di essere fra gli amici più stretti

di essere fra gli amici più stretti
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Da quando Francesca ha lasciato Marco, condivide la sua quotidianità attraverso le storie Instagram limitate agli amici più stretti. Lo so perché sono finito lì in mezzo. Francesca pubblica video da circa un minuto a cui applica regolarmente un filtro: il filtro BW beauty di carlsph, ad esempio, rende l’immagine bianca e nera e rafforza i contrasti; il filtro Oslo riscalda delicatamente il tono della pelle e dona un aspetto naturale all’immagine. Fisso la sua acconciatura curatissima nel sembrare spontanea, i capelli legati indietro e la frangetta riccia un po’ spettinata. È appena uscita dal portone di casa, passeggiando mentre parla allo schermo ci comunica solennemente di aver deciso di disinstallare Bumble – con una storia di qualche giorno fa annunciava invece di aver appena scaricato Bumble, e che, se avessimo voluto, avremmo potuto chiederle gli screen del suo profilo, così che potesse mostrarci le sue abilità nel rendersi visibile sulle dating app. Ci dice anche di doversi concentrare sulla tesi e sul suo spettacolo in teatro, che sente il bisogno di stare da sola.

Francesca è una delle mie migliori amiche, eppure la vista di un contorno verde intorno alla sua immagine del profilo, in alto a sinistra del feed, mi innervosisce. Mi costringo a guardare con attenzione tutte le sue storie, ad ascoltare i suoi discorsi, pronto a saper interagire con lei se mai accettasse il mio invito a uscire per fare due chiacchiere, eppure non accetto la finzione posticcia del suo tono attoriale mentre comunica al mondo, al suo piccolissimo mondo di amicizie intime che lei chiama “ame”, che ha fatto e pensato questo e quello, che aspetta la macchina dal meccanico, che Marco era l’amore della sua vita. Odio la sua spontaneità forzata quando ci mostra il suo outfit per la serata in discoteca che oggettivamente le sta molto bene ma che io, che in discoteca non ci vado, non vedrò mai.

Luca, un ragazzo sardo che non vedo da almeno cinque anni, si sente persino in diritto di tenere delle rubriche per noi, amici intimi che lui chiama “follettini e follettine verdi”. Racconta i suoi viaggi (le tappe del suo “Luca tour”), esegue per noi deliziose ricette (“Luca cooks”), condivide il suo amore per Philip Roth. A nice office for the week, scrive mentre posta una foto della biblioteca del congresso americano. Guardo quelle immagini da chilometri di distanza e mi rendo conto che non sono per il mondo ma per me, proprio per me, che lui sperava che io vedessi il suo ufficio per quella settimana. 

Cerco di seguire meno persone possibili, soltanto quelle che conosco o di cui voglio attirare l’attenzione. In molti casi, per me, seguire le persone è un gesto di cortesia o un convenevole sociale. Periodicamente scorro la lista dei seguiti e faccio incetta di profili ormai per me inutili o non interessanti, scandaglio l’elenco di coloro che posso finalmente unfolloware perché non ci parliamo più, non viviamo più nella stessa città, non c’è il rischio che io possa incontrarle per strada o a una festa. Succede con i conoscenti, con le amiche delle mie ex, con vecchi colleghi. Succederà prima o poi con Francesca e con Luca. 

Mi chiedo quale sia il senso di limitare un contenuto a una cerchia ristretta di persone che, in molti casi, non ti ha chiesto di riceverlo, se non sia una forma estrema di ricatto narcisista: “devi guardare quello che ho da dirti perché sei un destinatario speciale di questa inutilissima storia”. Penso, poi, che le loro storie di Instagram non siano affatto diverse da questo pezzo, da questo sfogo superfluo che spero Francesca e Luca non leggeranno mai, perché io, come loro, quando scrivo non ho la forza né la bravura di inventarmi nulla, racconto soltanto quello che mi succede, posso mettere in ordine le idee soltanto infilando una serie di pensieri e fatti veri, come è vero che Francesca ha lasciato Marco e che Luca lavora da Washington, ho avuto soltanto la decenza di cambiare i loro nomi. Io sono costretto a scrivere questo pezzo per motivi editoriali, perché ero l’unico in redazione che aveva tempo libero, ma loro perché lo fanno, perché loro non hanno pudore mentre io sì?

Scrivo queste frasi a distanza di due settimane dalle precedenti, nel frattempo ho incontrato Francesca. Sta bene, mi ha raccontato tutto quello che aveva già detto alle ame, me compreso, su Instagram. Abbiamo chiacchierato come se non avessi mai visualizzato in modo ossessivo le sue performance social. È il mio turno di raccontare la mia vita: non faccio altro che inventare cazzate. Dico che tra qualche settimana inizierò uno stage per Mondadori, che ho fatto sesso con Chiara e ho litigato con Andrea, che anche Lucia mi tradisce regolarmente, che mia nonna è in punto di morte. Esagero sempre di più fino a farla arrivare alla commozione, all’angoscia, alle lacrime. Non sono più felice, ho pensato al suicidio. Mi offre il suo aiuto e io lo rifiuto sprezzante. Trovo autenticità soltanto nella finzione, mi attacco morbosamente a qualsiasi forma di invenzione per crearmi una realtà piena di reaction. Trasfiguro ed esagero le mie paranoie fino a perdere i confini tra realtà e finzione, tra mondo fisico e virtuale, tra pensiero e immaginazione. Andiamo via dal bar e mi sento completamente svuotato, cammino sulla mia versione dei fatti.

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