i soldi. Hanno fatto anche un sacco di cazzate, cose inutilmente truci di cui non c’era bisogno, non voglio dire che sia giustificabile. Come al solito siamo più preoccupati degli errori etici della nostra parte, che da quello che l’altra parte commette, -che non si è mai fatta scrupoli, perché ce la aspettiamo-, dobbiamo tematizzare anche questo, Mangione ha ragione.
Hai ancora un debole per i bulletti?
Hai visto Tommaso, direi di no.
Sì, ancora sì, ancora sono attratta, ma devo dire che l’essere volitivi mi piace, anche nelle donne mi piacciono le persone che ce la metto tutta ad “avere le palle” locuzione terribile per una femminista; mi sta sul cazzo chi ha subito sicurezza di sé e mi attrae molto. Tramite lo sperma magari riescono a donarmi della loro sicurezza. Però non l’arroganza, quella mi dà fastidio.
Ti danno 100mila euro, ma ti costringono a scrivere una biografia con Mondadori che si chiama “Io, donna, ma non solo…”?
Sì, per soldi venderei anche mia madre. Ho dato un titolo di merda anche al primo, l’ho poi spiegato alla fine. Ma è stato un instant book, l’ho scritto in pochissimo tempo. Anche per quanto riguarda il titolo, mi sono fidata del mio editor, -sbagliando-, secondo me. Mi stupisce che non mi abbia penalizzato, però la copertina- che ho scelto io-, invece è andata alla grande.
La mia sensazione è che il titolo non facesse nessuna giustizia al libro. Il libro si diverte molto di più del titolo.
Tu come l’avresti chiamato?
Il terrore del desiderio, forse troppo lacaniano. Ripartire dal desiderio sembra un’autobiografia.
Ero un po’ troppo nel vortice: chiamiamolo, come cazzo lo chiamiamo? Invece Pacifico mi fa rosicare, perché ha sempre questi titoli pazzeschi: Class, La voce del padrone, Il capo. Invece il mio primo libro si chiama Ripartire dal desiderio, proprio triste.
Questa doveva essere la prima domanda: gli uomini hanno più paura delle donne o della calvizie?
Della calvizie. È uscito qualche anno fa un libro Il mostruoso femminile, ma è un tema che va avanti dagli anni ‘80: i fluidi che terrorizzano l’uomo, cosa c’è di alieno che spaventa l’uomo… non mi convince, ma è una conseguenza della segregazione che viviamo, si crea un’alterità che è abbastanza socialmente costruita, perché dovrebbe esserci un terrore prima. Il binarismo di genere è una conseguenza del terrore? Non mi convince, mi sembra troppo psicoanalitico: anche la femmina si separa dalla madre, mica solo l’uomo. Mi sembrano tutte cose culturalmente determinate, l’oppressione storica la devi spiegare materialmente, la divisione del lavoro prima e poi il terrore, devi far capire perché queste donne vivono in casa, se ci sono altri fattori innati biologici; secondo me si scartano davanti alla divisione del lavoro.
Ma di quanti anni fa?
Da sempre, siccome le donne devono fare i figli, fanno determinate cose, ma è una contingenza da risolvere quella delle questioni pratiche e materiali.
Cosa c’è di più pratico del biologismo?
Ci sono differenze non date da quella sessuale, che vengono date per scontate e non sono così ontologizzate. Ti dimostra che puoi mobilitare qualsiasi differenza per fare quello che vuoi. Il biologismo conta finché serve.
Esiste solo la storia?
Da marxista, non posso che dire così. Come nella Ricotta di Pasolini, in cui sentiamo dire: “da marxista, la morte è un problema che non mi interessa”.
Chi è la tua foto di profilo su Instagram?
È Nanni Moretti super sexy. Un periodo lavoravo al Museo del cinema a Torino, sezione ritagli, e lì avevano un sacco di scatoloni, conservati dalla direttrice del museo. Dentro c’erano tutti questi ritagli di giornali dagli anni settanta fino ai primi novanta, e c’erano delle foto strafighe che smistavo in vari temi. E c’erano queste foto di Moretti, super giovane, super sexy e io ho avuto sempre un debole, soprattutto in Bianca.
Hai anche una passione per il cinema di Moretti?
Ovviamente l’ho avuto, ma non gli ultimi film. Anche come personaggio non mi piace più, da giovane mi sembrava molto affascinante, ne avevo anche un’altra di lui sul motorino.
