In un pamphlet del 2014 intitolato Utile per iscopo?, Wu Ming 2 analizza criticamente la tendenza della letteratura contemporanea a rimescolare e riproporre in chiave epica o storiografica le vicende del passato. Scrive:

«Siamo una società di retromaniaci, nella quale l’industria della memoria ha preso il posto delle grandi narrazioni come antidoto alla perdita d’identità. Questo genera quella che Raynolds definisce una “crisi di uber-documentazione”, perché la ricchezza dei nostri archivi non è cresciuta di pari passo alla nostra capacità di guardare il passato dalla giusta distanza, di mappare il territorio con una bussola cognitiva. La massa di dati ci schiaccia perché non sappiamo interpretarli, metterli in ordine, orientarli in un senso. Siamo solo in grado di mescolarli, plagiarli e ingerirli senza particolari cautele, tutt’al più con un sopracciglio inarcato, biascicando che si tratta della solita vecchia merda». 

Il mercato editoriale è pieno di romanzi che prendono avvio da fatti realmente accaduti, biografie di grandi personalità, ucronie, narrazioni di vicende secondarie e dimenticate o semplicemente storie di finzione innestate in ambientazioni di un passato caratterizzato con maggiore o minore fedeltà storiografica. In questi romanzi si fa largo il ricorso alla testimonianza come strumento privilegiato di ricerca di verità narrativa. L’autore sostiene che questa paccottiglia tenda a sfuggire alle categorie che secondo Manzoni compongono un buon romanzo storico: «vero per soggetto, interessante per mezzo e utile per iscopo». A che cosa servono dunque questi romanzi? 

Secondo Wu Ming 2, a caratterizzare il crescente interesse del pubblico verso i romanzi a carattere storiografico è una «fame di testimonianze», la ricerca di «voci che suonino autentiche». Il problema, sostiene, è che «non siamo tanto interessati a quello che dicono […] ma a come lo dicono, con quale suono, con quali emozioni, con che tonalità». Il rischio di questa fame di testimonianza è costruire narrazioni che fanno del materiale d’archivio un semplice pretesto su cui innestare storie false o narrazioni acritiche: «Le trasmissioni di storia fanno un larghissimo uso di testimoni, spesso illegittimo, confondendo esperienze individuali e fonti d’archivio, trasformando “Io c’ero” in una suprema, indiscutibile garanzia di verità». Eppure, l’autore sostiene la possibilità che il romanzo storico possa effettivamente disvelare il rischio della testimonianza parziale come strumento acritico di verità e diventare, al contrario, uno strumento di riflessione critica sul passato. Secondo Wu Ming 2, i nuovi romanzi storici devono avere «l’archivio come soggetto, la fiction come strumento e la testimonianza come scopo». A questo obiettivo mi sembra rispondere Mensaleri, l’ultimo romanzo dello stesso autore pubblicato recentemente da Einaudi Stile Libero. 

Mensaleri racconta la storia (inventata) della comunità di un omonimo villaggio operaio, che ricorda molto quelli italiani del  pieno sviluppo industriale, tra la metà dell’Ottocento e gli ultimi anni del Novecento; uno su tutti Crespi d’Adda, una frazione di Capriate San Gervasio in provincia di Bergamo oggi patrimonio dell’Unesco. Si tratta di luoghi gerarchici fin dal loro concepimento, dove tutto era pensato in funzione della fabbrica e della sua efficienza, dove il padrone e il prete avevano gli edifici più grandi e lussuosi, i capi sezione quelli intermedi e via via fino agli operai semplici, che vivevano in quelli più umili e dimessi. La stessa logica si riproduceva nella conformazione delle tombe nel cimitero. 

La trama di Mensaleri si sviluppa su tre linee temporali: gli Antefatti (1363-1995), ovvero la storia leggendaria di una statua della Madonna con misteriosi poteri taumaturgici e della setta nata attorno a questa credenza; L’età dell’Oro (1868-1950), cioè lo sviluppo e il successivo declino del villaggio operaio, nato attorno a una grande cartiera amministrata dalla famiglia Mensa; Mensaleri Duemila (1995), quando, agli albori del nuovo millennio, molto dopo il fallimento della cartiera, un imprenditore promette di rigenerare l’economia del paesino attraverso grandi investimenti nel terziario e l’esaltazione del glorioso passato di Mensaleri a scopi promozionali. Viene chiamata Toni Pohlmann, una regista, a tenere un corso di teatro per la comunità locale, con l’obiettivo di mettere in scena la storia di Mensaleri: questo sarà l’avvio di una riflessione critica sul passato del paese e delle vicende che lo hanno caratterizzato. Tutte le vicende si svolgono nel villaggio e nella vicina isoletta di Parpai, sul fiume Leri, l’unico luogo in cui sembra che i poteri della statua della Madonna abbiano effetto e dove, a metà dell’Ottocento, i Mensa collocarono la fabbrica. Al centro del romanzo c’è lo scontro tra il principio razionale e capitalista della produzione e quello irrazionale e magico del culto della statua della Madonna, a cui si affianca la storia di classe della produzione industriale, della repressione dei padroni ai danni degli operai e del loro tentativo di rivendicare i propri diritti.

Il romanzo è denso di fatti, percorsi narrativi che si intrecciano e risvolti di trama; riassumerli tutti sarebbe superfluo. Molto più significativi, invece, sono le premesse e gli esiti di quello che, più che un romanzo storico, è a mio parere un meta-romanzo, un laboratorio di scrittura storiografica che assume senso anche e soprattutto a partire dalle premesse teoriche che abbiamo descritto in apertura di questo pezzo. Andiamo con ordine. 

