L’universo come archivio traumatico

L’universo come archivio traumatico
Max Ernst, Epifania, 1944-1945
[Tempo di lettura: 9 pignalenti]

Nel suo romanzo Il Mondo sommerso lo scrittore britannico John Graham Ballard dimostra di essersi guadagnato il soprannome di ‘veggente di Shepperton’, la città che fa da sfondo ad alcuni dei suoi romanzi più celebri. Nell’universo della storia, alla fine del ventunesimo secolo, l’alterazione delle fluttuazioni del Sole causa lo scioglimento dei ghiacci polari e vaste zone continentali finiscono per diventare i fondali di immense paludi che riportano davanti agli occhi dei protagonisti gli atavici paesaggi del Triassico.

Il mutamento dell’ambiente innesca l’emersione di forme di vita preistoriche, felci gigantesche, mangrovie lussuriose, libellule giganti e pelicosauri maestosi iniziano a confondere il loro mondo con l’ormai abbandonato spazio antropico, ibridandosi così con le rovine dell’antica civiltà umana. In contemporanea, i personaggi del romanzo iniziano a sperimentare, nel loro mondo onirico, una regressione verso gli stadi evolutivi precedenti dell’esistenza.

Sotto l’egida di un Sole che promana pulsazioni sempre più sincronizzate al battito cardiaco degli esseri umani, Ballard evoca con tinte junghiane l’analogia tra il pianeta terra e la nostra psiche. Kerans, uno dei protagonisti del romanzo, è certo che la sua involuzione sia “sintomatica non tanto di una schizofrenia latente, quanto di un preciso adattamento all’ambiente radicalmente nuovo”, lasciando così intendere che la malattia mentale è più una sfasatura temporale, una cronopatologia che segna l’inizio di un processo regressivo all’interno dell’archivio della natura. Questa caduta nel passato impone la rinuncia della logica antropocentrica, ormai un mero impiccio.

La natura ballardiana ricorda la pittura di Oscar Dominguez, il pittore surrealista che usava la decalcomania, una tecnica pittorica con la quale, schiacciando un acquerello tra due fogli di carta, si generano negativi che assomigliano a forme erose. Il nostro cervello associa quelle forme immediatamente a delle rocce, rivelando un automatismo inconscio che può essere spiegato nell’emersione di ricordi ancestrali, fossili immaginifici risalenti al tempo della prima formazione dei centri visivi del cervello. Se per Jung tutto ciò restava a livello di metafora – l’inconscio è descrivibile come una stratificazione geologica – per lo scrittore britannico l’inconscio è un complesso stratigrafico formatosi insieme alla materia geologica del pianeta, come se la stratificazione rocciosa della terra continuasse nell’inconscio umano e nella mente – che quindi sarebbero un suo prolungamento.

Questa simmetria è per Ballard la via di accesso al nucleo profondo della realtà: ciò che crediamo vivo è morto e ciò che è morto è più vivo del vivente, la realtà è una gradualità definita da scale di organizzazione via via più complesse, i livelli più recenti ripetono nel loro sviluppo gli stadi precedenti. La veglia e la sanità mentale sono luoghi in cui stazioniamo, così il sonno e le stesse malattie mentali non sarebbero altro che configurazioni altre della nostra posizione nel tempo, quando scivoliamo nel mondo onirico o nella sua esteriorizzazione, la follia, superiamo la soglia di accesso ai piani inferiori dell’essere.

Ballard delira come i pazzi dei suoi libri, egli è così convinto della simmetria tra corpo e pianeta che in L’Arma Omicida, il terzo capitolo di La mostra delle atrocità, scrive che “il paesaggio spinale che si rivela al livello della vertebra T-12 è quello delle rupi porose di Tenerife”. Già nel primo capitolo, tramite le convinzioni psicotiche di Travis, uno dei pazienti dell’ospedale psichiatrico in cui si svolge la vicenda, Ballard avanza l’ipotesi che “il nostro corpo possa conservare le tracce di una simmetria attorno a un asse orizzontale, e non solo verticale”, il nostro organismo tende in automatico a ripristinare la perfetta simmetria radiale della blastula, uno degli antenati più antichi dell’embrione. L’anelito nostalgico che cerca di tornare nell’utero materno, già descritto da psicanalisti eretici come Sandor Ferenczi, si complica fino a diventare il desiderio atavico di regressione verso l’inorganico. Ritornare ‘polvere’: la biosfera vuole tornare al suo grembo geologico nelle profondità della terra. La madre e Thanatos sono la medesima figura.

