Nel 1514 Albrecht Dürer, uno dei più importanti artisti tedeschi dell’epoca rinascimentale, dava alle stampe l’incisione Melencolia§Ia, opera che è stata oggetto di numerosi studi a causa della sua indecifrabilità, al punto che solo Erwin Panofsky e Fritz Saxl, due storici dell’arte e studiosi del famoso Warburg Institute di Londra, sono riusciti a trovare un’interpretazione che soddisfacesse apparentemente gran parte della critica nella prima metà del Novecento.
Tra coloro che hanno provato nel tempo a dare un significato a quest’incisione c’è il fisico David Ritz Finkelstein che, nel suo saggio Manifesto della Melanconia (Adelphi, 2024), dà un’interpretazione a tratti estremamente personale della raffigurazione dell’artista.
Albrecht Dürer, Melencolia§Ia, 1514
L’incisione di Dürer rappresenta un angelo in primo piano dal volto corrucciato, intento a guardare l’orizzonte con un compasso in mano. Alla sua sinistra si trovano un putto su una macina, un cane addormentato, una sfera, uno strano poliedro, una scala e, all’orizzonte, il mare illuminato da una cometa che produce un arcobaleno nel cielo, in cui un essere mostruoso porta in volo il titolo dell’opera: MELENCOLIA§I. Ai piedi dell’angelo vari strumenti da lavoro, sull’edificio alle sue spalle un quadrato magico, una campana, una clessidra e una bilancia. Questi elementi ammassati hanno suscitato non poche teorie sul significato complessivo dell’opera: l’iconografia utilizzata non doveva essere estranea agli occhi degli osservatori contemporanei all’artista, ma è apparsa di secolo in secolo più enigmatica.
La nostra difficoltà di interpretazione è rafforzata dalla scarsa abitudine che abbiamo oggi a rapportarci con scene così affollate da oggetti e personaggi apparentemente sconnessi, che comunicano quasi per analogia. Durer nella sua opera fu criptico perché in epoca di Controriforma non gli era concesso di poter criticare apertamente la Chiesa, nel nostro tempo non sembra necessario realizzare immagini così complesse. Nessuno di noi incorre nel pericolo dell’inquisizione che, concretamente, può metterci in carcere o bandirci per aver creato un’opera di ingegno che abbia un manifesto intento di critica sociale. Teoricamente, le fortunate circostanze in cui ci troviamo ci permetterebbero di condividere, a differenza di Dürer, con chi e come preferiamo un quantitativo di messaggi e immagini mai registrato prima. Se questo artista si fosse trovato a esprimere il suo dissenso, o anche semplicemente la sua opinione, nel XXI secolo, l’immagine della Melanconia sarebbe stata svincolata dalla necessità di una simbologia tanto restrittiva da essere quasi incomprensibile. Se volessimo però far circolare oggi un’opera come Nemesi (La Grande Fortuna) dello stesso artista su una piattaforma virtuale, probabilmente nel nostro libero, liberalissimo secolo, saremmo costretti a una rappresentazione del genere, dove l’ingegno umano è subordinato a strategie di camuffamento che evitino la censura sulla circolazione di immagini di un certo tipo:
Albrecht Dürer, Nemesi (La Grande Fortuna), 1502
Il problema si è spostato dalla possibilità di pubblicare un’opera che trasmetta un messaggio cifrato, alla possibilità di pubblicare quell’opera e basta. Dalla creazione di una sovrastruttura, – come fa Dürer – che camuffi l’intento reale dell’incisione, alla sovrapposizione di elementi che disorientino una macchina, la libertà dell’artista e la libera circolazione dell’opera sembrano sempre compromesse.
A partire dalle prime pagine del suo saggio su Dürer, Finkelstein espone il problema della presenza di volti subliminali che possono (o non possono, a seconda della nostra percezione, lo ammette lui stesso) offrire una prima chiave di interpretazione alla serie di strutture e sovrastrutture che popolano l’opera. Lui chiama parte di queste presenze «fantasmi», volti non necessariamente amici, che emergono da porzioni specifiche dell’opera: in particolare «i volti subliminali sulla faccia superiore dell’ottaedro», una delle forme più enigmatiche dell’intera incisione.
Lo studioso ci spiega che non sono volti immediatamente riconoscibili: da qui l’appellativo di fantasmi che appaiono e scompaiono; c’è bisogno di ruotare l’incisione e di averne una di elevata qualità per poterli percepire: una donna di profilo, un giovane uomo barbuto. Il gioco di Finkelstein si basa principalmente sulla relazione tra artista e mente dello spettatore contro un’istituzione capillare come la Chiesa Cattolica. Ipotizzando che questi fantasmi siano presenti, infatti, nell’indagare e accertarne l’esistenza, cerchiamo corrispondenze subliminali anche in altre opere di Dürer, stilando un intero testamento intellettuale. Finkelstein analizza Il Cavaliere, la morte e il diavolo, così come San Girolamo nel suo studio, ovvero le due incisioni che insieme a quella sulla Melanconia formano un ideale trittico. In queste due opere sono presenti dei contenuti subliminali che parlano della contemporaneità dell’artista. Riforma e controriforma, Dürer ed Erasmo, colui che condanna il cattolicesimo e colui che continua a volerlo riformare dall’interno.
