Quando mi è arrivata voce che quest’anno lo Spring Attitude (festival musicale romano ormai storico) sarebbe stato dentro alla Nuvola progettata da Fuksas mi è preso un colpo. Questa fantomatica struttura è collocata nella zona razionalista dell’Eur che si porta dietro un’idea di fare festa che è quella dei coatti in maglietta aderente che ti vengono dietro mentre smascellano. L’immaginario è quello del Palazzo dei Congressi e soprattutto di Spazio 900, mitologico luogo della scena romana in cui si andava a sentire Carl Cox, Sven Vath, Max Brigante; 

(non so perché ho usato questo plurale maiestatis visto che io odiavo andare a ballare nel 2012, semplicemente non capivo quelle casse dritte e quello sfascio da droghe sintetiche che era come un’epidemia tra i sedicenni di Roma sud). 

Questo per dire che un festival come lo Spring Attitude, nato dal basso e con un’idea internazionale e ricercata di line-up, non sembra aderire a un luogo del genere. C’è anche da aggiungere che lo Spring ha questa volontà di risignificazione dei luoghi: Roma è come se fosse perennemente immersa in una coltre di pervasiva nebbia, tutto è sempre uguale a se stesso [qualcosa sta cambiando adesso] ma non ci sono festival musicali medio-grandi che sono un punto di riferimento tranne lo Spring. E questo festival ha la capacità di trasformarsi e abitare luoghi diversi tra loro: c’è stato il museo MAXXI, il casermone Guido Reni, gli studios di Cinecittà. Qualcosa che sembra banale (prendere uno spazio e attraversarlo in una forma diversa) a Roma è già qualcosa di importante. Poi lo Spring attitude, che ha mantenuto questo nome anche se non si fa più in primavera, cade perfettamente nel lasso di tempo in cui si chiude il cerchio dei mesi caldissimi e si apre quello dell’autunno romano 

(quella fine dell’estate che i thegiornalisti ci descrivevano come malinconica e il cui colpevole era sempre qualche tipa con cui si era vissuto un amore fulminante). 

In qualunque caso: a me e ai miei amici piace chiudere l’estate zompettando allo Spring attitude bevendo un negroni troppo costoso. 

Isacco + Tommy

Highlights del festival: Luca Marinelli che arriva sul palco e canta  insieme a Giorgio Poi, un timido faccianuvola che suona per primo il sabato sera, il potente live de La Niña del sud e la corsa per andare a sentire L’Impératrice (ma di cui non ricordo molto). 

La cosa divertente è che ogni settembre io e i miei amici ci ritroviamo a fare sempre la stessa conversazione: oh ma ci andiamo allo Spring?, la risposta è sì, ma ormai il biglietto si è alzato di prezzo e, specialmente io, inizio a scrivere su tutti i gruppi wa o telegram se qualcuno mi vende un biglietto a metà prezzo

(fun fact: l’anno scorso ho comprato il pass il giorno prima e nel momento in cui ho mandato i soldi sono stata bannata da whatsapp e ho dovuto scrivere al tipo su fb che a quel punto pensava fossi un bot; ma alla fine sono riuscita a entrare lo stesso). 

Questo reportage è diventato un continuo aprire parentesi senza chiuderne nemmeno una, bene 

– continueremo così. 

Quest’anno ho spacciato la mia carta “sono una giornalista culturale” e mi sono fatta invitare alla conferenza stampa e all’anteprima del festival. È sempre divertente vedere gente della scena che scrive sulle riviste e si pippa la ketamina ritrovarsi, poi, a fare domande ligie a chi sta a capo delle istituzioni. La cosa sconvolgente, invece, è che nessuno fumava sigarette o tabacco. Ho chiesto l’accendino alla qualunque e alla fine sono dovuta ritornare all’ingresso dalla guardia giurata a scroccargli l’appiccio (come si dice a Roma). I due ragazzi dell’ufficio stampa sono carinissimi, si ricordano il mio nome e mi raccontano un po’ quello che succederà (un giretto nella location, due parole dalle istituzioni e poi un buffet). Mi fa sempre ridere quando qualcuno si ricorda di me perché, passa il tempo, ma io mi sento sempre un’imbucata anche se mi hanno effettivamente invitata. 

La Nuvola di Fuksas è un centro congressi, sono entrata qualche volta solo per la fiera del libro che si tiene sempre a dicembre (scie di persone con sciarpe vaporose che comprano i regali di Natale e parlano a voce altissima). Il festival si svolge nella parte inferiore (sotto terra, bunker simil c2c), un po’ claustrofobica considerando il caldo che fa fuori; già penso “dove mi fumerò le sigarette?” (devo uscire fino fuori e farmi le scale?); c’è poi una parte esterna, una piccola terrazza con un impianto per dj set e food truck a prezzi piuttosto alti. Il festival è cashless, ti danno un braccialetto ricaricabile in una sorta di info point, è comodo ma deleterio. Non ti rendi conto di quanto spendi, sembra di stare in un lunapark ma con l’md al posto dei pop corn. 

Scopro con grande rammarico che la maggiorparte dei concerti sono sotto (nel bunker, ma per fortuna subito sdoganiamo questa cosa del fumo) e il clima è -in effetti- un po’ claustrofobico 

(non lo è in sé per sé, credo che sembri più stringente proprio perché a Roma è ancora estate e si vorrebbe stare fuori a godere della brezza estiva). 