Nei nostri sogni, così come nei nostri orgasmi e nelle nostre risate, sperimentiamo una sintonizzazione con uno spazio di memoria recondito che costituisce una sorta di fondamento geologico della memoria governata dal nostro cervello. È come se il nostro corpo fosse un archivio con due sezioni, accanto alla nostra memoria personale è presente un altro luogo in cui ne è stata depositata un’altra che non appartiene alla nostra individualità e che non coincide né con la nostra memoria genetica, né con quella della nostra specie.

Quando in Il Mondo sommerso Kerans interroga il dottor Bodkin, il suo assistente in laboratorio, gli chiede se a suo avviso i ricordi che l’aumento della temperatura sta attivando non siano sempre stati sepolti nelle loro menti, l’inventore della Psicologia neuronica puntualizza:

Non nelle nostre menti, Robert. Questi sono i ricordi più antichi del mondo, i codici temporali presenti in ogni nostro gene e in ogni nostro cromosoma. Ogni gradino che siamo riusciti a salire nella nostra scala evolutiva è una pietra miliare fatta di ricordi organici, dagli enzimi che controllano il ciclo dell’anidride carbonica all’organizzazione del plesso brachiale e dei fasci nervosi delle cellule piramidali del mesencefalo: ognuno di essi è una fedele registrazione di migliaia e migliaia di decisioni prese per fronteggiare un’improvvisa crisi chimico-fisica”.

Secondo la geo-psicologia di Bodkin, l’essere umano conserva nel proprio DNA l’immenso archivio di ricordi appartenenti alla vita stessa del pianeta. La Terra in Il Mondo sommerso è in preda a una regressione psicoanalitica, e porta nella sua caduta nel “passato archeopsichico” l’intera biosfera, umanità compresa. La psicoanalisi “si prefigge di ricostruire la situazione traumatica originaria al fine di provocare la liberazione del materiale rimosso”, ciò che Kerans, Bodkin e gli altri membri della spedizione nella Londra triassica stanno compiendo è dunque una discesa verso il nucleo del reale: il trauma.

“Più ci si sposta verso la base del sistema nervoso centrale (…) più si regredisce nel tempo neuronico”. I membri del corpo di ricerca di Il Mondo sommerso stanno viaggiando con la loro psiche dentro la loro colonna vertebrale, scorrendo lungo il loro midollo spinale, la parte più antica del nostro sistema nervoso. Secondo Ballard la colonna vertebrale è un dispositivo di registrazione transmediale e il midollo spinale al suo interno un macchinario di riproduzione delle esperienze traumatiche del mondo inorganico e della biosfera. Un dispositivo più potente di qualsiasi macchina del tempo, capace di trasportare il viaggiatore nelle profondità del passato geologico.

“La congiunzione tra le vertebre toraciche e quelle lombari, tra la T-12 e la L-1”, dice lo psicologo nel romanzo “è la zona di transizione fra la respirazione branchiale dei pesci e la respirazione polmonare degli anfibi con le loro casse toraciche”. All’accampamento, mentre conversano nel caldo torrido e ammorbati dall’umidità della palude londinese, Kerans osserva Bodkin accarezzare una fila di vinili e immagina divertito che la sequenza di dischi neri sia “una colonna vertebrale neurofonica”, è così che Ballard fornisce al lettore una rappresentazione non metaforica della colonna vertebrale e del sistema nervoso periferico.

I protagonisti stanno viaggiando dentro le loro spine dorsali, e si trovano proprio nel punto di passaggio biologico tra le vertebre toraciche e quelle lombari, regrediti tra l’era paleozoica e quella triassica. Il sistema nervoso centrale per Ballard, ex studente di medicina, “è una tabella temporale codificata, in cui ogni connessione di neuroni e ogni livello spinale rappresentano stadi simbolici, un’unità di tempo neuronico” ossia di una memoria nervosa che non appartiene né all’uomo né al pianeta ma a entrambi.

André Leroi-Gourhan, uno dei paleoantropologi più celebri del Novecento, nel suo capolavoro, Il gesto e la parola (1964), negli stessi anni in cui Ballard pubblicava alcuni dei suoi migliori racconti e romanzi, descrisse l’essere umano come una forma di vita tendente a esteriorizzarsi mediante la creazione di organi artificiali, ovvero impegnata nell’insieme di quelle pratiche che la filosofia chiama “tecnica”. Ma già più di un secolo prima, dopo un appassionato saccheggio della sapienza vedica, il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer era riuscito a spingersi oltre, superando la terminologia fumosa dell’idealismo e affermando che l’intera realtà osservabile altro non è che una simulazione prodotta dal nostro sistema nervoso.

