Da quando ho deciso di scrivere questo stanca di è passato almeno un mese. In un mese succedono molte cose. Non ricordo più per quale motivo specifico fossi stanca del futuro, ricordo solo che ero nella mia stanza, con il pc davanti, e avevo una voglia matta di scrivere che pensare al futuro era una cazzata enorme.
Proverò a ricostruire per gradi quello che ha innescato questo senso di rifiuto per dare un senso a quello che provavo e ascoltare quella versione di me che è esistita ed è definita in un tempo e in uno spazio, quello del passato.
Se è vero che solo gli indoeuropei sono riusciti a introdurre quello che era una sorta di proto futuro, il desiderativo, perché hanno iniziato ad avere delle aspettative che andavano oltre la loro quotidianità e si interessavano anche del ‘molto più tardi di adesso’, potremmo dire che il futuro è la percezione che abbiamo che le cose debbano andare in un determinato modo, perché desideriamo che, almeno per il nostro sé futuro, la vita sia migliore di come la viviamo nel presente. È un pensiero ricorrente, infatti, negli ultimi cinque anni, che non ci sia più tempo, che sia terminato il periodo in cui si poteva guardare al molto lontano da qui per poter effettivamente raggiungere un obiettivo. Gli obiettivi devono essere raggiunti tutti, ormai; se non è così, o li stai raggiungendo o sei fuori tempo, addio.
Dopo i 25 anni gli obiettivi sembrano vanificarsi in quelle tre categorie che fino a un attimo prima avevamo deciso che non ci avrebbero condizionato la vita: lavoro, famiglia, tempo libero standard.
Anche adesso sono seduta a quella stessa scrivania di qualche settimana fa e mi sembra assurdo pensare che proprio nel futuro, rispetto a quando ho deciso di scrivere, io non abbia la più pallida idea di quello che sentivo. Mi dispiace, me del passato, che avevi questa magnifica urgenza di partorire un ragionamento utile e lineare sulla gestione del tempo, ma questa versione futura è stata risucchiata in un vortice dopaminico di impegni che l’hanno distolta…
Ah, ecco, ora ricordo; è iniziato tutto mentre studiavo un’opera degli anni Settanta; l’artista, mi aveva raccontato di come, a quel tempo, non avesse sentito la necessità di documentare le sue azioni performative perché in quel periodo si viveva il presente e non ci si ponevano dubbi riguardo all’impatto delle azioni sui posteri, sul futuro in generale. Era importante il qui e ora, per cui niente documentazione.
Ricordo che ho iniziato a pensare che è proprio vero: il momento più alto di libertà temporale che ognuno può riuscire a raggiungere è quello legato alla mancanza di aspettative, ovvero alla mancanza di un pensiero strutturato su ciò che vorremmo avvenisse. Non è un’inconsapevolezza dettata da una maturità claudicante, quanto la tappa di un percorso di svincolamento da logiche parassitarie che, in quel momento, mi sembravano voler togliere valore al presente perché ancora non era giunto al momento futuro sperato e lo rendeva semplicemente un miraggio o il desiderio dettato da un’ossessione.
Non siamo in un paese che permette di pensare al futuro in modo sano, al punto che persone più giovani di noi – molto, ma molto più giovani – parlano già consapevolmente del fatto che nessuno, secondo i parametri attuali, percepirà mai una pensione – personalmente, ho deciso di morire prima dei sessant’anni, per cui la cosa non mi preoccupa. Tuttavia, siamo inseriti in un sistema che ci richiede di pensare al futuro per non essere più nella situazione presente, per trovare qualunque tipo di soluzione o appiglio per giustificare ai posteri che “ce l’abbiamo messa tutta”, comunque vada. Un futuro come questo non mi entusiasma, è stancante e carico di aspettative che verranno disattese.
Metaforicamente, siamo al livello di Willie Coyote e il suo rapporto con le trappole per mangiarsi Beep Beep: non è importante che i piani di realizzazione del nostro unico obiettivo siano logici, funzionali, letali; il caso riuscirà sempre a dissolvere le aspettative. Desideriamo prendere il pollo portandolo a schiantarsi contro la riproduzione iperrealista di una galleria? Beep Beep riuscirà ad attraversarla e, ancora peggio, quando controlleremo secondo quale magia l’opera è diventata realtà, saremo travolti da un tir o da un treno.
Il futuro non ha logica, è il Road Runner che distrugge e imbroglia ogni nostro sforzo per giungere a un obiettivo. E’ una percezione che ha troppe dimensioni per trattarlo al pari del presente e del passato.