Albrecht Dürer, Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, 1513
Albrecht Dürer, San Girolamo nel suo studio, 1514
La necessità di ricorrere all’auto-censura e quindi di adattare le proprie opere nascondendo alla vista diretta i dettagli più importanti e problematici per sfuggire all’oscuramento, al bando o all’eliminazione, è stata affrontata da Dürer attraverso l’espediente dell’apparizione momentanea: il fantasma della morte appare anche nell’incisione chiamata Coppia di innamorati e la morte, dove quest’ultima emerge solo a una scala maggiore rispetto a quella dell’incisione principale. Cosa succede, infatti, se non si rispettano le linee guida imposte dalla Chiesa Cattolica? Potremmo rispondere con un’indicazione al presente e formulare che: «Possiamo contare su un team globale che controlla queste segnalazioni e rimuove i contenuti che violano le linee guida. Questi team sono presenti a livello globale per coprire le segnalazioni 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Anche le persone che non hanno un account possono inviare una segnalazione. Quando invii una segnalazione, cerca di fornire il maggior numero di informazioni possibile per consentirci di trovarli e controllarli velocemente.»
L’ambiguità o il palese camuffamento di informazioni per la diffusione del proprio pensiero sono le due armi con cui Dürer, così come gli utenti delle odierne piattaforme di diffusione di contenuti, realizza le sue opere. Il fatto che Melencolia§Ia sia rimasta indecifrata per così tanto tempo non ha fatto altro che aumentare l’importanza del messaggio che intendeva celare alla maggior parte dei fruitori. Ce lo dicono dettagli importanti: la borsa dell’angelo che struscia a terra, per Finkelstein, è la Chiesa che si è insudiciata con il potere e il denaro; per questo motivo la veste dell’angelo è piena di volti subliminali che il fisico chiama «folli» – le quattro declinazioni dei mali che affliggono la chiesa, contro cui Dürer, come rinnovatore, polemizza.
Melencolia§Ia è solo una delle tante incisioni in cui possiamo trovare ambiguità che non ci permettono di capire cosa stiamo vedendo. Il titolo stesso ci porta verso una domanda: perché Melencolia e non il più naturale Melancholia, derivante dal termine greco μελαγχολία? Per Finkelstein questo è il primo modo con cui Dürer comunica all’osservatore che quello che vede è distorto e va ricomposto. Secondo l’idea dello studioso, si tratterebbe di un anagramma che cela “limen caelo”, ovvero la porta, la soglia, il confine o il limite, presente anche nello stemma della famiglia dell’artista. Nell’emblema della famiglia Dürer la porta del cielo è vuota, sembra non portare da nessuna parte; nell’incisione, l’edificio, unico elemento che potrebbe essere dotato di una porta, ne appare sprovvisto, segnando un confine tra interno ed esterno. «Chiamiamo subliminali tali immagini perché indugiano sotto il limen, o soglia, della percezione causale. La parola stessa “limen” è un riferimento subliminale a Dürer, che può significare “costruttore di porte”. Dürer aveva messo una soglia (limen) nel proprio stemma. E cancelli e porte e soglie prevalgono in Melencolia§Ia, come il limen nel cielo formato dall’arco lunare.»
Albrecht Dürer, Stemma della famiglia Durer, 1523
Albrecht Dürer, dettaglio di Melencolia§Ia, 1514
Inoltre: «Sembra ribadire la principale affermazione melanconica dell’opera. La casa di Dio non ha porte ma solo finestre, possiamo guardarvi dentro ma non entrarvi. La verità assoluta è inaccessibile al genere umano. La scala è per gli angeli. L’inaccessibilità della verità assoluta era un’idea comune al tempo di Dürer. […] Dürer poteva contare sul fatto che gli spettatori comprendessero.» Questo discorso molto complesso porta Finkelstein ad affermare che il limen è anche il confine della conoscenza del singolo; per questo motivo l’edificio presente nell’opera ha tante finestre, ma nessuna porta: l’uomo, sembra ricordarci l’artista rinascimentale, sarà pure al centro della Creazione, ma non è al pari di Dio che detiene una conoscenza a noi inaccessibile nel mondo reale. La mente umana, dunque, ha dei limiti oltre i quali non può spingersi. E anche la Chiesa – impersonificata dall’angelo- che vuole avvicinarsi a Dio vede cose a cui tende ma che non può raggiungere, dimostrando la sua finitezza e la sua fallacia, manifeste per Durer prima di tutto nell’Inquisizione che lo costringe a camuffare i propri messaggi.