Nemmeno il filosofo tedesco raggiunse una vera coerenza in questa affermazione, continuando a riferire la radice del mondo fenomenico al di là di esso, nel regno della volontà. Solo Ballard percorre il sentiero di questa speculazione con rigore scientifico, è lui a enunciare che il mondo là fuori è la secrezione del sistema nervoso. Il nostro cervello è come il ragno modificato geneticamente del racconto Le voci del tempo, la nostra impalcatura nervosa secerne una ragnatela che è in realtà un suo prolungamento esteriore, un inconscio ectopico, bisogna così realizzare che il cervello abita se stesso, adattandosi alle sue stesse nevrosi esteriorizzate.

Nel 1888, il neurologo misogino Paul Julius Möbius avanzò l’ipotesi che i disturbi cosiddetti isterici potessero essere conversioni di emozioni violente sul corpo della paziente scatenate da un ricordo o da un’idea ossessiva, in futuro la psicotraumatologia andrà proprio in questa direzione. Oggi gli psicologi evoluzionisti e cognitivisti vedono il corpo come una arborescenza che si adatta a una colonna, il trauma, e l’individuo in sé come una creatura sana dalla nascita e solo successivamente modificata dall’impatto con il contesto in cui vivrà e dai traumi che dovrà fronteggiare. Il corpo che abitiamo è una struttura che si costruisce in risposta al volume traumatico, lo sviluppo della nostra organicità è quindi una superficie temporale di registrazione di input, l’archivio delle nostre idiosincrasie.

Ballard non fu il solo tra gli scrittori della fantascienza speculativa a proporre di leggere la natura come un oggetto artificiale non umano. Aristides Acheropoulos, lo scienziato di finzione inventato da Stanislaw Lem (Vuoto assoluto, 1971) propone una sua personale soluzione al paradosso di Enrico Fermi. Il fisico italiano Fermi si chiedeva come mai, nonostante la vastità dell’universo in espansione, il genere umano non fosse ancora venuto in contatto con forme di vita extraterrestre o, perlomeno, con i suoi artefatti. Lo scienziato greco, maschera di Lem, nel suo The New Cosmogony sostiene beffardamente che il paradosso nasce su una percezione sbagliata della tecnologia. Siamo già venuti in contatto con delle strutture create da un’intelligenza extra-terrestre; anzi, siamo letteralmente immersi in una megastruttura aliena. L’universo potrebbe di fatto essere l’artefatto ludico o un archivio di dati per ricerche cosmologiche creato da una civiltà evoluta che è giunta al punto Omega della scala di evoluzione Kardashev, il punto in cui l’intelligenza è così avanzata da confondersi integralmente con l’ambiente che la ospita.

Secondo Lem solamente una civiltà non ancora in grado di progettare sulle enormi distanze del tempo profondo è necessitata a estroflettere la propria attività cerebrale attraverso la tecnologia. Una forma di vita altamente sofisticata finisce per essere indistinguibile da una costante di natura come la legge di gravità, non solo, le stesse leggi della natura, secondo la fantascienza dello scrittore polacco potrebbero essere paramentri artificiali o strumenti tecnologici di una civiltà giunta al grado omega della scala Kardashev.

Negli anni ‘70 le idee psicotiche presenti in Il Mondo sommerso (1962) o in Le voci del tempo (1960), ma anche la fisica speculativa di Stanislaw Lem e il suo suggerimento di una “natura artificiale”, sono entrate nella letteratura scientifica, come nel caso della ricerca di Yokoo e Oshima, scienziati giapponesi autori di Is bacteriophage φX174 DNA a message from an extraterrestrial intelligence? E anche in celebri proposte di fisica speculativa come quelle di Orson e Crick della panspermia guidata – l’idea che la vita sia stata deliberatamente coltivata da una civiltà aliena. Accade che, come nei romanzi di Ballard o nell’orrorismo cosmico della letteratura lovecraftiana, gli scienziati stessi inizino a delirare e la scienza con loro.

