non avere più spazio dentro casa 

non avere più spazio dentro casa 
[Tempo di lettura: 2 pignalenti]

Vivo dentro una casina deliziosa di trenta metri quadri, ha un pavimento con piccole maioliche blu scuro e rosse, poster scelti con cura durante gli anni, un frigorifero ricoperto di cartoline belle fermate da magneti brutti, parole magnetiche tratte dai libri di fantascienza, una lavagnetta sbiadita con scritto in un nero petrolio, ormai indelebile: comprare zucchine romanesche – salsa di soia – miele, in alto una faccina sorridente. La cosa bella della casina è l’accumulo di tutte le cose prese nei momenti in cui non vivevo la casa, la comunicazione tra la me fuori e la me dentro, il brutto è che io, ormai, non c’entro più.

Partiamo dalla stanza da letto: ho un armadio minuscolo, senza scaffali, nel quale i miei vestiti sono arruffati uno sopra l’altro, l’anta è così attaccata alle doghe del letto che non si può aprire completamente, quindi ogni mattina con una mano frugo nella fessura e solo qualche minuto dopo scopro come mi vestirò. Ovviamente l’armadio non tiene tutti i miei vestiti che sono stati messi in sacchi della spesa e riposti sotto il letto, luogo temibile che ospita una quantità di insettini della carta da far spavento, ho teorizzato una gerarchizzazione della società della polvere e un re enorme che si nasconde negli interstizi delle buste che prima o poi mi strozzerà nella notte. Anche se probabilmente rimarrebbe incastrato anche lui tra l’armadio e il letto. Chissà. 

Vogliamo parlare delle librerie? Ne ho tre, ognuna con tre file di libri accartocciati. La più grande contiene dentro ogni cosa: caramelle, medicine, una radio rotta, una serie di tazzine da caffè, la mia alga giapponese (chiamata alghina), cappelli, giochi da tavolo (ne ho una della pimpa incredibile perfetto dai 4 anni ai 99, come tutti i miglior giochi). Ora ho iniziato ad accumulare libri per terra, impilati, come nelle migliori case di design, così ho una scusa per spazzare una parte in meno di casa (pigrizia batte sporcizia, sempre). In tutto questo, un mese fa il mio ragazzo è tornato a casa con una televisione a tubo catodico perché “non potevo lasciarlo ai bordi della strada, è già un pezzo di archeologia tecnologica” (leggetelo con un tono a metà tra phil dunphy e un radical chic-trekking di trent’anni che lavora nel cinema e parla di psichedelici come di una cosa di nicchia) e quindi adesso in mezzo alla nostra stanza da letto c’è un ospite veramente ingombrante con cui ho fatto amicizia (l’ho chiamato clamore il televisore) e penso mi protegga dal re degli insetti. Che dire, da un lato vorrei avere i soldi necessari per comprarmi un armadio grande, o forse anche di spostarmi, di immaginarmi in una casa in cui posso ballare, di avere un piccolo giardino dove piantare dei fiori, ma il lavoro che faccio non me lo permette, anzi pagare l’affitto è sempre più difficile. 

E alla fine, forse, mi sento cullata tra le pareti che mi stringono e mi ricordano che sono una persona minuscola in una casa minuscola, dove gli armadi parlano con le doghe del letto e i libri sono costretti a chiacchierare con i cappelli. E dove le televisioni hanno un nome proprio (proprio come nella pimpa).

Condividi: