“Oh, sorridi. Non sei felice?”

Mi stanno guardando tutti. Loro sì, sorridono. Formiamo il cerchio, braccia sudate di cantautore e comica attorno al collo. Sorrido. 

“MERDA, MERDA, MERDA!” 

Il tipo con la cartellina mi fa cenno, qualcuno mi spinge. Sono sul palco, di fronte al mare di persone. 

“BUONASERA SAN GIOVANNI – urlo – BUON PRIMO MAGGIO!” 

Dentro sento solo fatica.

È che io questo lavoro l’ho fatto per fare contenti i miei. Genitori all’antica, la parola loro a casa era legge. Ricordo il primo scontro, avrò avuto sei anni. Avevo buttato via il pongo montessoriano e avevo annunciato:

“mammapapà, io da grande voglio fare il geometra”

Bello il geometra, no? Mi vedevo tutto felice col righellino dei Pokémon, la squadruccia, il goniometro e il compasso. A disegnare cerchi e quadrati, a calcolare perimetri. Un sogno. 

Papà era trasalito, facendosi cadere in testa le palline da giocoleria. Mamma aveva messo giù i monologhi di Celestini e mi aveva carezzato il volto. 

“Ne parliamo quando sei più grande stellina, ora finisci il modellino del Quarto Stato. Non vedi che a quel mezzadro manca il cappello?” 

Alla scelta delle superiori, il dramma. I miei avevano già deciso tutto. Erano stati giorni di angoscia, cercavo la forza di parlare. Al termine del saggio di teatro dello CSOA – un Ibsen per bambini – io facevo l’Angoscia. Avevo preso da parte mamma. 

“Mamma io lo so che avete deciso, ma…”

“Ma?”

Controllava che non si fosse aperto il tupperware col cous cous anti-specista.

“Ma io non lo voglio fare il liceo coreutico”

Aveva sollevato la testa di scatto, smarrita. 

“Ah no?” 

“No. E nemmeno l’artistico.” 

Aveva deglutito. 

“Lo sai che coi voti tuoi il classico non lo puoi far…” 

“Mamma io voglio fare ragioneria!” 

“Ragioneria?!”

“O sennò l’agrario, Luca mi ha detto che a ricreazione fanno le gare coi trattori”

Si era accosciata per allineare i nostri sguardi, una tecnica di de-escalation che con papà avevano imparato a un workshop. 

“Stellina… ne parliamo dopo con tuo padre”

A casa si erano accosciati tutti e due, come in una partita a dadi nei vicoli di Marrakech. Papà mi aveva guardato dritto negli occhi e aveva snocciolato: 

“Enea… Elio… Fidel… MaxDanieleNiccolò… Znedek… De Angelis – pausa drammatica – che è ‘sta storia della… ragioneria?” 

“È che a me non mi piace cantare papà, a me mi piacciono le divisioni in colonna”

Aveva perso le staffe, ore di seminari sulla genitorialità democratica fuori dalla finestra. 

“A Tere’, lo vedi che tu fijo dice le cazzate?! Divisioni in colonna! Nessuno le sa fa’ davvero quelle!” 

Mamma aveva provato a calmarlo dando fondo alle pagine di appunti prese a lezione.

“La ribellione può essere una fase di energia creativa preziosa se ben incanalata…” 

“Ribellione STOCAZZO! Non esiste che mi fijo… – di colpo era arrossito, colmo di vergogna decostruita – nostro figlio fa ragioneria. E poi che fa? Quarant’anni in ufficio a Ciampino a fare il contabile?” 

Non avevo mai sentito nulla di così eccitante. 

“Sì! Magari!” 

Lo schiaffo me lo avevano stampato in faccia insieme, uno per guancia. Poi mamma si era guardata la mano ed era scoppiata a piangere. 

“Hai visto che hai combinato? Sei contento?!”

Quella sull’induzione dei sensi di colpa era la lezione che mio padre aveva seguito meglio. Di fronte alle lacrime di mamma ero crollato anche io. 

“Scusa mamma! Scusa! – avevo singhiozzato – non piangere, faccio il bravo! Lo faccio il liceo coreutico! Mi piace cantare, guarda!” 

Avevo intonato un canto della Terra di Lavoro. Si erano sciolti. La scena poi si è ripetuta tante volte.

“Allora, per il test a ingegneria… no mamma! Non piangere! La faccio l’Accademia!” (Primo del mio corso.)

“C’è il concorso al ministero… no mamma! Non piangere! Lo faccio il provino!” (Subito preso.)

“Colizzi del terzo piano ha bisogno di una mano col 730… no mamma! Non piangere! Lo faccio il film con Sorrentino!” (David di Donatello.)

Mi trascinavo sui set a fatica, costretto a mostrarmi grato di occupare un posto per cui i miei colleghi avrebbero ucciso. Letteralmente. Me lo aveva confermato una volta un lucano sui trentacinque, in coda all’ennesima audizione che avrei vinto senza sforzi, fatta per asciugare le guance di mia madre. 

“Pe’ sta parte, mi’ fra’, se il regista me lo chiede io ci pianto due chiodi negli occhi a mia nonna e premo fino al cervello”

“Perchè il regista te lo dovrebbe chiedere?” 

“E che ne so, ma se lo fa… – aveva mimato una doppia pressione di pollice – ZAC!” 

Alle feste del giro, quando avevo paura che i muri dell’attico testaccino mi avrebbero schiacciato, mi barricavo in una camera da letto e sfoderavo l’iPhone. Approfondimenti sulla fiscalità, ripassi di trigonometria, finanza personale. YouTube era il mio Xanax. Mi aveva beccato un astro nascente, che spalancata la porta aveva riconosciuto il suo commercialista nello schermo del mio telefono. 

“Oh, e allora?! Dai che qua dobbiamo pippare…” 

Aveva sbarrato gli occhi di fronte alla scena. Me l’ero data a gambe come un ladro.

“ALZA LE MANI SAN GIOVANNI!” 

Ora sto meglio, ho una droga nuova. Me l’ha fatta scoprire mio nipote. Data Analyst, beato lui. 

“E FAI UN APPLAUSO A… MANNARINO!” 

Campionati competitivi di Excel. Guardo quei draghi che duplicano colonne alla velocità della luce e sogno una vita che non è la mia. 

“Oh, hai spaccato! La piazza era tua!” 

Non lo sento, penso solo a cosa sarà successo alle finali di Stoccarda. Me le sono fatte registrare, a casa scoprirò chi ha scritto il flusso dati più efficiente. Se qualcuno me lo spoilera ci pianto due chiodi negli occhi – spingo fino al cervello – e ZAC!

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