Hiromitsu Yokoo e Tariro Oshima tra il maggio e l’agosto nel 1978 redigono un paper, i due si propongono di argomentare il modo in cui il funzionamento di un semplice sistema biologico che trasporta un messaggio ed è capace di autoreplicarsi potrebbe essere un possibile strumento per una comunicazione interstellare. Nel corpo centrale dell’articolo espongono, peraltro, un esperimento volto a dimostrare come il batteriofago φX174 possa essere un archivio di memoria che trasporta un messaggio da una presunta civiltà avanzata.I due scienziati scrivono che “una caratteristica rimarcabile della struttura genetica del batteriofato φX174 è la presenza in essa di geni sovrapposti”. “Ai giorni d’oggi”, affermano, “è molto difficile spiegare l’origine e l’evoluzione di questo tipo di geni in termini di evoluzione molecolare”, pertanto “ è del tutto legittimo speculare su un’origine artificiale” e così il DNA di φX174 può essere descritto come un oggetto artificiale realizzato da un tecnologia avanzata. Già agli albori della genetica, dopo la mappatura dei primi genoma, ci si era resi conto che la sequenza del DNA conteneva ampie porzioni di elementi ridondanti e apparentemente privi di significato. Partendo da queste lacune della scienza, Yokoo e Oshima si lasciano trasportare dall’immaginazione e, ricorrendo alla teoria dell’informazione, cercano di illuminare le ragioni delle ridondanze nelle sequenze genetiche.

La teoria dell’informazione è la trasposizione del concetto fisico di entropia nella dinamica a tre che si instaura tra un emittente e un destinatario per mezzo di un messaggio trasportato da un determinato supporto. L’entropia informatica condanna ogni informazione e dato al decadimento, non c’è modo di risolvere con la tecnologia il deterioramento di un determinato volume di dati, la cui struttura è continuamente prede del rumore. Per questo, l’unico modo per essere sicuri che un messaggio venga trasportato integro al destinatario è quello di ricorrere allo stesso rumore che si vuole rifuggire.

Aggiungendo una somma di informazioni criptate prive di valore e nascondendo tra di esse il messaggio da trasmettere, ci si garantisce che a venire intaccati per primi dall’entropia saranno i livelli più superficiali del messaggio. Ciò accade ad esempio nelle righe di codice dei programmatori, che sfruttano spesso queste sequenze ridondanti per easter egg o per firmarsi con i loro tag. Sono esattamente glifi come questi che Yokoo e Oshima intendono individuare nella sequenza genetica del batteriofago φX174.

Ma è ancora in Ballard che troviamo una suggestione potente e inquietante allo stesso tempo. In Le voci del tempo, dentro una serra degli scienziati inondano animali e piante con fasci di raggi radioattivi per innescare la coppia di geni silenti, lo scienziato protagonista – affetto da una progressiva catatonia che divora le sue ore di veglia – decide in ultimo di sottoporsi al raggio radioattivo. Inizia a sviluppare, come le sue cavie, degli organi di cronorecezione che lo portano a vivere nel e con il proprio corpo un viaggio in avanti, antitetico rispetto a quello vissuto dai protagonisti di Il Mondo sommerso, verso le altezze del sistema nervoso, cioè nel futuro.

Come ogni altro oggetto, anche il nostro DNA, è un archivio temporale ma anche un mezzo di spostamento lungo un asse verticale, la linea di tempo che va dal basso verso l’alto e descrive la struttura stessa della materia, l’intero universo visibile non è che una forma di ritenzione mnemonica, un archivio dati di proporzioni cosmiche e noi la sua replica, magazzini organici in cui viene conservata una memoria aliena. Seguendo i paesaggi spinali narrati da Ballard, arriviamo al primo sito archeologico di cui facciamo esperienza: il nostro corpo è forse il primo eso-artefatto, la prima tecnologia creata da quella intelligenza extraterrestre ricercata da Enrico Fermi. La materia delirante sfonda la parete dell’autorità del discorso scientifico, scienza e letteratura si scambiano di posto e in questa leggerezza assurda della speculazione cosmo-psicologica si registra l’angoscia dell’artificialità, il presentimento di non essere affatto esseri naturali.

Restiamo attoniti come il dottor Powers, il protagonista, quando il collega suicida lo scuote affermando che no, non siamo soli:

Queste sono le voci del tempo, e stanno tutte dicendole addio. Pensi a se stesso in un contesto più ampio. Ogni particella del suo corpo, ogni granello di sabbia, ogni galassia reca la stessa firma. Come ha appena detto, ora conosce la scadenza, quindi che importa il resto? Non c’è bisogno di continuare a guardare l’orologio”.

È Ballard che parla al lettore, ricordandogli attraverso le considerazioni finali di Quaine in Terre di Attesa che il messaggio che rechiamo sui nostri corpi “non è che il mondo sta per finire, bensì che è già finito e si è rigenerato un infinito numero di volte, e che l’unico problema residuo è cosa fare di noi stessi nel frattempo”.

Condividi: