Stanno leggendo vecchie riviste in un salotto agghindato al gusto barocco.

Glauco coglie l’agglomerato di polvericcia gialla dietro un vaso tornito di globi e ghiande gelatinose ed è così come da un glitch accompagnato da nistagmi e grugniti che guarda raggrinzire lo scorcio proiettato dai suoi occhi: tutto si accartoccia, si sgualcisce, la sensazione è quella che gli occhi si rigirino verso dentro portando con sé la prospettiva, inglobando e succhiando dalla punta ogni esistenza capitata sotto agli occhi, di nausea e di gloria l’oro rococò articolato di melismi raffinati contrappuntistici diventa polpa, diventa melma e fanghiglia, tutta la stanza tra quadri, divani, bomboniere è una cloaca e si dilata anzi si stira per entrare nelle fessure delle orbite stuprando lo spazio che ospita gli occhi, di insistenza e occupando non solo la vista ma anche il respiro l’aria che ha un sapore metallico sembra compiere la stessa mutazione ma nella bocca che però a un certo punto di contro Glauco vomita merda. Vomita la prole di questo scambio alchemico con la realtà, di ritualistica moderna e del desing aesthetic neoclassico ne aveva letto su un magazine recentemente. Glauco.

“Eh? Cosa?”

“Glochi, ci sei? Ti stavo mostrando cos’ho trovato in questa pagina, di colpo ti sei proprio assentato dal mondo. Non la trovi bellissima?”

“Si, certo. È bella.”

“…”

“Ne avevo letto qualcosa su un magazine recentemente, che bella, è così magniloquente che diventa stucchevole, in senso positivo eh, certo io avrei cambiato qualche dettaglio che per fortuna invece non c’è, alla fine deve tornare tutto ciò che deve tornare.”

“C’era qualcosa di simile a casa di ehm Borni, ti ricordi? Era quella festa, fine ‘80 o perlomeno tutti indossavano quei jeans che andavano di modissima nell’ 87, aveva una casa davvero lussuosa, lo ricordo perché c’era anche un ehm elmetto bellico con delle piccole ali applicate ai lati, li avevano tutti di tessuto spesso e orgoglioso, ti ricordi? Forse si era appena laureato o era la specialistica, fatto sta che aveva una giacca di renna e i baffi lucidi, forse io e te già scopavamo allora, ti ricordi c’era esattamente questo che abbiamo trovato nella rivista, era sicuramente casa di Borni e c’era anche l’elmetto.”

“Potremmo dire che il kitsch sta negli occhi di chi guarda. O meglio ancora potremmo intercettare il trigger di un’opera traducendolo con una serie di aggettivi che, in base all’opportuna sensibilità, reputiamo appropriati. Ed è proprio qui che esce fuori il kitsch. È diegetico, è una riflessione sul kitsch che legittima il kitsch stesso, di semantica e di approssimazione ti urla in faccia che è glamour, sgargiante, gorgogliante di argento, grumi e grappoli di giri barocchi, grossolano…”

“…”

“Sto solo aspettando che chiami il nostro turno.”

Tutto si pietrifica. I costosi ornamenti articolati della stanza, di direzioni e di continui giri guarineschi si immobilizzano. Il fucsia, il rintontito giallo modulano in grigio. Il freddo congela l’elmetto sulla mensola. Gli infissi con le decorazioni ridondanti interrompono il flusso. Stessa cosa per quella pacchiana scultura in fondo alla sala. Dopo la visita Glauco e il compagno torneranno a casa, si scoperanno coi loro vecchi e rugosi corpi, Glauco indosserà l’elmetto e visto da dietro con quella peluria stanca sulle spalle e sulla schiena mentre intinge il suo gheriglio nei consumati orifizi del partner lo si vedrà ripetere gli arzigogoli dello studio di Borni, pensando ai suoi baffi gelatinati, colpendo l’erezione e immagazzinando l’esperienza. Traducendo gli stimoli in sesso vede di nuovo il mondo arricciolarsi, comprimersi, l’alogia che Borni stesso qualche ora prima gli aveva indicato si fa sentire, non si esprime, accumula e basta come la vista che in questo momento si inclina, forma diagonali, gioca con i granitici disegni di cui ha letto nelle riviste che sente ora rinfilarsi come un serpente viscido sotto la pelle: sono tutte le informazioni, di lui bambino, di lui contrito, di lui affannato, asmatico, schifoso, ormai marcito dentro questo putrido usbergo con l’elmetto in testa, intermittente, nullo tra lo scambio di informazioni dal mondo al buco del culo dell’ormai settantenne compagno, ed è lì, assume tutto, Borni, gli oppiacei a quella festa, Bernini, Scarlatti, le architetture, programmi a tarda notte, la dolcezza del primo schiaccia sette per strada, della militanza politica, degli attici monumentali, stanno tutti fluendo nel suo corpo fino a sborrare dal glande, dipingere la tela suo amato. E ricordare. Glauco e il compagno dal geriatra.

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