Come accennavamo, il mercato editoriale è stracolmo di romanzi più o meno storiografici, più o meno fedeli alla ricostruzione delle vicende del passato (per un’analisi critica su questo argomento rimandiamo alle recenti considerazioni di Gianluigi Simonetti sul Premio Strega e sul Campiello, ad esempio in Caccia allo Strega). All’interno di questo grande contenitore c’è un sotto-filone particolarmente riconoscibile: le biografie dei grandi capitalisti e delle loro stirpi. I Leoni di Sicilia è un esempio su tutti, ma se ne potrebbero fare decine e decine. Tra i tanti elementi stilistici e narrativi che caratterizzano questi romanzi ce n’è uno che mi sembra particolarmente significativo: l’inizio delle vicende delle famiglie ha sempre l’aria di essere il punto zero della Storia. Il capitalismo è il motore razionale che muove le vicende private e collettive e i grandi capitalisti sono l’incarnazione hegeliana dello Spirito del Tempo. 

Anche in Mensaleri buona parte degli eventi ruota attorno alle vicende private della famiglia Mensa, del capostipite Nazzaro e dei suoi successori che a fortune alterne guideranno la cartiera, ma con due differenze essenziali rispetto alla tendenza appena descritta: esistono antefatti remoti, antecedenti all’attività della fabbrica, che mescolano la storia con il mito e annacquano l’evolversi razionale delle vicende con una dose di magia e misticismo. Si aggiunga poi che non c’è niente di razionale nel modo in cui i Mensa gestiscono la cartiera. Wu Ming 2, infatti, immagina che ciascun membro della famiglia Mensa si affidi, per prendere le decisioni sulla gestione della fabbrica, a un mago di nome Horus. Ogni Mensa ha il proprio Horus (nel romanzo si racconta soprattutto di Horus I e Horus III, che sono nonno e nipote e collaborano con Nazzaro e Celso Mensa). Sarebbe bello pensare che questa trovata sia soltanto un pretesto di Wu Ming 2 per fare ironia sui dirigenti aziendali, invece cercando su internet si può facilmente scoprire come i maghi siano ancora oggi a tutti gli effetti dei professionisti a cui gli imprenditori e i grandi dirigenti ricorrono per prendere decisioni importanti sui propri investimenti, non solo nell’industria ma anche nella finanza. Il capitalismo non è che misticismo legalizzato.

Da un romanzo con delle premesse simili, scritto da uno dei Wu Ming, il lettore potrebbe aspettarsi una forte coscienza collettiva delle classi popolari, la voglia di sindacalizzarsi e di unirsi, il desiderio di rivalsa contro i padroni. Al contrario, Wu Ming 2 colloca le vicende in un paesino non politicizzato, dove non ci sono mai state grandi rivolte sindacali e dove persino la repressione fascista era stata debole, perché non serviva. Gli abitanti di Mensaleri del Duemila sono sempre indicati con la prima persona plurale e costituiscono un personaggio unico, un “noi” collettivo, ma è una coscienza di classe che non si è ancora formata, un riconoscimento che deve ancora costruirsi. In questo senso mi sembra che Wu Ming 2 riprenda il modo di fare dei naturalisti francesi e consideri la letteratura come esperimento, tentando di indagare attraverso l’atto stesso di scrivere e immaginare una trama le possibilità reali di costruzione di una comunità a partire dal niente. Cosa accadrebbe se in un paesino dilaniato dalla crisi industriale un gruppo di cittadini facesse un corso di teatro e provasse a mettere in scena la propria storia facendo ricerca d’archivio? È la trama di Mensaleri, ma è anche una questione politica, a cui Wu Ming 2 prova a rispondere scrivendo. 

A questo proposito è ancora utile citare un passaggio del pamphlet con cui abbiamo aperto questo pezzo. Scrive Wu Ming 2: «Come non esiste una memoria condivisa, ma soltanto memorie particolari, parziali e di parte, allo stesso modo le (presunte) “verità di disvelamento” della letteratura sono sempre il prodotto di un gioco prospettico, dove tutto quanto scopro, lo scopro a partire da un punto di vista ben situato, con i suoi interessi e i suoi bisogni». La memoria storica non è memoria universale. Basta pensare a tutte le operazioni di revisionismo, operate tanto al livello sociale quanto culturale, che l’attuale governo fascista sta mettendo in campo per capire che ogni tentativo di narrazione universale e non situata degli eventi storici è un tentativo farlocco. «Qualunque senso degli eventi narrati […] risulterà sempre falso e mancante. Al contrario, io penso che la caratteristica delle verità letterarie sia proprio quella di dividere, come fa sempre il pensiero. I romanzi storici che cercano il consenso, l’accordo, la pacificazione nazionale, la rimozione dei conflitti, la narrazione condivisa sono destinati a fallire. Non si può fare letteratura impunemente». 

Nel corso del romanzo la comunità di Mensaleri farà emergere molte circostanze che loro stessi avevano rimosso. A partire dai partecipanti al corso di teatro e dal gruppo di adolescenti del paese, si costruirà una nuova coscienza collettiva che ridimensionerà la centralità della fabbrica nella storia di Mensaleri. Wu Ming 2 ha il merito di mostrare, con la sua prassi di scrittura, che non può esistere la verità, ma solo delle forme di disvelamento. 

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