“Il rumore secco dei bicchieri che si toccavano ricordò ad Halid la pace. Nelle trincee, nessuno brindava a voce alta; i cecchini erano sempre in ascolto” scrive Natasha Radojčić-Kane (autrice balkan naturalizzata statunitense) nel romanzo Ritorno a casa.

I bicchieri del libro sono pieni di rakija, la grappa tipica dei Balcani, e a stringerli sono Halid, appena tornato dal fronte di Sarajevo, e Shukri, amico d’infanzia e gestore della bettola del loro villaggio d’origine. Entrambi sono bosniaci mussulmani, e la guerra civile si sta combattendo, semplificando all’osso la sfaccettata questione balcanica, contro i kaur (etnia serbo ortodossa). Halid, a Sarajevo, spera ogni giorno di non incontrare dall’altro lato del fronte Momir, il suo migliore amico. Vicini di casa che d’improvviso imbracciano i fucili l’unə contro l’altrə; rapimenti di ragazzə giovanissimə da parte dellə stessə compaesanə che lə hanno vistə crescere – come racconta la bosniaca Lana Bastašić nel più recente Afferra il coniglio.

Questo accadeva nei Balcani negli anni Novanta. 

Dieci anni più tardi, a Roma, esattamente nel 2000, da una coppia bosniaca nasce Alen Đokić, che nel 2020 diventa il rapper Doppelgänger. Alen, nelle sue canzoni, vuole campionare proprio quel rumore secco dei bicchieri di rakija che brindano, e trasformarlo in un mainstream earworm che infesti – beneficamente – più persone possibili. Questa è la balkan wave, un genere nato in Italia da pochissimi anni dallə immigratə di seconda generazione che mescola la musica folk balcanica al rap e al pop.

Nella moltitudine italiana di questə artistə, uno dei temi che ricorre maggiormente è quello della nostalgia dellə migrante: l’Heimweh tedesca o, più nello specifico, la ghorba araba (parola usata in particolare nella zona del Maghreb).

Si potrebbe tradurre con il termine ‘esilio’ ma la sua sfera semantica è ben più ampia: ghariib vuol dire strano, estraneo, straniero; gharb invece è l’occidente; ghurub è il tramonto, mentre il verbo gharaba è andarsene, sparire. […] La ghorba, per le migranti nordafricane, è sia l’oggetto stesso del desiderio quindi l’altrove (l’occidente), sia il desiderio di esso (il sogno europeo) ed è in relazione con il ritorno, perché è in relazione alla casa che si è lasciata che ci si sente ghariib, estranee. Anche il ritorno è un processo doloroso, tornare a un posto da cui si è voluto fuggire non si può che farlo da trionfante, riproducendo la narrazione del sogno europeo con un silenzio omertoso sulle reali difficoltà del vivere all’estero (mi riferisco perlopiù alla migrazione maghrebina, quella di cui ho avuto esperienza, in altri casi spesso non si può nemmeno tornare o non c’è una narrazione così spinta sul sogno europeo).

Scrive la dj Kandeesha in un open paper collaborativo chiamato Figlie della ghorba. Di origine nordafricana, da anni porta la sua Disoriental e Decolonial Techno in giro per l’Italia e oltre – spesso in spazi autogestiti – fondendo la musica raï (folk maghrebino) all’elettronica di matrice più occidentale.

La ghorba è un sentimento antichissimo, intriso profondamente nella storia e nella cultura araba. Infatti, quando lo scrittore franco-algerino Abdellah Taïa nel 2008 scrive il libro Melanconia Araba sul suo trasferimento a Parigi, ci confessa che: “Ero diventato un hayem, l’errante del deserto, come nei poemi di Ibn Arabi. Un vagabondo, senza direzione, senza Dio”. Rifacendosi, appunto, ai meravigliosi poemi dell’XI secolo del filosofo sufi Ibn Arabi, che nella cultura araba ha un’influenza paragonabile a quella di Dante per l’Occidente.

Ma tornando alle nostre gang, della ghorba ne parlano anche rapper italomarocchini in canzoni come Immigrato di 8blevrai e KHAWA KHAWA di Baby Gang (in featuring con il musicista francoalgerino Taliani), insieme a Simba La Rue. Sono alcuni tra i principali esponenti di quell’attitude maranza in Italia, termine alquanto classista di cui la comunità araba si è riappropriata in chiave politica (è uscito da qualche mese in Italia per DeriveApprodi, a questo proposito, il libro Maranza di tutto il mondo, unitevi! della teorica e militante anti-razzista franco-algerina Houria Bouteldja). 

