L’estate romana non è una stagione, è uno stato di alterazione della materia. È quel momento dell’anno in cui il mio corpo smette di essere solido e aspira a uno stato gassoso, o per lo meno semi-liquido. Scrivo così: sdraiata sul pavimento di casa, le mattonelle di granito mi danno qualche istante di sollievo, prima di prendere il calore del mio corpo e diventare anche loro sudaticce. Il computer è ormai vecchietto e si surriscalda velocemente, le ventole fanno un rumore preoccupante come quello di un vento prepotente. Io lo tengo sollevato in aria perché sennò mi scalda le gambe, è una posizione scomodissima, riesco a scrivere per qualche minuto e poi mollo. Ho sonno, ho dormito poco e male, ogni tre ore mi sveglio sudata fradicia nonostante il ventilatore puntato addosso e le lenzuola appena cambiate. È una situazione tremenda.
L’estate romana può piacere solo se vivi in una casa grande e ben condizionata, o se da giugno inizi a trasferirti alla casa al mare (tre aree: chi ha la casa all’argentario; chi la casa a sabaudia e chi ha la casa a santa marinella), e chi come me cerca ogni anno di scroccarne una, a giro (ci riesco sempre poco, al massimo un weekend perché i proprietari della case sono già in vietnam o in camper nel sud della francia).
Sono stanca della lucidità forzata che serve per sopravvivere. Devi diventare un urbanista tattico, un esperto di correnti d’aria e un rabdomante di nasoni. La spesa si fa all’alba, le commissioni si pianificano prima delle 8 del mattino o dopo le 7 di sera (scherzo alle 8 ancora dormo e alle 7 sono già in piazza a bermi una birra, quindi spesso semplicemente smetto di fare le cose). La mia vita diventa radicalmente diversa: sto a casa tutto il giorno a lavorare al computer, leggere, scrivere, ingerire vitamine, cucinare qualcosa, rigorosamente con le persiane socchiuse e il ventilatore puntato in faccia (una sorta di batcaverna rudimentale e precaria). Non si riesce a uscire prima (per fortuna non devo andare in ufficio) e ho smesso qualunque attività collaterale (sport, mostre, passeggiate etc). Poi quando le persone staccano dal loro lavoro mi trascino fuori dalla porta.
Uscire di casa diventa davvero complesso. L’app dei trasporti smette di essere uno strumento e si trasforma in un generatore di fiction quantistica. L’autobus esiste solo in uno stato di probabilità finché non collassa nell’unica realtà possibile: il vuoto, l’attesa, mi viene da piangere. Spesso decido di circoscrivere l’area in cui uscire da giugno ad agosto: sotto casa. Non ho la forza fisica di spostarmi e le poche volte che lo faccio ho paura di svenire, ho la pressione bassissima, una volta il cardiologo mi ha detto: mi stupisco che lei riesca a stare in piedi. Lol.
La temperatura sale ogni anno e mi sembra che la situazione sia sempre più invivibile per chi, come me, non ha l’aria condizionata, non gode di una seconda casa (nel mio caso manco la prima), non ha la possibilità economica di viaggiare per più di una o due settimane. L’estate romana è bella solo se te la puoi permettere. Il riscaldamento globale è un problema di classe. Non c’è niente da romanticizzare. Vorremmo essere tutti Audrey Hepburn e Gregory Peck ma finiamo per essere quell’uovo al tegamino cucinato sul cofano della macchina dai raggi del sole. Sfrittellato e sofferente (mettete sempre la crema solare anche in città, raggi UV acerrimi nemici, povera ok, ma le rughe tenetevele voi).
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