Questa vuole essere una lettera aperta, anche a noi. Non possiamo continuare così, dobbiamo renderci conto di essere complici. Perché continuiamo ad autosfruttarci. Qualcosa non torna: non siamo pagati; stiamo male; stiamo per schiantarci contro un muro che facciamo finta di non vedere. Cercherò di approfondire ognuno di questi tre punti, ma voglio specificare che anche questo gesto di scrivere ora alle 9.29 di mercoledì fa parte del sistema di autosfruttamento che ogni giorno mettiamo in atto.

Non essere pagati significa non accumulare tramite il proprio lavoro le risorse materiali per produrre la propria esistenza (così lo diceva Marx, significa semplicemente: tirare a campare, mangiare, ripararsi dal freddo). Se quello che facciamo tutti i giorni per buona parte del giorno (parlo soprattutto di Stanca, ma ci metto dentro anche altro) non ce lo permette vuol dire che quelle risorse necessarie alla nostra vita provengono da qualche altra parte: un altro lavoro, i nostri genitori, risparmi. Lavoriamo per lavorare, non per guadagnarci da vivere. Un lavoro paga la possibilità di fare un altro lavoro, i nostri genitori ci pagano per far finta che non stiano morendo, i nostri risparmi ci permettono di continuare a lavorare a condizioni peggiori di quelle che accetteremmo altrimenti. E d’accordo che stiamo accumulando altri tipi di capitale (non certo quello economico), ma di tutto questo capitale culturale e sociale che accumuliamo coi libri e con le feste, e poi facendo le presentazioni di libri e poi organizzando le feste, non si mangia. È una promessa escatologica della società, è un vuoto che consuma e contemporaneamente riempie di altro vuoto.

Stiamo tutti malissimo, quando siamo insieme meno, ma quando apriamo gli occhi è l’inferno, le liste delle cose da fare si allungano sempre di più. Avevo scaricato un’applicazione sul mio computer che si chiama Superproductivity e permette di calcolare il tempo impiegato in ogni lavoro, ricordandoti di fare una pausa, quando finisci un task arriva una notifica positiva, un suono di vittoria. Il software me lo ricordava ma io non facevo mai pause. Per qualche motivo riempire il tempo dà la sensazione di accorciarlo, ma è falso. Somatizziamo questi stati di ansia in mille modi. Le relazioni sentimentali finiscono perché si è vivi solo nel lavoro, l’unica cosa che ancora innesca il meccanismo di ricompensa emotiva costante che ci tira giù dal letto. Il tuo nome scritto da qualche parte, qualcuno che non avevi visto ti saluta per strada. Pensavo di aver sconfitto mia madre: aveva smesso di dirmi cosa non fare e invece adesso me la ritrovo dentro e fuori, ovunque, come Polka-Dot Man in Suicide Squad, mia madre è sulla faccia di tutti, mia madre è nel timer del pc, mia madre è il grande Kaiju. Qualcosa che mi ripete costantemente nella testa cosa fare e quando farlo e come farlo più velocemente: perché farlo è l’unico modo di liberarsene e perché non pensare in maniera proiettiva – oltre qui e ora – è l’unico modo di non essere sopraffatti dall’ansia, ma è anche l’unico modo per non capire che quella lista di cose da fare è un piano non euclideo che si ripeterà, si riempirà, rigirando su se stesso all’infinito. Concludendosi autonomamente quando non ci sarà più nessuno a leggerla.

Il muro, nessuno vede il muro ma è impossibile non sospettare la sua esistenza, sia in maniera speculativa: basterebbe un grafico excel fornitoci dalla banca o dal nostro psicologo (costo incluso nel grafico della banca); sia per esperienza trasmessa: tutte le riviste online senza fondi e quindi fondate sull’autosfruttamento si schiantano contro quel muro, è inevitabile. L’azienda culturale è un vuoto a perdere. Ci lamentiamo di Lucy perché pubblica le stronzate e fa mille corsi. Ci sentiamo puri come Siddhartha sotto l’albero della Bodhi, e poi chiusi nelle nostre camerette ci accovacciamo vicino al controller della Playstation cercando di non pensare al futuro. Lo sappiamo tutti: ci schianteremo contro quel muro. La montagna cadrà, basterà togliere una delle pietre che gli fanno da fondamenta. Basta un dottorato, un lavoro appena più gratificante, un figlio e per la redazione è finita. Tutte queste parole andranno perdute come lacrime nella pioggia di caratteri ASCII verdi di Matrix. (Hanno già cancellato il sito di Prismo, che era molto bello.) Non serve a un cazzo aver visto le navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione o i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. Un giorno o l’altro per Stanca sarà tempo di morire.

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