Doppelgänger invece, più che di ghorba, nei suoi testi parla di Heimwah (nostalgia di casa). E, per quanto non nasconda i punti dolenti del suo paese di origine (“vedevo buchi su facciate, rimasugli della guerra tetti rotti sulle case, mine dentro la foresta, giocavamo a calcio fino a tarda sera, mangiavamo anguria dopo esser stati in moschea” canta in Lily), nella musica, come su Tik Tok, preferisce raccontare delle bellezze dei paesaggi sterminati dei Balcani, del profumo del burek cucinato dalla nonna nel forno a legna, di una libera giovinezza di campagna e della sua famiglia; avvalendosi di melodie talvolta forse un po’ troppo cheesy, ma senza dubbio intense.

La celebrazione della patria che lə musicistə immigratə di seconda generazione portano (attraverso ghorba o Heimwah che sia), in ogni caso, è più etnica che nazionalista. Uno dei macrotemi è la fratellanza/sorellanza tra Stati limitrofi con simili radici culturali e linguistiche e il medesimo soggiogamento coloniale. È la richiesta di un riconoscimento culturale. Del resto, traducendo liberamente un passo del pamphlet in inglese COMMUNITY NOT NATION della collettiva anarchica serba SENKA:

“il processo di creazione di una nazione è sempre un’omogenizzazione violenta che presenta dei connotati artificiali basati sui confini – estremamente astratti in natura – come spontanee e naturali caratteristiche etniche; per esempio in Croazia, i Bunjevci sono considerati croati, mentre in Backa (provincia della Vojvodina, Serbia) alcuni di loro sono considerati un gruppo etnico separato. Questo mostra come il dominio nazionalista croato o serbo può avere un’influenza decisiva sulla possibilità o meno che un gruppo possa essere considerato parte di una nazione, rispetto a caratteristiche etniche come dialetti, costume, vestiario tradizionale ecc”.

La celebrazione culturale dellə musicistə immigratə lotta proprio contro l’appiattimento coloniale della loro eterogeneità, anche se il rischio della dicotomia preservazione culturale-tradizionalismo è sempre dietro l’angolo. Infatti, soprattutto nel caso dei testi di Doppelgänger, si parla spesso di famiglia, l’unico modo per non dimenticare la propria identità natia. Inoltre, la volontà di emancipazione dallo stato di povertà e discriminazione dellə migrantə si fonda sul “fare i soldi” (che è anche, del resto, l’estetica della trap), indubbiamente anche per una ricerca del lusso, ma in particolar modo per dare una casa alla propria famiglia, per avere la stabilità necessaria per sposarsi e fare figli. Diritti inalienabili, certo, ma l’idealizzazione dei valori di patria e famiglia, di fatto, tutela la struttura verticale e gerarchica del capitalismo; e, diceva Marx, che le disuguaglianze sono intrinseche al sistema capitalista. Come risolvere questa fallacia?

Ora, certo che Doppelgänger quando in REPRESENT scriveva “Penso ai soldi ai miei fratelli brate alla famiglia. Avrò una figlia, sì, sarà bella come Melisa” non stava pensando a Marx. E non è nemmeno suo dovere farlo, come non è forse dovere dellə immigrantə sviluppare una coscienza politica, quando tutta la loro energia è concentrata sull’integrarsi in una società che al posto di tendergli la mano lə allontana. Il modo più semplice per integrarsi, del resto, è diventare comə tuttə. Perché unə immigratə dovrebbə ghettizzarsi ulteriormente facendosi additare come “sporcə comunista” quando, magari, riuscendo a dimostrare di essere unə super-umanə (“devo svoltare” si dice, no?), potrebbe finalmente diventare meritevole dell’approvazione dei First World Countries? E chi non si mostra meritevole sarà giustamente gettatə dalle mura di Sparta, come gli infanti infermi.