L’ultimo sex symbol della sinistra italiana?
Sì, se esistesse una sinistra italiana. Se no, per la bolla, Vittotov, membro di Potere al popolo di Livorno, bonissimo. Purtroppo è così, come dicevamo con Lolli, ormai sono tutti famosi per quattro poveri stronzi, sono tutti gatekeepati. Però magari c’è gente che pensa che sia di sinistra Fedez. Anche se lui è di destra.
Quanto influenza l’orientamento politico sul desiderio sessuale che hai per una persona?
Purtroppo negli anni ho appeso la figa al chiodo. (ride) Nel senso adesso sono sposata e mi sono sfogata in gioventù, adesso ho una libido circoscritta. Prima penso che influisse tanto, non so cosa direbbe Marco Pignetti, vera icona della sinistra, un luminare, che odia i sappiosessuali. Ma io purtroppo ero abbastanza così, sono troppo influenzata dalle idee di una persona per trovarle attraenti. Poi non sono sensibile alla bellezza estetica, devo dire che sono stata attratta da dei cessi inenarrabili. Proprio che mi sentivo inadeguata, “non mi guarderà mai”, poi erano dei cessazzi. Avevo anche un po’ questa cosa che invocavo il martirio e un po’ incoscientemente pensavo che fossi la cosa più bella capitata nella sua vita e mi sentivo un premio. Tipo in Aladdin che Jasmine diceva “io non sono un trofeo da vincere”, ecco, io invece ho pensato tante volte “io sono un trofeo da vincere”. Sicuramente gratificante, se sei super insicuro allora tutti gli scenari erotici insistono su quella insicurezza.
Sul piano intellettuale volevo sempre pendere dalle labbra.
Ma rapporto esclusivo o idolo delle folle?
No, no rapporto esclusivo. Sono io il trofeo da vincere, non lui. Non pensavo a queste cose da una vita, ma dire “come fa quello a stare con quella?” mi gratificava. Grande scollamento tra aspetto fisico e aspetto intellettuale, tutto questo non vale per mio marito ovviamente, che è un gran bell’uomo.
Stalin e Satana avrebbero davvero votato per Occhetto a quelle elezioni?
Ma spero di sì, preferisco loro come testimonial rispetto al Padre Eterno. Sento una grande nostalgia per quel periodo, per Berlusconi, mi si stringe il cuore. Rispetto ad adesso, la semplicità di lettura mi manca, anche se magari al tempo era complesso uguale. Da piccola, a otto anni, ero garibaldina, identificavo la Lega con l’ignoranza contadina, volevo allontanarmi dai contesti che frequentava mio padre in quanto consulente agrario, volevo dire: “noi in città abbiamo il sindaco di centro sx”. Anche se mio padre è sempre stato cattolico, con strane fasi in cui votava la Margherita. E io dicevo a mio nonno “io odio la Lega” e lui diceva “allora devi stare con Berlusconi”, sembravano inconciliabili. Però ho nostalgia della sinistra compatta antiberlusconiana e la simpatia di Berlusconi. Conosco persone che ne sono molto più affascinate di me, che dicono che era un mago della comunicazione, un genio del male. Secondo me aveva solo tanti soldi e poteva fare quello che voleva, hai ricreato un immaginario collettivo a tal punto. Per esempio Trump riprende tante cose, ma è meno leggibile. Ti sto dicendo il contrario di quello che ti ho detto prima sulla P2, mi sembra quasi più leggibile la fascinazione che ha la popolazione per Berlusconi o Trump, molto istrionica e rumorosa. Fa molto più paura il potere grigio dei tecnici europei, perché ho la sensazione che anche se fossimo alle porte della rivoluzione, arriverebbe la CIA, la P2, la strategia della tensione. Non c’è verso, c’è repressione in ogni caso.
Stiamo cadendo nel doomerism però.
