Un mercoledì pomeriggio aveva prestato troppa attenzione al brusio di sottofondo del televisore e le era tornata la voglia di fare la rivoluzione. Stava insaponando un mestolo con il rubinetto chiuso, quando si era accorta che dentro di lei si stava gonfiando qualcosa di inaspettato, come un lievito. Il vapore alzato dall’acqua bollente aleggiava ancora sull’acquaio e i residui del pranzo premevano sulla piletta. Strofinava la spugna su un mattarello, e intanto una miscela esplosiva di eccitazione, terrore e rabbia furiosa le faceva tremare le mani. Mentre sciacquava le posate sotto l’acqua corrente, si era accorta che i suoi pensieri avevano raggiunto e superato un limite che non ricordava di essersi imposta. Un’idea spericolata, che in realtà era un insieme di tante idee. Far cadere un governo. Vandalizzare la facciata di una grande multinazionale. Capeggiare una rivolta. Aveva strizzato la spugna e scrollato le mani nell’aria.
Le sembrava di essersi svegliata da un sonno durato più del previsto, di essere nella condizione di chi, in preda al tormento, si sforza di ricordare quello che è accaduto in un sogno appena svanito. Quella immagine confusa che vedeva in fondo alla sua mente era lei, lei e basta. Non era un miraggio: quella era la sua vita per intero, un tempo. Una versione di se stessa che considerava la propria giovinezza alla stregua di un lasciapassare da usare contro tutto e tutti e che riconosceva nell’irruenza un pregio, se sostenuta dall’insofferenza per un mondo ingiusto. Era poco più che adolescente, era arrabbiata, e non aveva niente da perdere. Così si era unita alla Biotic Baking Brigade: per dare uno scopo alla sua vita, una direzione alla sua energia. Ora, invece, la impiegava per controllare i movimenti circolari con cui grattava i piatti sporchi del pranzo, accidenti.
La soddisfazione era modesta, non lo negava. Si era abituata a quel genere di gratificazione, a considerare grandi traguardi piccole attività da niente, come ricordarsi di scongelare il pesce o pulire il filtro della lavatrice. Vent’anni prima, per riconciliarsi con se stessa, lanciava le torte in faccia ai potenti, e ora si accontentava di passare lo spray anti-muffa senza lasciare macchie sul muro. Politici, generali, CEO e affabulatori di ogni tipo: nessuno, tra gli uomini più pericolosi, viscidi e meschini di questo mondo, aveva potuto sottrarsi alla traiettoria dei suoi lanci. La sua crema al limone, preparata in casa, si era spalmata su pettinature e incarnati di tutti i tipi, gli sbuffi della sua panna avevano macchiato i loro doppiopetti di alta sartoria, e la sua frolla, stesa a mano con tanto amore, era andata per un attimo a tappare la loro bocca e il flusso continuo delle loro menzogne. Lei aveva vissuto per quei momenti. Le avevano dato la sensazione di fare qualcosa di utile. Perché l’aspetto imprescindibile di quel gesto non era tanto prendere la mira e centrare il bersaglio, quanto alzare la mano e indicare qualcosa: accendere un grande riflettore glassato su un problema. La brigata sporcava, ma con la speranza che poi qualcun altro sarebbe passato dopo di loro e avrebbe pulito. E avrebbe pulito tutto, non solo la torta.
Il televisore, dalla stanza accanto, trasmetteva una conferenza stampa: un primo ministro, con la voce rotta dal pianto, chiedeva ai suoi colleghi del consesso mondiale il supporto necessario a continuare a condurre la sua guerra agli affamati e agli indifesi. Applausi scroscianti accompagnavano ogni pausa.
Le era capitato, in passato, di cercare tracce del loro passaggio su internet, ma niente di tutto quello che ricordava sembrava essere mai accaduto. Nessun profilo su Instagram, nessun gruppo su Facebook, nessun hashtag su Twitter. Google aveva seppellito quel poco che ancora si poteva trovare online su di loro dopo la decima pagina di risultati, ma prima le aveva chiesto se fosse sicura di aver scritto correttamente i termini. Era certa che fossero stati scritti vari articoli di giornale su di loro, ma ora, meno di un quarto di secolo dopo, era tutto scomparso, perduto in qualche archivio, seppellito e confuso con tante altre notizie dimenticate che per un attimo erano sembrate rilevanti. Biotic Baking Brigade non voleva dire nulla. Una parte importante della sua vita non aveva lasciato traccia ed era finita per avere lo stesso valore che aveva, in quel pomeriggio, un gesto così futile come lavare per l’ennesima volta i piatti.
Si era sorpresa a scuotere la testa. Cos’era successo? Come avevano potuto dimenticarsi di loro? Erano sempre stati sotto lo sguardo dei fotografi. Quanti flash l’avevano rincorsa? Erano stati in ogni parte del mondo, li avevano insultati in centinaia di lingue diverse, eppure la luce dei flash era uguale ovunque. Quella lingua, lei, la capiva bene. I flash erano lì per dare loro la fama, e se gliela avevano concessa, allora doveva significare che quello che facevano era importante. Ma evidentemente si era sbagliata: lei era scomparsa, e la brigata con lei. Il loro messaggio era andato dimenticato: nessuno era passato a pulire. Nessuno aveva più paura della torta alla crema.
Sentiva in sottofondo il pianto ininterrotto del televisore, che ripeteva a ciclo continuo un menù a base di guerre di colonizzazione, distruzione climatica e repressione violenta.
