Vomitare, dare di stomaco, rigettare, rimettere, rigurgitare, sboccare, sbrattare, sbrosciare, vorrei che leggere questo stanca di evocasse le sensazioni peggiori. I capelli legati, lo stomaco attorcigliato, il fiato che si strozza, le lacrime agli occhi, l’amaro in bocca e la mano che si appoggia alla tavoletta del cesso per evitare di cascarci dentro.
Focus dice che abbiamo 500 milioni di neuroni che governano il nostro apparato gastrointestinale e formano il cosiddetto sistema nervoso enterico, elemento che ha indotto gli scienziati a dire che lo stomaco è il nostro secondo cervello. Praticamente è un circolo demoniaco: situazioni di ansia o stress provocano conseguenze di irritabilità gastrointestinale e allo stesso modo – leggo su un sito a caso dalla dubbia affidabilità – un sistema gastrointestinale malfunzionante influisce sulla salute mentale, portando ad emozioni di vergogna, isolamento, preoccupazione e insoddisfazione per il proprio corpo e queste emozioni, soprattutto se provate per lunghi periodi, possono rendere più vulnerabili all’ansia e alla depressione. Mi stupisco, abbiamo due cervelli eppure non ce n’è uno che sia in grado di farci capire quando dire “no grazie” al settimo gin tonic che forse è di troppo.
Non ho più diciott’anni ed è finito il tempo in cui il mio corpo era elastico abbastanza per bere molto alcool e farmi passare una serata divertente, o al massimo farmi vomitare nel bagno di casa mia e poi mandarmi a letto serena. Finite da un decennio le epoche della vodka alla pesca e del cuba libre, oggi anche con gli alcolici più sofisticati non reggo. Fingo e annuisco quando mi dicono “eh no, si sente la differenza, se bevi un gin buono la mattina ti svegli e sei un fiore”. Tutto falso, stai una merda comunque a piangere sui tuoi errori.
Un po’ come nella vita, quando bevo vorrei che le azioni non avessero conseguenze. A un certo punto della serata invece sono costretta a dare una scossa di razionalità al mio cervello, rientrare in uno stato totalmente cosciente, non perchè non voglio perdere il controllo, ma per prevenire lo scenario più infausto, il più disastroso, cioè la nausea, il giramento di testa, lo stomaco in subbuglio, la notte in bianco e il vomito rigorosamente la mattina dopo, per lasciarti patire il più possibile. Il mio stomaco, poi, ha iniziato a odiarmi talmente tanto che dopo aver vomitato rimane sensibile per una decina di giorni, rappresentando un monito costante e un rimprovero perenne per i miei errori.
Sono stanca di affrontare l’idea di andare a far serata come si affronta una partenza per una lunga traversata, quella che – spero – mi porterà alla mattina successiva senza troppi danni: prima cenare riempiendo bene lo stomaco (le uova sono perfette) intervallare la bevuta alcolica con acqua (quindi uscire sempre con una bottiglietta appresso, mi spiace per chi ama le borse piccole ma non sono adatte), fumare una sigaretta (qui le opinioni sono discordanti, per me asciuga l’alcool in corpo, per altri fa salire la botta), coprirsi sempre la pancia per non rimanere vittima dei colpi di freddo, fare lunghe passeggiate prima di andare a dormire per smaltire un po’. Con questo spirito esco a divertirmi. Ma si può? Forse devo solo dire basta a quegli amici che mi inducono in tentazione, si scolano litri di vino e rimangono immuni all’acidità. Stanno benissimo e non vomitano mai. O, peggio ancora, sviliscono l’ansia di vomitare e il trauma che questo comporta: vomitano e si riprendono subito, addirittura escono freschi dal bagno del locale e si bevono un’altra cosa. Loro sono satana e forse è di loro che sono stanca.