Tu dici? Forse sì, è vero che negli anni settanta la gente non si aspettava che finisse come poi è finita. Però la gente almeno leggeva, leggeva Marx! C’era un pezzo stupido che ho letto su Marie Claire, parlava di una roba super ingenua, un tizio che diceva che la politica manca nella vita delle persone, e anche se non si riuscirà a cambiare le cose, però intanto se la reinserissimo almeno le persone si sentirebbero meno sole. Il fatto che ci fosse un contesto in cui tutti erano politicizzati, come nel ’68 e ’77, ti faceva sentire magari impotente ma meno solo, meno schiacciato dalla responsabilità. Se hai letto il libro, sai quanto odio le responsabilità individuali, amo le responsabilità collettive. Ora che sto per avere un figlio, vorrei uscire da questa solitudine di diventare madre da sola, non sarò mai una madre che non riesce a dare il figlio a nessuno, io penso che lo darei questo bambino un po’ a chiunque, qualcuno mi aiuti! Non perché sia incapace, ma perché odio l’iper responsabilizzazione dell’individuo. Non solo ti possono capitare cose terribili, ma ti devi sentire pure in colpa. Meglio la responsabilità condivisa. Lo so che ho fatto un figlio e sono affari miei e non devo imporlo, ma penso che spartirsi la società crea meno sbatti a tutti. Questo dovrebbe essere l’obiettivo, non che ci sia la gente che passa la vita a lavare i cessi, ma che tutti ogni dieci anni puliscono qualche cessi.
Ci vuole però una programmazione ferrea.
Non trovi che ci sia già una burocratizzazione ferrea? Siamo controllati in ogni minimo dettaglio. L’AI che sembra un incubo per tutti andrebbe utilizzata per incrociare dati e arrivare a trovare soluzioni per una vera riorganizzazione del lavoro.
Quindi organizzarlo, non superarlo.
Superarlo è l’obiettivo finale, però non mi fido molto delle macchine. Il punto finale è superare il lavoro con l’automazione.
Però serve il lavoro vivo da qualche parte.
Come dicevo, infatti le macchine servono a fare il meno possibile, a schiacciare un solo pulsante.
Non accadrà mai.
Non accadrà mai perché la gente non ha fiducia nella collettività.
Questa sfiducia del pubblico deriva solo dagli anni Ottanta?
Perché quando pensi sia nata?
C’è una sfiducia creata in anni e anni da chi ha in mano i mezzi di informazione per dire che quando le persone si organizzano c’è da cagarsi sotto.
È sempre stato nell’interesse della classe dominante, certo, ma infatti la cosa figa degli anni ‘60 e ‘70 era che- nonostante una costante propaganda anticomunista-, la gente andava comunque a vivere assieme, creava forme nuove di vita. È chiaro che io non vorrei che una comune cresca il mio bambino, ma a Berlino ci sono delle situazioni simili: un po’ di amici colleghi che vivono assieme in 3-4 famiglie, come anche il poliamore, sembra un accollo, devi metterti, sederti, organizzare.
Ma tu quello lo critichi nel libro, perché è un contratto.
Sì, perché ora devi lavorare, se non dovessi lavorare, potremmo parlarne. Se fossi impegnata solo quella volta ogni cinque anni a cliccare un pulsante, ci sarebbe un sacco di tempo per gestire la casa e condividere. Negli anni settanta sembrava allettante, magari non è più pratica, ma avevi proprio bisogno di uscire dalla società borghese.
Penso ci sia una tensione contro l’organizzazione come salvatrice.
Perché sono cose diverse. Organizzare il lavoro è un male necessario ma ti libera da tutto il resto, l’uguaglianza sul piano produttivo, senza classi, è quella dove puoi ipotizzare un sacco di cambiamento su un sacco di piani. Serve un po’ di fiducia in più nell’organizzazione del lavoro, altrimenti stiamo qui ad aspettare la rivoluzione. Non vale molto la pena di sopravvivere in un contesto di competizione in cui muori lentamente. C’è quella battuta classica che in URSS si stava in coda per il pane, ma adesso a me sembra di stare in coda per il pane, ma in questo caso lo devi pagare.
C’è quel famoso aneddoto di Limonov: lui torna da sua madre in URSS, lei è ormai vedova, sola, e per tenersi compagnia tiene sempre acceso il gas. Allora Limonov la rimbrotta dicendo che è pazza, che non sa quanto sarebbe alta la bolletta se abitasse in Francia, lei risponde “quanto sono spilorci i francesi che ti fanno pagare il gas”.
