Sono stanca degli autovelox. Quando l’ho espresso ad alta voce l’ultima volta mi hanno assimilata a Fleximan; perché no? Potessi avere il potere di sradicarli mentre, passando, li guardo male, lo farei. L’unica cosa che ci accomuna è il disprezzo per queste macchine sataniche, che spesso sembrano montate apposta in posizioni assurde, poco visibili e mimetizzate con l’ambiente circostante. Se chiedessimo a qualunque lavoratore comunale il perché di tanto impegno nel nasconderli, direbbe sicuramente che è per non disturbare il paesaggio con la presenza di un macchinario tanto brutto quanto fastidioso. Canneti, cespugli, muretti diventano l’avamposto di un agguato al portafogli e ai punti patente dei guidatori.
Eppure, per quanto il mio odio nei confronti degli autovelox mi assimili a Fleximan, le motivazioni non credo siano le stesse, anzi, non ci sarebbero posizioni più agli antipodi. È che mi fanno venire l’ansia e il mio senso di responsabilità schizza alle stelle subito dopo aver superato il punto in cui è posizionata la macchina infernale. Il limite è 50 km/h, lo rispetto, eppure l’oscillazione minima della lancetta del tachimetro può segnare il destino tra una multa e una non multa. Allucinante e mentalmente stancante. È un’ulteriore coercizione che porta i frustrati delle strade ad accelerare all’impazzata subito dopo averlo superato e i più prudenti ad andare talmente piano che i primi li supereranno anche in curva e aumenteranno esponenzialmente i rischi di un frontale.
La strada statale che connette casa mia alla città più vicina ha tre autovelox, due all’andata e due al ritorno. Ma 2+2 fa quattro! No, non sempre. Perché il mostro che si trova dopo la galleria fa doppio servizio, misurando la tua velocità da 30/40 metri di distanza fino al suo superamento all’andata e viceversa al ritorno. Per cui sono quattro le volte in cui devo assolutizzare la mia attenzione al tachimetro e fare rituali strani per non dimenticarmene. Il viaggio si trasforma in una prova di memoria in due fasi: ricordarmi la posizione del macchinario, ricordarmi che ho effettivamente proseguito a 50 all’ora per il tempo necessario al fine di non farmi arrivare una letterina dalla municipale. Questa cosa stanca tantissimo. Quando, tornando a casa da fuorisede, prendevo la macchina dopo un mese, il terrore era dietro l’angolo: passavo da stradine sconosciute, evitavo ogni forma di strada civilizzata pur di non avere la responsabilità di ricordarmi che per quei 30 metri avrei dovuto rallentare a tutti i costi.
Una volta ero talmente ripiegata nei miei pensieri che ho rallentato, ho superato l’autovelox e poi ho frenato bruscamente: non ero stata abbastanza attenta alla velocità che avevo mantenuto. Mi hanno sfanalato, mi sono messa a piangere e ho vissuto per un mese con il magone che mi arrivasse una multa.
La loro bastardaggine è pari al numero di telecamere disposte per controllare che non vengano manomessi o distrutti. Tant’è che mi sono documentata ossessivamente sul funzionamento di un tipo in particolare. Non il peggiore, ma sicuramente il più diffuso: le torrette anche dette “dissuasori di velocità”. Affari arancioni a strisce nere, orrendi calabroni di plastica dotati di lumini lampeggianti sulla sommità e quattro occhi laterali: due quadrati e due tondeggianti. Il motivo per cui l’ho fatto è che un giorno, passando per una via che contiene ben 20 di questi simpatici oggettini, mi sono ricordata di quello che mi aveva detto un mio amico, una decina di anni fa: sai, questi qui non funzionano davvero, li tengono solo perché la gente ha paura e quindi va piano e loro non spendono per far rispettare la legge sulla velocità. Che odio, mi prendete pure per il culo e giocate sulla mia ansia. Ci credo poi che li voglia sradicare dalle fondamenta e dargli fuoco, sarebbe l’unico modo per far risultare l’arancione un colore gradevole.
Una volta il caso mi ha portato a sostare esattamente accanto a una di queste torrette per un tempo ragionevolmente lungo da poterla osservare da vicino e mi sono accorta che era tutto vero: la macchina era vuota, celibe ma comunque utilissima nella sua antifunzionalità. Mi sono chiesta se non basti questo per essere legittimati nel mondo: stare fermi in una posizione e dire che si ricopre un determinato ruolo, ma essere in realtà vuoti come un dissuasore di velocità. Oppure è meglio funzionare apertamente, ma ricoprire il ruolo di spia del sistema, come quelli che non scattano con il flash e sono nascosti dai canneti. In entrambi i casi, non vorrei mai essere un autovelox.