Altra cosa straniante è che, una volta usciti dal bunker, ci si ritrova in un grande corridoio -per niente modificato o abbellito- che ti trasporta in una strana backroom inquietante 

(sì, c’è il banchetto con il merchandise e l’enorme vetrata che porta fuori, ma rimane straniante. Altra cosa ancora: ci sono troppe scale!!!! è veramente faticoso fare serata e fare le scale (lo so che sembra una contraddizione in termini perché fare serata vuol dire stare in piedi tutto il tempo e avere un paio di scale dove fumare non sembra male; ma fare serata vuol dire ballare sotto cassa, nessun altro movimento è ben accetto). 

Io, Micol + Giulia

Detto questo c’è sempre una certa allegria che mi coglie durante quel weekend. Quest’anno ci sono: Giulia, Tommaso, Isacco, Micol, Edoardo, Lorenzo, etc etc etc. Ho un ricordo bellissimo del 2024: ero appena diventata molto amica di Giulia ed era il primo momento in cui avevo fatto anche pace con i concerti. Per tutta l’adolescenza e i primi anni di università i concerti hanno avuto un peso importantissimo nella mia vita, le stagioni erano scandite da quante volte sarei andata al MONK, all’Auditorium, all’Atlantico, al defunto Circolo degli artisti ed era sempre qualcosa di speciale. Al liceo ero in un gruppo facebook di concerti indie, c’erano persone di cui non sapevo nemmeno il cognome ma che incontravo all’Angelo Mai per la festa di un’etichetta o a qualche piccolo festival a San Lorenzo. Poi a un certo punto hanno iniziato a chiudere i posti, ad alzare i biglietti e io è come se mi fossi scordata cosa volesse dire fare quell’esperienza. Il 2024 è stato un anno di rinascita per me. 

Mi piace andare ai concerti con Giulia perché è una persona che fondamentalmente vive per i concerti e li sa fare bene, mi sembra che siamo arrivate a una postura comune in cui riusciamo ad ascoltare, sbronzarci, ballare e divertirci senza stancarci troppo. Ci piace immergerci nelle cose. Poi ci sono Tommy e Isacco che si divertono ovunque li metti e questo è molto bello. È vero che, forse, avrebbero comprato a scatola chiusa il biglietto di qualunque cosa e si sarebbero divertiti lo stesso, ma fare festa con loro è veramente divertente. Con Micol non avevo mai fatto serata ma ci siamo fatte trasportare insieme nel mondo acido della 3,4 – metilenediossimetanfetamina con diligenza e un paio di birrette di supporto. La verità è che non c’è salito niente, ma abbiamo ballato fortissimo alla Niña del sud, fatto lacrimucce con Marco Castello e creato strane coreografie con Ellen Allien a fine serata. 

Mi piace la geografia dello stare insieme che si crea nei festival: scoprire il bagno con meno fila, il panino che costa di meno ma riempie di più, “continuiamo con la birra oppure passiamo al gin tonic?”, “oh pausa sigaretta?”, “chi guida al ritorno? dormiamo insieme?” 

(sì, io non voglio mai dormire da sola dopo un concerto impattante o un festival perché voglio scambiarmi endorfine nel letto con chi ha fatto la mia stessa esperienza, ma questo è un altro discorso forse).

Al festival ci divertiamo, spendiamo troppo (per un secondo al bagno, colta da una luce bianchissima penso a quando il Mi Ami costava 20 euro a serata), balliamo, chiacchieriamo, ci abbracciamo, per un paio di giorni sembra che fuori non ci sia niente se non altra musica, altro gin tonic, altri piedi che fremono, altre mani che si toccano. A fine serata andiamo tutti a soffiare nell’etilometro predisposto all’entrata del festival. Io risulto positiva, gli altri negativi. Cerchiamo una macchina a noleggio per tornare a casa: non ce n’è neanche una. Gli autobus sono una chimera alle cinque del mattino. I taxi non rispondono. Ritorno nella città, i piedi e la mani si irrigidiscono, la musica è solo un’eco lontana perché la notte è finita e la droga è scesa.

Brava Giulia

Invece mi sbaglio: non è ancora finita. Un ncc ci carica insieme a un paio di ragazzi che si lamentano della serata, “non c’era nessuno a sentì DJ TENNIS” (ma chi è ci chiediamo tra di noi) e loro ci rispondono che è famoso, che suona ad Ibiza. Poi inizia un momento che non so spiegare: uno dei due, come una sorta di Piero Angela, inizia a raccontarci il suo rapporto con Ibiza e dice testuali parole: “IBIZA È UNA SCATOLA”. Nessuno ha il coraggio di chiedere di più, lui lo ripete varie volte: “Devi capì che Ibiza è una scatola”. Ora, io ad Ibiza non ci sono mai stata (e non so se ci andrò mai), ma non riesco a non pensare a Guzzanti e al suo pacchetto azionario in Boris. Forse nemmeno questo collegamento ha senso ma a quel punto sono le cinque e loro scendono a Garbatella. Io proseguo con Isacco e ci prendiamo un kebab a stazione Trastevere: è buono ma l’unica cosa che riusciamo a fare è pensare a questa benedetta scatola.

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