Mia madre scotcha tutti i coperchi delle cose esposte in casa. Che siano in giardino o su una mensola, o semplicemente sul tavolo. La magnifica funzionalità di una brocca, una teiera, una pentola costituite da materiale frangibile, come coccio o terracotta o vetro, verrà annullata in favore dell’estetica e del buon gusto.
Le teiere fuori, in giardino, dodici mesi l’anno, hanno intessuto con me una relazione strana: io le guardo dalla finestra, loro di rimando guardano me; non so se sanno che sono scotchate e incollate a un vassoio di plastica per creare un’atmosfera da Alice nel paese delle meraviglie, ma a me dispiace proprio di vederle in quella condizione, private del loro scopo originario dopo essere state acquistate al mercatino per tre euro e, proprio per il loro costo, diventate oggetto esteticamente piacevole da esterni. Casomai sono loro che guardano me e mi dicono che stanno benissimo, che non avrebbero mai immaginato di diventare oggetto da esterni, ma che lo desideravano tanto, è il loro momento e io non riesco a capirlo.
Lo scotch è un materiale strano, come la colla dei post-it: se serve che sia resistente, impermeabile o invisibile, ti ritroverai in mano plastica da buttare, ingiallita; se non serve che sia forte come l’attak, non lo levi più di dosso, diventa impossibile da localizzare e da estirpare. Lo scotch è puro caos disfunzionale. Quando ero piccola, con le mie amiche, giocavamo a fare le estetiste e lo scotch era un momento quasi sacro: poggi una striscia trasparente sul braccio e strappi. Non succede niente. Non senti nemmeno male. Prova a creare un anello di scotch e ti accorgerai che hai pelini anche sulle dita delle mani, per la prima volta, e proverai angoscia e terrore nel vedere (e sentire) che non solo strappa eccome i peli quella striscia collosa di merda, ma si è imparentato con se stesso e, per un gioco di trazioni, è diventato indistruttibile e non si può togliere dal dito se non con delle forbici.
Vuoi attaccare una fotocopia, ma in quel momento non hai la colla? La grammatura della carta e la sua texture saranno troppo scivolose per creare le condizioni ideali per far agire lo scotch nel modo appropriato. Qui, chiaramente, non stiamo parlando dello scotch carta o del divino nastro biadesivo che in tempi remoti era un oggetto mistico che appariva solo nello scatolone fabbricone dell’Albero Azzurro. Stiamo parlando dello scotch trasparente, quello che ti aiutava a essere figo in classe con il porta scotch più assurdo messo in circolazione, tempestato di gadget e consistenze inutilissime, ma così strane che i quindici minuti di popolarità si moltiplicavano per mille. Qui parliamo di quello scotch che, quando serve, non si stacca mai dalla macchinetta, quello che si accartoccia su se stesso quando è troppo lungo, che tu cercherai di separare, per poi reagire malissimo, frustrato da un nastro, appallottolandolo e gettandolo via. Ovviamente fallirai: rimarrà attaccato alla tua mano o alla manica del maglione.
Parliamo di quello scotch che ci illudevamo potesse essere il sostituto perfetto del nastro biadesivo, oggetto, quest’ultimo, che nessuno ha mai posseduto davvero. Il movimento è sempre lo stesso: stacco una piccola striscia, la avvolgo su se stessa dal lato adesivo, creo un piccolo anello che apporrò sul retro del foglio in quattro o cinque punti diversi e… proverò senza successo ad attaccarlo come se avessi della colla. Il foglio lieviterà sulla pagina fino a quando la colla sullo scotch non si seccherà per poi perdersi. Lo scotch trasparente è un imbroglione. Lucido, trasparente, appiccicoso per fama e per ragioni di commercio, sembra uno strumento perfetto, richiama la purezza del vetro, privo di graffi e di difetti striscia dopo striscia. Eppure, che non sia della stessa natura del vetro, dovremmo capirlo fin dall’acquisto: quando viene venduto in rotolini, il suo colore è giallo catarro. È una premonizione della sua futura mutazione: i pezzi di scotch che ho trovato su diari, poster o altri oggetti che hanno più di vent’anni sono ormai gialli, se non arancioni, hanno subito una fusione con l’oggetto e non è più possibile sbarazzarsene, mostrando la loro vera natura. Lo scotch, inoltre, macchia in modo passivo-aggressivo, lascia una traccia come una lumaca sul muro collezionando tutti i pelucchi e le particelle che vagano per la stanza in cui l’oggetto contaminato è custodito.
La follia tassidermica dello strumento arriva talmente lontano che, in certi casi, non credi che sia più presente, fino a quando non lavi la tazza con cui hai bevuto il tè e la spugna insaponata non scorre. Lui è lì, a ricordarti che non è sempre necessario rendersi noti al mondo per sopravvivere, né mantenersi nella pelle in cui siamo nati, la plastichina trasparente e ingannatrice: ti attacchi a una superficie e fai attrito con il regolare flusso dell’esistenza.


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