Una serba, una bosniaca, una croata le mie ex
rifondo la Yugoslavia sono il Balkan Represent
– MERHABA, Doppelgänger (BALKAN REPRESENT VOL. 3)

Alen Đokić sceglie il nome d’arte Doppelgänger per rappresentare la sua duplice identità, quella di pischello della periferia italiana – cresce infatti a Santa Maria Delle Mole, frazione della provincia di Roma a cui dedica anche la canzone Santa Maria – e quello di immigrato di seconda generazione – è un bosniak, ovvero un bosniaco mussulmano. Quest’ultimo termine, confida al programma di Radio Kaos URBAN TRACK, se lo è rivendicato come scherzoso soprannome anche tra i banchi di scuola. Il suo obiettivo è quello di rappresentare tutte le persone balcaniche che sono state costrette dalla diaspora a immigrare in altri paesi, ma anche unire chi continua a viverci, in quella penisola ancora così frammentata in odio e nazionalismi. Racconta in un’intervista uscita sul sito della collettiva transfemminista islamica SLUM (Sono l’unica mia): “Rappresento i balkan, poi in un certo qual modo rappresento per estensione anche persone provenienti da altri paesi o lə italianə stessə, guarda lə ragazzə del sud che vivono al nord (o quellə del nord che vivono al sud).”

Una chiamata bro
ho amici da Tirana bro
Contatti fra dal Kosovo
Bosnia giglio d’argento bro
Gli albanesi fra mi trattano
Come fossi loro bro
Perché sanno che non li tradisco, no
Brate dalla Bosnia al Kosovo
Contiamo fra ogni bossolo
Li odio fra perché non ci conoscono
Parlano di guerra, parlano di armi e blood
Mentre noi ancora contiamo quelli che son morti bro
– BATMAN, Doppelgänger (BALKAN REPRESENT VOL. 1)


Doppelgänger, oltre che un rapper, è anche un ottimo brand storyteller, infatti la sua brand identity e la sua mission sono cristallini come lo stretto del Danubio che divide i monti Carpazi da quelli Balcani (Porta Di Ferro; Porțile de fier in rumeno, Đerdapska klisura in serbo-croato). [O, forse, come doveva esserlo stato una volta, considerando che il Danubio trasporta circa 50 tonnellate di microplastiche all’anno (vettori di trasporto per altri inquinanti, come metalli, composti farmaceutici, pesticidi e altri agenti patogeni) sul territorio nazionale, racconta la ricercatrice Màdàlina Càlmuc a Euronews. E meno male che l’EU vorrebbe anche piazzarci una miniera di litio, in Serbia, già perché il territorio non è abbastanza inquinato.]

In ogni caso, gli album di Doppelgänger si chiamano rispettivamente (e iterativamente?) BALKAN REPRESENT VOL. 1, VOL. 2 e VOL. 3. Nei suoi pezzi alterna all’archetipo balcanico del gipsy-trash testi più introspettivi in cui, come dicevamo precedentemente, racconta della nostalgia per la terra bosniaca, dei viaggi in macchina di dodici ore per andare a trovare i nonni nella loro malmessa casa nella cittadina di Kotor Varoš, di come si senta sempre col “Cuore a metà”; “Troppo italiano per essere bosniaco, troppo bosniaco per essere italiano. […] Due case, ma senza sapere qual è quella vera. Senza saper chi sono” dichiara nel reel promozionale del suo terzo album – BALKAN REPRESENT VOL. 3, appunto; uscito il 6 dicembre – accostando al voice over filmini e foto di famiglia tra Bosnia e Italia.

Sorry for being so balkanic but…
Traktor and rakija
Kamion and Sarma
Kafa, cigara
Burek, baklava
Diaspora i komšije
Nazdravlje for Balkan!
Opa!
– JOJ!, Doppelgänger ft Dubioza Kolektiv (BALKAN REPRESENT VOL. 3)


E come poteva uno dei maggiori rappresentanti dell’Ex-Jugoslavia in Italia non fare un featuring con i Dubioza Kolektiv, culmine del gipsy-trash e – insieme a Goran Bregović – forse tra i musicisti balkan più famosi in tutto il mondo? La band bosniaca, nata nel 2003, unisce rap, ska, balkan music, punk ed elettronica cantando sia in bosniaco che in inglese; anche loro spesso con frasi direttissime e semplici da pop-refrain – il messaggio che trionfa sullo stile, forse: (“But when I taste rakija, in my head anarchia, back to original shape, just cannot escape from Balkan cantano in No Escape from Balkan, una delle loro hit).