Non me lo ricordavo, comunque sì. La quantità di tempo che devo spendere per trovare l’offerta giusta per il gas è ridicolo, poi con la guerra in Ucraina, ora in Germania si paga quattro volte tanto. Paghiamo tantissimo. Adesso è un tuo pieno diritto cercare la tariffa conveniente, come se fosse responsabilità mia. Anche al supermercato, penso alla standardizzazione della DDR, che aveva quattro marche al massimo, con nostalgia. Ma di quante marche abbiamo bisogno?
Siamo d’accordo, ma il problema è comunicare questo con chi non ha fatto un corso di filosofia teoretica all’università. Finché ce lo diciamo noi.
Io vorrei cercare di insistere sul fatto che è un problema pratico, non morale. Più razionale di cos’è che conta nella tua vita, vuoi spendere più tempo davanti a una pubblicità che ti profila lo shampoo migliore per te? È tempo utile? Certo, adesso che la cultura è pari a zero, per molte persone sembra tempo utile, necessario. È difficile vendere qualcosa di cui non hai l’immagine pronta.
Perché quando nel tuo libro parli della famiglia come istituzione, ti alzi sui pedali, perché hai questa incazzatura così profonda?
Non lo so. In realtà lo so. Non ho mai capito se ero io che non mi ci trovavo bene, oppure come se non c’entrassi tanto, quindi sono cresciuta con questa domanda e sono arrivata a disprezzarla, senza capire il contesto o avere un po’ di comprensione. Con la gravidanza sono riuscita un po’ a ribaltare la prospettiva, poi i miei genitori erano giovanissimi quando sono nata io. Loro avevano ventitré anni, erano molto cattolici, comunque molto ligi al senso del dovere, hanno fatto di queste due figlie il senso della vita: una volta volevo tornare dai miei amici a capodanno, quando avevo diciassette anni, e mia madre si è messa a piangere. Non avevano grandi aspettative su cosa dovessi fare, erano inorgogliti che fossi l’intellettuale di famiglia. Quando racconto la cosa famosa di Zizek che devi andare a trovare la nonna e in più devi essere felice, quando in realtà dovrebbero essere persone adulte e indipendenti, ti schiaccia tanto. In più in tutto questo, l’impossibilità di verbalizzare molte emozioni, il linguaggio non è il loro linguaggio. Ti senti sempre rifiutato, “è una bambina un po’ troppo sensibile”, poi magari avevano ragione, ero un accollo notevole, non sentirti mai come quello fosse il posto in cui stai bene, e non capire se sei tu che ti senti un po’ superiore. Però adesso siamo in buonissimi rapporti, mio padre ha letto il mio libro, è addirittura il suo screensaver del telefono. La scorsa settimana sono tornata a casa e faceva troppo ridere, c’era il mio libro, quello di mia sorella, che pure ha scritto un libro, e quello di Bersani Chiedimi chi erano i Beatles, pure lui è suo figlio. È proprio tenero, lui non si perde una tribuna politica la sera, ama la Gruber, è il tipo di persona che se ci fosse una finanziaria lui perderebbe tutto, anche se ha zero risparmi, ha una casa dove vive, però è convinto che stiamo troppo bene, siamo troppo fortunati. Terrorizzato da Putin eccetera.
Classico della borghesia del Nord Italia. Secondo te quindi c’è ancora bisogno di una letteratura che parli della famiglia, nonostante la sua apparente dissoluzione?
Io sono la prova vivente che resiste, non ho mai creduto nel matrimonio, non ho mai voluto figli. Ed eccoci qua, sposata con un figlio in arrivo. Sposarmi non avrei mai voluto farlo, di questi tempi però sembra tutto cambiare ipervelocemente e hai bisogno di qualcosa di fisso, vorrei fare anche la cittadinanza tedesca, anche se odio la Germania. Però tutto varia geopoliticamente troppo velocemente, quindi dici boh.
Quindi non è un “nothing burger”?
Stare a Berlino ti fa rendere conto che cambia tutto in modo molto veloce. Questi hanno cambiato la Costituzione in tre giorni ed eravamo un centinaio a manifestare fuori dal Reichstag. Nessuno parla contro il riarmo tedesco. Anche la Linke non vuole mischiarsi troppo con quelli pro-Pal proprio contro un possibile danno di immagine, anche se lì c’era Jewish Voice For Peace. Purtroppo cambia. Anche questa cosa, tutti gli stilemi istituzionali ti danno la sensazione di controllo sulla tua vita. Poi per me avere una stabilità relazionale mi ha permesso di lavorare molto meglio, prima vivevo come se non ci fosse da lavorare, ma in modo gioioso. Era più dramma e struggimento, impegnavo tutte le energie a tenere in piedi una relazione tossica di otto anni, ci lasciavamo, ci mettevamo assieme, in quei otto anni mi sono anche divertita molto, c’era un sacco di dramma, la sicurezza relazionale è un valore, mi piace avere una casa, un marito, un bambino, una famiglia nucleare. Ci risiamo, avremo molti degli stessi problemi dei nostri genitori, nostro figlio ci odierà.
