La termodinamica insegna che un corpo caldo tenderà spontaneamente a trasferire energia a un corpo a temperatura inferiore fino a raggiungere l’equilibrio termico. Solo che il corpo freddo, in questo caso, è il mio. Fuori dalla finestra, il sole batte feroce sull’asfalto generando una corrente di aria rovente che entra attraverso gli infissi aperti del mio soggiorno. È arrivato il momento della giornata in cui si rende necessario abbassare la tapparella fin giù per limitare al massimo l’ingresso di calore: per schermare le radiazioni elettromagnetiche solari, creando ombra artificiale, ma anche per fermare i moti convettivi di questi venti ascendenti.
Questo gran caldo però, lo sappiamo oramai molto bene, è un’anomalia, effetto del cambiamento climatico. Per Timothy Morton, filosofo esponente della corrente della Object-Oriented Ontology, il riscaldamento globale rappresenta magnificamente la categoria di “iperoggetti”: oggetti tanto densamente distribuiti nel tempo e nello spazio che trascendono qualsiasi determinazione puntuale in un movimento anti-riduzionista totale.
In quanto iperoggetto, il riscaldamento globale non è facile da afferrare per il nostro intelletto. Si dipana sulla dimensione temporale in un vortice che non possiamo cogliere. Noi siamo limitati al presente. Non abbiamo organi di senso che percepiscano il passato o il futuro e usiamo previsioni e memorie come stratagemma per ovviare a questa mancanza strutturale. Il riscaldamento globale affonda le sue radici nell’invenzione della macchina a vapore e i suoi effetti hanno tentacoli lunghi centinaia di anni.
Eppure il clima è fatto di cose concrete: le gocce di pioggia, i fulmini durante un temporale, l’aria rovente, il sole. Ma ogni oggetto rimanda inesorabilmente a qualcosa di più grande, a un fenomeno più complesso di cui trovare le origini esatte è impossibile. Perché piove proprio qui, proprio ora? Le molecole di acqua che mi stanno bagnando i vestiti, precipitando per migliaia di metri sotto forma di pioggia, dove erano prima? Gli iperoggetti, dice Morton, si ritraggono costantemente e allo stesso tempo sono viscosi, appiccicosi. Non possiamo mai afferrarli del tutto, ma evitarli è impossibile.
Il mondo si sta scaldando ma in certi luoghi fa sempre più freddo. Si va incontro alla siccità eppure nella mia città la primavera è stata segnata da allerte meteo a settimana alterne, con piogge intense che facevano regolarmente traboccare le caditoie pluviali lungo i marciapiedi. Anche il caldo di ora è l’ennesimo promemoria che le cose stanno cambiando, che le nostre azioni come umanità hanno una conseguenza. Il mondo in cui viviamo non è più materia neutra e inerte alla nostra presenza ma reagisce e risponde, mostrando spesso una potenza che la tecnoscienza umana fatica a governare. E così anche il clima: se prima la sua imprevedibilità poteva essere ascritta a una o più entità superiori che usavano la metereologia come strumento di tortura psicologica dell’umanità, ora che siamo in grado di afferrare le sue leggi scopriamo che abbiamo fatto un casino. Con l’antropocene si sono messi in moto cambiamenti che, una volta superata la soglia critica – detta anche punto di non ritorno – porteranno a mutamenti irreversibili e il clima non ha certo perso la sua aura inquietante. Ecco che il caldo che sento diventa emanazione di questo iperoggetto, l’alterazione delle condizioni climatiche, e non posso più lamentarmi di quanto sto sudando senza avere un brivido di eco-ansia: tra dieci anni, che estate ci aspetterà?
Alla fine dell’Ottocento arrivavano gli ultimi strascichi della ‘Piccola era glaciale’ regalando all’Europa inverni rigidi e nevi che si protraevano per molti mesi. Mi fa tenerezza pensare a Svante Arrhenius, grande studioso di chimica ed elettrochimica, che nel 1896 guardava i risultati dei suoi calcoli sulle emissioni industriali. A forza di immettere tanta CO2 nell’atmosfera, finalmente grazie a questo gas serra il mondo gelido e inospitale si sarebbe reso un po’ più accogliente verso la vita umana.
Le cose sono un po’ sfuggite di mano, per così dire. E la resistenza nel cambiare il paradigma con cui concepiamo la presenza umana sulla Terra lo ha tramutato in superstizione. Gli artefatti tecnologici basati su conoscenze scientifiche hanno stravolto la vita degli esseri umani portando moltissimi comfort che un tempo non erano immaginabili. Questa scienza che ci ha portato a credere alla promessa del progresso infinito potrà salvarci dal mostro che essa stessa ha creato?
Le idee illuministe di razionalità e di empirismo che tanto volevano risvegliare l’intelletto dalle tenebre della affabulazione religiosa oramai ci hanno fatto ricadere in una nuova credenza dalle basi sempre più incerte: quella che la scienza potrà risolvere tutto. Forse, fare un passo indietro, ricredersi sulla onnipotenza scientista, potrebbe aprire nuovi spiragli di orizzonte per ricostruire una visione del mondo che sia abitabile. Ma avere caldo non sarà mai più solo una sensazione: rimarrà, marchiata nella nostra psiche, la manifestazione di un fenomeno che minaccia la nostra stessa esistenza su questo pianeta.
Quindi sì, sono stanca di boccheggiare nell’afa estiva della pianura padana, di dovermi fare almeno due docce al giorno e di poter uscire all’aperto solo quando il sole è calato.