Recentemente mi hanno parlato della curva della conoscenza, una teoria formulata negli anni Novanta da tali David Dunning e Justin Kruger, per cui chi non ha competenze su un certo argomento si esprime sopravvalutando la propria cognizione di causa, mentre chi ne sa riconosce la finitezza della propria conoscenza. 

Voglio essere precisa, allego il grafico di questa curva:

Sull’asse delle ordinate (quello verticale, non sentitevi offese da questa specifica so che a qualcuna di voi è stata utile) troviamo la fiducia nelle proprie competenze, l’autostima, la sicurezza con cui ci esprimiamo. Sulle ascisse (orizzontale) l’effettiva competenza. La curva fa questo percorso: prima ci sentiamo iper sicure, ma in realtà non sappiamo un bel niente e andiamo per sentito dire. 

Man mano che decidiamo di approfondire l’argomento, che ne so, ascoltando un podcast o aprendo finalmente quell’articolo di cui avevamo letto solo il titolo, ci rendiamo conto di aver sbagliato, perdiamo completamente la fiducia in noi stesse perché ci sembra impossibile capirci qualcosa. Solo dopo, acquisendo informazioni ed esperienza sul campo, iniziamo a fissare qualche coordinata sul tema, risollevando minimamente la nostra autostima. Infine, andando ancora avanti sull’asse delle conoscenze, la sicurezza in noi stesse si assesta su un livello dignitoso, che ci permette di riconoscerci qualche merito, ma che ci costringe ad accettare che il mondo, la conoscenza e tutto il resto siano cose molto complicate.

Allora, io sono stanca della curva della conoscenza: perché? Direte voi: nell’epoca della normalizzazione dovrei accettare, normalizzare appunto, i miei limiti. Accettare di non sapere. E invece no, devo darvi contro care lettrici. Io sono stanca di non sapere perché non ho questa umiltà di dire che le cose sono complicate, che ci sta non afferrarle tutte, non ce l’ho. Io voglio sapere tutto. Voglio essere la massima esperta di qualcosa, voglio essere citata negli studi e ripresa nei talk. Non mi frega nulla del so di non sapere. Voglio avere le idee chiarissime almeno su qualcosa e voglio saperne parlare con estrema sicurezza. Non ho più voglia di dovermi preparare per un evento, una presentazione o un colloquio. Detesto quella spiacevole sensazione del non avere idea di che cosa il mio interlocutore stia dicendo. Potrei semplicemente ammetterlo, confessare che tutto quel name-dropping mi stordisce e disorienta, invece voglio solo essere perfettamente capace di reggere il dialogo, possibilmente di ribattere e mortificare la persona con cui sto parlando facendola sentire una nullità.

Vorrei lasciarvi con una morale, un’autocoscienza, una politicizzazione della questione, un’analisi marxista del problema, una condanna al capitalismo, alla performatività, alla produzione del sapere, perché no alla precarietà della ricerca e del lavoro culturale. E invece sono tutte cose di cui non so abbastanza perciò questo stanca di finirà così. 

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