JOJ! è la celebrazione dell’orgoglio balcanico: pochi termini di conoscenza comune, principalmente di derivazione gastronomica (la rakija – grappa –, i bureg – torte di carne –, le papuće – pantofole –, i ćevapi – salsicce –, le rizla – cartine –, i baklavas – dolcetti al miele, kafa e cigara – caffè e sigarette) e trombe zigane che ricordano le feste eterne dei film di Kusturica, in cui a un certo punto c’è sempre quale ubriaco che sfodera una pistola. Molte delle canzoni di Doppelgänger attingono a questi archetipi: attraverso l’ipersemplificazione riesce a unire serbə, croatə, bosniacə, macedonə, albanesə, grecə, rumenə, kosovarə, turchə, bulgarə, slovenə e montenegrinə. Un po’ come ci si abbraccia dal nord al sud Italia alla dolce melodia di pizza, pasta e vino rosso. Allo stesso tempo, il rapper riesce a intrigare chi con la cultura balcanica non ha mai avuto mai niente a che fare, proprio perché queste semplici parole le ripete incessantemente nella maggior parte dei suoi brani più festaioli, infilandotele in testa e trasformandole in accessori molto cool. Certo, c’è il rischio che le persone balkan vengano dipinte un po’ come delle macchiette, ma forse questo è il primo passo necessario per l’integrazione – quando si parla di migrantə ancora spesso disprezzatə in Italia – e per un ritorno all’armonia nella penisola balcanica stessa, considerando che i governi attuali sono tanto nazionalisti e conservatori, quanto corrotti. Per non parlare di alcuni stati che ancora reclamano la sovranità sul Kosovo, non riconoscendone l’indipendenza.

Per quello che ho visto anche con altri amici, ci sono delle grandi differenze generazionali. Gli anziani non guardano alla religione, perché sono cresciuti con il titoismo e il socialismo, e si sono poi ritrovati in mezzo alla guerra. Le generazioni nate negli anni Sessanta e Settanta sono invece un grande problema per i Balcani: hanno avuto tutto, ma si sono odiate tra loro senza motivo, facendosi riempire la testa di parole vuote dei politici. E poi hanno rovinato le generazioni successive. Quelli della mia età non hanno questo problema. Non chi è nato all’estero, ma generalizzando neanche i giovani che vivono nei Balcani, perché poi finiscono per andarsene tutti. Arrivano a Milano o a Bruxelles e si riconoscono come fratelli.

Ma ti pare che [in Italia] non si sappia quasi niente della storia dei Balcani? La prima guerra mondiale è scoppiata a Sarajevo e le guerre nell’ex-Jugoslavia sono state solo 30 anni fa! Io a scuola taglierei il programma sui babilonesi e all’ultimo anno di superiori arriverei a studiare la Jugoslavia.

 – Doppelgänger, da un’intervista su Barbalcani del 2023

Interessante anche il lavoro del producer di Doppelgänger, Yan G: racconta il rapper in un’intervista al canale youtube Indiepanchine che, quando è in Bosnia, spulcia vinili folk alle bancarelle e poi, tornato in Italia, li fa ascoltare a Yan G, che ne riproduce le sonorità al computer, fabbricando dei beat balkan-rap-pop. 

Interessantissima l’operazione di Doppelgänger sulla lingua, che amalgama italiano, bosniaco e inglese, di modo che i suoi testi siano di fatto comprensibili anche conoscendo solo uno dei tre ceppi linguistici (“Dušmani wanna diss me, but I’m еating sać, I’m mixed like gulaš Jebem ti mater, such pula da BLKN BLD VI), inserendo inoltre anche parole di altri paesi jugoslavi, spesso turche (HAMAN TAMAN; AŞKIM; Merhaba) – poiché molte lingue balcaniche si basano sul dialetto štokavo – sempre con il nobile intento di favorire l’integrazione, ma anche con quello più veniale di ampliare il suo pubblico. Infatti, “doppel-tata” (tata vuol dire papà, una trasposizione bosniaca dello slang americano daddy, o papi; similmente fa con “brate”, che vuol dire fratello, quindi il nuovo “bro”, o “fra”) non nasconde di ambire alla fama, di voler entrare nell’industria della musica, come la maggior parte dellə rapper e trapper degli ultimi anni, del resto. Per questo, più ancora che come musicista, Doppelgänger è famoso come tiktoker. Sulla piattaforma vanta oltre un milione di follower, i suoi video?

  • Solo i ragazzi/e (emoji bandiere dei paesi balcanici) e cresciuti in Italia hanno vissuto un’estate così
  • POV: ti vengo a prendere in macchina (ma sono bosniaco)
  • You are listening some proverbs from your balkan uncle at the table
  • When your GF is from balkan
  • Dimmi il tuo nome balkan e ti dico chi sei
  • La reazione di mia mamma alla mia nuova canzone (dove parlo di lei e della nostra vita)

Dice Doppelgänger, in un’altra intervista, sempre per Indiepanchine, che per quanto la sua indole scanzonata gli renda facile produrre queste gag su Tik Tok, il lavoro da influencer è solo un compromesso necessario per far conoscere la sua musica. Del resto, pur presentando produzioni e video di qualità, è un rapper indipendente. Solo di recente è passato a EMDC Network, un piccolo distributore digitale balcano.