Non può esistere il divertimento, tra i 20 e i 30 anni, all’interno della stabilità di una relazione?
In quella no, perché era una merda, non è stato divertente manco avere una coppia aperta, eravamo super competitivi, della serie “guarda quanto ho scopato io”.
Nel libro però dici che dovrebbe esserci il regime del silenzio?
Sì, sì proprio per questo.
Ma nessuno dei due a un certo punto ha detto “mmm forse questa cosa di fare il tabellino non è molto corretta?”
Tutti e due la prendevamo in modo molto ideologico, sia per vendetta che per onestà. Era veramente una distopia quella relazione, non c’era complicità, solo competizione. Io sono molto competitiva, lui era peggio. Io sono competitiva ma insicura. Quindi la ricetta perfetta dell’autolesionista, però sono comunque una persona pigra, a cui piace viziarsi. Però ho sempre pensato che c’era una parte di me che poteva finire con un disturbo alimentare, però grazie a Dio ero troppo pigra per essere così ossessiva e determinata. L’anoressia, credo, sia molto data dal fatto di essere indipendente dal tuo corpo, non avere bisogno del cibo ti fa sentire molto forte, poi non lo so, non lo sono mai stata. Però mi affascina, anche per il libro ho letto un casino sull’anoressia.
Anche Teresa Ciabatti.
Siamo entrambe un po’ sovrappeso, infatti. Comunque non penso affatto che monogamia e divertimento siano incompatibili, per niente. Però in quel momento della mia vita, per me il sesso era proprio una forma di esplorazione.
Quindi il divertimento deve passare dal sesso?
No. Proprio no, al contrario. Al tempo lo pensavo, pensavo che tutto passasse dal sesso, adesso penso che non siano più collegate. Non so, forse sono repressa, ma mi sento molto meglio.
Perché nel libro sembra il contrario, uno che dice meglio il lunapark del sesso è un represso.
È verissimo, perché quel libro l’ho scritto perché volevo essere fedele alla me stessa di prima. Adesso penso che il sesso sia uno dei modi con cui puoi essere intimo con una persona. Mi sono resa conto che c’è proprio un’ansia di possesso. Poi ho scoperto che c’è il sesso in tante cose che non solo l’amplesso, certo, c’è sempre sotto la libido, però non necessariamente lo devi esprimere con il sesso. È l’incipit di quel libro di Alenka Zupancic, in cui Lacan dice “non sto facendo sesso con te, ma provo lo stesso piacere parlandoti”.
Certe cose sono meglio del sesso.
Sì, gli scivoli acquatici.
(ride) Anche quando sei preso benone da un libro, da piccola li chiamavo “orgasmi della mente” tipo.
Goodreads sapiosexual behavior.
Però è una sensazione molto… pure tu sei in una relazione monogama?
Sì.
Era una domanda da persona in una relazione monogama quella che hai fatto. Cambia proprio cosa intendi con sesso, io al tempo lo intendevo come una cosa ossessiva, determinata dal desiderio più che dal piacere, dall’ansia. Ora se ripenso a degli scenari passati mi viene l’angoscia. Mi è capitato di avere voglia di divertirmi con il sesso, ma non era piacevole, era come tornare dentro una dipendenza. Pacifico per esempio sostiene che una volta che sentirò di aver costruito la mia relazione in modo stabile, posso tornare a scopare in giro. Non sono sicura che sia una nozione che approvo: se non sei sessualmente libero, non sei nessuno. Mi è capitato recentemente di essere attratta da altre persone quando stavo con Tommaso, ma mi è sembrata solo una regressione, una cotta passeggera per un tizio con cui non avevo nulla da spartire.