L’aveva capito solo in seguito, che non era vero. Che non erano importanti. Quello che facevano non conferiva loro nessun potere: aveva scambiato la viralità per rilevanza, mentre il potere era altro. Certo, non tutti ci erano arrivati: tra i suoi vecchi compagni di brigata c’era chi non se n’era accorto. Anche se non le era mai passata per la testa l’idea di andare a cercarli, gli algoritmi dei social, in maniera crudele, avevano iniziato a seminare volti noti, camuffati dai segni del tempo, tra i suggerimenti di amicizia come tante piccole pugnalate. Aveva scoperto che alcuni erano finiti come lei, a irrigidirsi in una vita grigia, borghese, fatta di piccole conquiste. Altri, invece, gestivano pagine social da cui traboccava solo il loro disdegno, e le erano sembrati dei lunatici. In un’occasione si erano dati appuntamento, avevano fatto una sorta di rimpatriata. Tutto alla luce del sole, in un centro parrocchiale, le strade deserte tutto attorno. Non c’era nemmeno la Digos. Quando, dopo mille indecisioni, aveva deciso di andare a dare un’occhiata, era arrivata volutamente in ritardo, e dentro la sala aveva trovato sei o sette persone. Le era sembrata una riunione degli alcolisti anonimi, ma c’era un tipo di tristezza diverso, come di chi piange il proprio orgoglio ferito. Quando si erano accorti di lei, non era ancora entrata: ritraendosi dietro la porta socchiusa, aveva detto di essere capitata lì per errore e se n’era andata con il fiato corto. Ma questo poteva ancora sopportarlo: lei, con l’orgoglio ferito, ci era venuta a patti. Quello che veramente l’aveva stordita, invece, era stato scoprire che altri ancora, tra i suoi ex compagni, ora si divertivano a postare proclami reazionari e fake news. Aveva scrollato con orrore i loro profili, nella speranza che fosse tutto un malinteso, ma non faceva altro che scavarsi una fossa sempre più profonda attorno. Si era sentita sporca della loro sporcizia. Da quel momento aveva smesso di usare i social.
Di là, una giornalista dalla voce fresca e tondeggiante raccontava le difficoltà di un’intera categoria di sfruttatori, facendo molta attenzione a nascondere quale fosse il prezzo pagato dagli sfruttati. L’acqua del rubinetto confondeva le parole.
Se era andata a finire così, non era perché a un certo punto qualcosa dentro di lei si era esaurito, ma perché lei non aveva fatto nulla per evitare che capitasse. Quando, a quei tempi, i giornali titolavano a caratteri cubitali CHI HA PAURA DELLA TORTA ALLA CREMA, si era detta che sì, loro avevano paura, ma lei ne aveva di più. Era un tipo di paura diversa, la sua. Era una forma di paura che le metteva fretta, che non le lasciava tempo per pensare. Non le piaceva il futuro che vedeva davanti a sé, e non le era venuto in mente un modo migliore per cambiarlo. Ma tutta quella paura le stava togliendo la voglia di vivere. Il futuro era un tunnel buio e stretto, e la strada era obbligata. Così aveva deciso di buttarcisi dentro a tutta velocità, ma con gli occhi chiusi. Aveva smesso di essere vista, e aveva smesso di guardare. E così si era cacciata in qualcosa che non aveva previsto.
In soggiorno, suo figlio masticava sottovoce le cifre da sommare e sottrarre, e ogni tanto alzava lo sguardo sul televisore, con le sue scene di rovine, inondazioni e uomini in doppiopetto dall’aria immacolata. I sottopancia a volte minimizzavano, a volte ingigantivano. E intanto suo figlio imparava a togliere e ad aggiungere.
Aveva scelto la vita di chi costeggia un incidente stradale e non si ferma nemmeno per guardare, per non fare tardi al lavoro. Si era trovata un impiego e un marito totalmente impermeabile ai problemi del mondo; aveva fatto dei figli. Aveva chiuso i suoi ideali in un cassetto e aveva aperto un mutuo in banca. Aveva imparato a fare una voltura, a conservare gli scontrini in una cartellina trasparente per la dichiarazione dei redditi. Comprava la sua parte di beni di consumo, senza essere troppo convinta di averne bisogno, solo perché qualcuno le aveva detto che era giusto tenere in movimento l’economia. Aveva imparato come si conduce una vita normale, e aveva capito che per farlo nel modo corretto le veniva richiesto di rimanere in equilibrio giorno per giorno, portando il peso del lavoro, della cura dei figli, della casa e della propria salute mentale senza cedimenti, anche se tutto era sul punto di cadere. Aveva comunque l’impressione che appena fuori dalla sua porta di casa ogni cosa fosse in procinto di sgretolarsi, ma non doveva preoccuparsene. Questo, le avevano insegnato.
Il timer del forno aveva iniziato a squillare.
Non era mai stata un’allieva particolarmente ubbidiente. Aveva annusato l’aria. Il profumo della frolla fragrante, ancora morbida, con il suo leggero retrogusto di limone si stava piano piano spargendo in tutta la cucina. Con uno slancio, si era attorcigliata su se stessa per recuperare le presine e si era piegata in avanti verso il forno. Il problema era che non aveva solo paura. Era anche piena di rabbia, era ancora piena di rabbia. Sul frigo, suo marito aveva appeso una vignetta di Tintin. Che settimana, dico bene? diceva uno dei personaggi. Capitano, è solo mercoledì, rispondeva l’altro. In soggiorno, il telegiornale trasmetteva ancora la sua litania ininterrotta di ingiustizie. “È solo mercoledì”, pensò lei. Quale giorno migliore per una torta alla crema?
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