Tik Tok, in ogni caso, come si sa è un mezzo controverso: è proprio colpa di questo social se lə artiste hanno iniziato a studiare i brani con ritornelli hyper-catchy in modo da farli inserire a più persone possibili nei loro reel, rendendoli di tendenza. Un’arte, dunque, che si piega non solo al mercato ma al trend passeggero, sacrificando la libertà e la sperimentazione con il vanto di avere il proprio ritornello come colonna sonora dei life hack di unə sedicenne o di un make up tutorial.

Inoltre, l’algoritmo (e lə utenti) pompano contenuti riguardanti la vita privata, mentre svantaggiano la promozione dell’arte. Ed è proprio la morbosità dellə utenti nei confronti di contenuti privati e commoventi che ha fatto diventare un trend video come La reazione di mia mamma alla mia nuova canzone (dove parlo di lei e della nostra vita), in cui Doppelgänger mostra appunto a sua madre la clip della canzone Alen. Pezzo che racconta l’abbandono di suo padre, della vita con i soldi contati, dei nonni in Bosnia e del bene che vuole alla sua mamma: e la mamma è in salotto, indossa un pullover turchese, si toglie un istante gli occhiali per asciugarsi gli occhi, poi li rinforca e abbraccia il figlio. Ecco, ora immaginate questo momento di intimità ripostato e riproposto all’infinito dall’algoritmo, fino a che la reazione della madre e la genuinità del testo non vengono completamente svuotati di senso. Come scriveva Phil Kaye in quella poesia, tanto semplice quanto accurata, intitolata Repetition:

[…]

They whispered to each other “I love you” so many times over

that they forgot what it meant

Family, family, family, family, family, family

My mother taught me this trick

If you repeat something over and over again it loses its meaning

This became my favorite game

It made the sting of words evaporate.

Separation, separation, separation;

see, nothing

Apart, apart, apart;

see, nothing

I am an injured handyman now

I work with words all day

Shut up, I know the irony!

When I was young, I was taught that the trick to dominating language

was breaking it down

Convincing it that it was worthless

I love you, I love you, I love you, I love you;

See, nothing

[…]


In fondo, Doppelgänger è solo un ragazzo di ventiquattro anni che ama fare musica e che vuole condividere col mondo l’amore che prova per la sua famiglia e il suo paese. E nonostante l’influencer marketing verta su temi spesso semplicistici, non si fa problemi a dare la sua opinione su ciò che per lui, in Italia, non funziona, come nella canzone DR. JEKYLL & MR. HYDE, in cui parla con ironia della xenofobia italiana.

In ogni caso, sia nell’intervista per Indiepanchine che in quella su Barbalcani, racconta che lui non vedrebbe l’ora di andare a Sanremo perché, nonostante sia consapevole dell’appiattimento musicale generato dallo storico festival della canzone italiana, sarebbe il primo ad avere l’occasione di portare la musica balkan sul palco. Ok, probabilmente dovrebbe scendere a compromessi, semplificare, fare otto ritornelli ma “Se io partecipassi, porterei una canzone super triste e poi alla serata delle cover farei un duetto con Goran Bregović!”.

Ci sarebbe anche da domandarsi quanto si è disposti a sacrificare della tecnica, per amore del messaggio. Ma questo è un quesito che si potrebbe rivolgere alla maggior parte dellə artistə attuali.

Signori e signore vi illustro la situazione
ogni giovane adesso a 74 andrà in pensione e
pure se hai la laurea in Italia era meglio la prostituzione
pensa mio padre venuto col barcone che coglione
25 anni per una cittadinanza
ce mettevo de meno ad esse pilota della NASA
ma ora leggono DOKIC sul foglio italiano di carta
e fra mi dicono comunque ‘TORNATENE A CASA
Sono d’accordo coi ministri, aiutiamo i poveri a casa
Come avete fatto con la mia quando veniva bombardata
Odio sto stato di fascisti frà mica l’Italia
che difende sti sionisti e lanciano missili a Gaza

DR. JEKYLL & MR. HYDE, Doppelgänger ( (BALKAN REPRESENT VOL. 3)

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