La mia scrivania mentale, così come quella fisica, ha tutto sotto controllo. Una settimana tranquilla scandita da consegne, studio e lavoro. Mi ripeto che non sarà niente di inaffrontabile e ci credo fermamente, talmente tanto che mi metto a fare altro perché so che la mia organizzazione me lo permette. La giornata passa in un soffio, sono stanca, provo a continuare il lavoro che ho iniziato con un’ora di ritardo, ma non riesco a concludere nemmeno la metà delle cose che mi ero prefissata.
All’esterno il sole carica il paesaggio di tutti quei caldi cromatismi che l’autunno ci offre per un periodo sempre più limitato. È l’occasione per andare a fare un giro nei boschi, organizzarsi per fare qualche esercizio all’aperto, stare un’oretta o due fuori e godersi la pace e il silenzio che circondano il nulla più assoluto sul monte, oppure potrei iniziare quel disegno che ho in progetto da circa sette anni. Un imprevisto, una piccolezza che non mi ero ricordata di aver tralasciato, mi porta a impiegare quelle due ore a risolvere un altro problema. Ormai le giornate sono più corte, l’orario migliore per uscire è saltato, non posso far altro che starmene a casa senza aver visto niente.
Sulla scrivania ci sono almeno quattro giorni di arretrati, riorganizzo tutto in una tabella Excel; non soddisfatta la replico anche su carta, così mi imprimo meglio i compiti da portare a termine e la cadenza con cui farli. Una chiamata interrompe questo fondamentale lavoro di schedatura e mi ricorda che è giunta la scadenza per quella cosa che per settimane mi sono sollecitata a fare. In più c’è una riunione, in più c’è una lezione da fare, poi c’è da scrivere e da studiare – se solo avessi il tempo di dedicarmi a quel progetto futuro, invece che continuare su questo qui che dovrei aver già finito. Nessun problema, ho tutto sotto controllo e posso organizzarmi al meglio ridisegnando un’altra tabella colorata.
L’ansia sale perché è solo una questione di procrastinazione a lungo termine e devo cercare di organizzarmi; è proprio il concetto di organizzazione che è un repellente al mio senso di responsabilità. L’inclinazione a quella maleducatissima abitudine di far sempre tutto con un quarto d’ora di ritardo, anche in contesti in cui ho tutto il tempo del mondo e potrei sfoggiare la puntualità di un orologio svizzero, è un fenomeno che va oltre qualsiasi volontà di matura pianificazione degli eventi. Fare quelle tabelle così ordinate è come essere dio: imprigioni il tempo e lo incaselli secondo le tue necessità, apparentemente. Organizzare la giornata non sembra niente di impossibile, così come organizzare la settimana, il mese e pure l’anno, quando hai una bella tabella che ti crea confini entro cui decidere cosa è essenziale e cosa no.
Ma se la bella giornata che è all’esterno ti chiama e ti dice che è meglio andare a fare esercizi nel bosco? Dopotutto, anche quello è parte del tuo piano annuale, se lo fai il martedì puoi avere libero un giorno nel week end. Poi, il fine settimana ti ritrovi a far diventare uno dei due giorni il martedì che hai barattato per un sabato, ma non dovrebbe essere così traumatico. E invece lo è.
Perché la maledetta tabella ti illude di poterti rinchiudere in giornate tipo dai confini prestabiliti che non puoi superare, ti dà quel senso di sicurezza: intrappolare il tempo e gli impegni dentro un’organizzazione ferrea insieme a te stessa, senza scampo, che ti guiderà nel completare tutto quello che ti sei prefissato e che è così importante per la tua vita, altrimenti non l’avresti inserito nella tabella. Però, una via d’uscita la trovi sempre: posso lavorare fuori, posso studiare al bar, posso… non organizzarmi, che tanto non cambia niente. Per esempio: scrivo lo stanca di, però ho una consegna la cui scadenza era giovedì scorso.
Adesso mi metto a fare una tabella, mi organizzo e consegno il pezzo entro domenica. Spoiler: non lo farò.