Ho trascritto una recensione da Goodreads sul tuo libro, è l’unica recensione che c’è da 1 stella e dice…
Nooo. Io da vecchio nerd uso Anobii e recentemente ho visto che le recensioni del libro stanno peggiorando, soprattutto sulla linea “mi aspettavo un po’ di più” perché del libro se n’è parlato tanto.
Comunque la recensione è questa: “Ma poi perché scrivere mezza pagina come un paper di ricerca (fuori luogo) e l’altra come un diario del liceo (altrettanto fuori luogo)?”
Ha ragione, quel libro va riscritto. Andrebbe trovata una voce più coerente. Il motivo per cui è così altalenante è che ci sono delle cose su cui puoi essere ferrato e altre no, lì usi la tua esperienza, per quanto limitata, perché è l’unico modo di colmare quel vuoto . Poi con Pacifico vorremmo fare un corso per insegnare alla gente a non parlare in prima persona perché al Tascabile è drammatico, ti arrivano pezzi. “Ho letto questo libro perché me l’ha consigliato un amico”, ché è un attacco comodo, prima era trasgressivo. C’era Claudia Durastanti che diceva giustamente che siccome non siamo quasi mai pagati per fare dei pezzi, alla fine facciamo sempre la cosa più semplice. Anche per me è stata una scelta efficace, è più relatable, più accessibile, più interessante per il tipo di frizione a cui siamo legati, che vogliamo legarci prima di sapere le opinioni. L’unico modo che avevo a disposizione era questo, non potevo fare ricerca su tutto, avevo aneddoti su tutto, ho usato solo quelli che colmavano.
Ora partirei, per finire l’intervista, con delle domande secche a cui devi rispondere senza (quasi) argomentare.
Intersezionalità fenomeno o bluff?
Bluff, a livello teorico. Come strumento anche mi sembra debole, non è convincente.
Tangentopoli è stato un colpo di stato gentile?
Più no che sì, non lo paragonerei alla fine del governo Berlusconi III. I want to believe.
Personaggio preferito della Prima Repubblica?
Difficilissimo. Se vale, metti Nanni Moretti.
Mamma mia, sic transit gloria mundi. La prossima guerra sociale sarà tra normies e edgy o incel e radfem?
Purtroppo la seconda. La prima sarebbe molto più interessante, quantomeno saprei da che parte stare.
Ruby Rubacuori è stata un’icona femminista?
No, e forse è giusto così.
Margaret Thatcher aveva il girl power?
Purtroppo sì.
Black Lives Matter avrebbe funzionato di più se si fosse trasformato in una gang bang?
Sì. Avrebbe funzionato di più nei miei sogni, nelle mie fantasie.
Look, money, status vale anche nella società civile normale?
Sì, assolutamente e questo è un problema. Nella società liberale, sì. Ma forse è una cazzata.
Ti definiresti più donna in carriera o strega femminista?
(ride) Donna in carriera, è orribile ma è così.
La cultura influenza la politica o il contrario?
La cultura influenza la politica molto di più, ma quello che influenza tutto quanto sono i rapporti di produzione. L’economia sta sopra tutto.
Marry, fuck, kill con Adorno, Vattimo e Marx.
Kill Adorno, marry Vattimo, perché sarebbe un matrimonio bianco, fuck Marx perché è irresistibile. Sennò sarebbe marry Marx e fuck Vattimo, ma non sarebbe intrigante. Devo essere il trofeo da vincere e Vattimo non si batterebbe.
Avrei detto che era un Latin Lover.
Ma va! Era gay, aveva una relazione poliamorosa con due uomini e poi recentemente con un tizio più giovane, Simone Caminada, brasiliano, che gli ha fatto da badante per gli ultimi anni della sua vita e lui aveva lasciato tutto a lui, ma la famiglia si è ripresa tutto, non gli ha lasciato niente. Invece ha vissuto la vita con questi due uomini, uno è morto di AIDS, l’altro di tumore mentre lo stava portando in America in qualche clinica e ha fatto il viaggio con lui morto a fianco.
Adorno mi aspettavo morisse.
Sì, i francofortesi sono stati un po’ il male, soprattutto da quando si sono stabiliti negli Stati Uniti e volevano convicerti che il fascismo era il male assoluto, ma il capitalismo americano era ok. Ci sta, sei scappato dal nazismo, ma hanno contribuito alla retorica che solo gli americani ci hanno liberato.
Sono comunque tedeschi.
Appunto!


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