degli oleandri

degli oleandri
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Siete mai stati a prendere ombra da qualche parte sotto un oleandro? Probabilmente no, altrimenti sareste andati in ospedale per intossicazione. Mille volte meglio morire sotto il sole. 

Stiamo parlando di piante che, per la loro bellezza e resistenza, vengono scelte dall’amministrazione comunale per decorare giardini, aiuole pubbliche, i divisori delle tangenziali e delle autostrade. Sono bellissimi, hanno bisogno di poca manutenzione, vivono sotto il sole cocente come un cactus vive nei deserti Rossi del Messico, sono sempreverdi. Ma per essere creature così apparentemente perfette deve esserci un trucco. Sono il demonio delle piante mediterranee. Anche il loro nome scientifico incute terrore: Nerium oleander, l’unica specie nota del suo genere. Probabilmente, ha fatto fuori la concorrenza con il tempo, silenziosamente e senza sporcarsi le mani. 

Non puoi toccarle, non puoi odorarle, non puoi farci il fuoco se le poti; le loro esalazioni tossiche percorrono la storia: si racconta che, durante le campagne napoleoniche in Italia, abbiano ucciso un gruppo di soldati che ne avevano usato i rami come spiedi per cuocere il cibo. Forse un alleato dell’indipendenza del Nord Italia, forse semplicemente la riprova del fatto che è un vero e proprio stronzo. 

I fiori degli oleandri sono carini, ma non così stupendi. E lui che fa? Te ne fa esplodere nella bella stagione talmente tanti e di colori fottutamente diversi sulla stessa pianta che l’effetto wow è assicurato e la gente impazzisce per averne almeno uno in casa, totalmente inutile, a prendere spazio in giardino. Gli oleandri ricordano tanto quelle persone invadenti che ti piombano un giorno in casa e iniziano a rilasciare tossine: quando ormai l’ambiente diventa irrespirabile, tu non puoi fare altro che andartene “perché l’oleandro è cresciuto così tanto, ed è diventato così bello che è un peccato tagliarlo!” Forse sono alieni venuti da un’altra regione dell’universo e stanno provando a invaderci. 

I fiori profumano? No, e i loro semi sono tossici. Le foglie sono utili per fare le infusioni? No, sono tossiche. Gli uccelli ci fanno i nidi? No, perché le loro tossine provocano infarti, problemi neurologici o motori, per poi arrivare alla morte. La loro conformazione interna è, inoltre, costituita da rami estremamente elastici che, mi sono sempre immaginata, farebbero un effetto catapulta nel momento in cui i piccoli pulcini iniziano a lasciare il nido. Crudeltà allo stato puro. 

Intorno a casa ce ne sono diversi. Mai potuti toccare e da lì ho iniziato ad odiarli. Come quando sei piccolo e ti dicono di non toccare i denti di leone perché altrimenti fai la pipì nel letto, non a caso li chiami “piascialletto”; poi li tocchi e passi la notte ad aspettare il momento in cui accadrà, ti farai la pipì addosso. Tocchi l’oleandro e, senza nemmeno avere il coraggio di dargli un soprannome, passi la notte ad aspettare di morire. 

Se uno si documenta su internet, non c’è molto da trovare su queste piante, abbastanza average e passivo aggressive. Leggo, però, che per velenosità sono assimilate alla Digitale purpurea e qui mi struscio le mani soddisfatta come una mosca sulla marmellata. Fortunatamente Pascoli scelse questa pianta per la sua poesia e non l’oleandro, di cui possiamo continuare, almeno, a sottolineare la banalità. Rachele e Maria si incontrano dopo anni e ricordano la giovinezza passata al convento locale, rievocando anche la scena in cui la Madre Maestra mette in guardia le allieve da particolari tipologie di piante, in particolar modo la Digitale purpurea, presente nel giardino del convento come simbolo del male che dimora dentro al bene, il frutto dell’albero della conoscenza che si è camuffato da fiore peccaminoso. Rachele racconta a Maria che, alla fine, non ha resistito e ha toccato il fiore della morte. Se avesse visto un oleandro, non avrebbe mai annusato il banale grappolo di fiorellini rosa e bianchi, privandosi dell’esperienza della trasgressione e dell’erotismo in un “languido fermento d’un sogno”; non avrebbe mai intrapreso il cammino verso la morte dell’anima perché l’oleandro era troppo noioso e dall’aspetto poco peccaminoso, una pianta-pavone che sta bene solo sulle autostrade d’estate e con cui al massimo puoi compiere, per vigliaccheria, un avvelenamento da tisana. 

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