Nello stesso modo anche oggi si creano fantasmi, attraverso il pixelamento di alcune parti del corpo quando decidiamo di condividere elementi che potrebbero essere segnalati come pornografici; oppure, costruiamo un’impalcatura decorativa fatta di emoji per nascondere qualcosa. Se l’incisione di Dürer, dunque, mostra fantasmi e immagini subliminali che possono, secondo interpretazione, essere notate solo dopo un’attenta visualizzazione dell’opera, allo stesso modo, egli ci insegna come non tutto sia spiegabile e che certi meccanismi di comunicazione si fissano nel tempo a cui appartengono per non essere esportabili nel lungo periodo. I fantasmi presenti nell’incisione lo sono anche nei contenuti che condividiamo quando vogliamo aggirare la censura sulle piattaforme, senza renderci conto del grado di complessità interpretativa a cui facciamo arrivare una fotografia o un post: se si pensa a un utopistico futuro in cui dovrebbe essere possibile interpretare e dare un senso a quanto potrebbe essere rimasto, secondo questa prospettiva, le ipotesi rocambolesche di Finkelstein sui fantasmi, gli amici e le dottrine presenti nella Melencolia§Ia non sembrano sciroccate, quanto, piuttosto, l’appassionato tentativo di continuare ad andare a fondo in un vocabolario di simbologie e misteri.
Proprio come in un gergo più comunemente composto da parole che hanno un significato per un gruppo ristretto di persone, o un gruppo sociale specifico, anche i significati delle emoji sono dotati di una stratificazione semantica che cambia in base al contesto. La loro ampiezza di significati ha un potere cruciale, tanto che la loro importanza si deduce dalle strategie che vengono adottate per controllarne forma e utilizzo, legandosi a dinamiche di potere esterne alla comunità in rete e relative a problematiche diplomatiche, come ad esempio la richiesta da parte del Governo cinese di rimuovere dal repertorio di emoji utilizzabili dagli utenti di Macao e Hong Kong la bandiera di Taiwan, oppure, più recentemente, l’utilizzo di cocomeri come palliativi al pericolo di utilizzare la bandiera palestinese in post o immagini che testimoniavano le atrocità della guerra tutt’ora in corso. Il rischio di essere censurati, di vedere i propri contenuti “legalmente” inseriti più in basso nel feed della community è molto alto. L’utilizzo della fetta di cocomero, tra l’altro, ha dei precedenti storici importanti, risalendo fino al 1967, quando gli israeliani avevano criminalizzato ogni tentativo di mostrare la bandiera palestinese a Gaza e nel West Bank. Per associazione, il cocomero con i colori verde, bianco, rosso e nero, circoscrive e aggira il ban ieri come oggi, dimostrando, inoltre, che la censura arriva fin dove la notizia e i simbolismi sono collegati al presente, senza far riferimento a un filo continuo di eventi e situazioni che perdurano da decine e decine di anni. Questi simboli diventano dei veri e propri fantasmi che evocano quello che Aristotele chiamava «l’intellegibile in potenza»: per analogia, sono collegabili con ciò che vediamo, in una stratificazione di rimandi culturali, cromatici, simbolici o arcaici – si pensi ai fiori, alle stelle o alle piante varie che vengono utilizzate per coprire parti intime femminili quali capezzoli o vagine – portando ancora una volta il corpo al centro del dibattito.
Fantasmi di corpi deformi erano quelli di Dürer in Melencolia§Ia, fantasmi di pezzi di corpo sono quelli di fotografie condivise sulle piattaforme. Quando si tratta di nudità online, Instagram afferma di avere una politica apparentemente semplice. Le sue linee guida della community dichiarano: «Foto di cicatrici post-mastectomia e donne che allattano attivamente» sono consentite; mentre, «foto, video e alcuni contenuti creati digitalmente che mostrano rapporti sessuali, genitali e primi piani di glutei completamente nudi» non lo sono. Ma ciò che molti utenti non sanno è che oltre al semplice divieto di immagini di nudo, Instagram utilizza questa forma di censura molto più oscura per i contenuti che si trovano in un’area grigia che descrive come «sessualmente suggestivi». Piattaforme del genere hanno a lungo confuso e abbattuto artisti che hanno lavorato e rappresentato il corpo, bannando la nudità nella fotografia, anche in quella artistica, dimostrando che gli algoritmi hanno spesso difficoltà a distinguere il reale contenuto. Si avverte una costrizione dell’espressione artistica, poiché quello che si deve mostrare è al sicuro se assume le sembianze di un fantasma tanto inconsistente da non essere segnalato. Il corpo, dunque, continua a essere un campo di battaglia anche per mezzo della sua parziale sparizione, risultando incompleto per non essere escluso dalla diffusione di contenuti. In alternativa, gli artisti possono modificare un’immagine sfocando o oscurando parti che potrebbero essere segnalate. Questa immagine modificata diventa una nuova versione consentita dell’opera d’arte, per quanto rovinata nella sua presentazione.
Cosa rimane, allora, dello slancio creativo? È forse un tentativo di prendere le sembianze di Saturno, allontanando i suoi “figli migliori” dalla società per farli tornare solo dopo aver ottenuto determinati risultati? Il limen della tollerabilità è stato superato, «sappiamo – continuano le linee guida religiosamente – che, talvolta, le persone desiderano condividere immagini di nudo artistico o creative, ma per diversi motivi non è consentita la pubblicazione di contenuti di nudo»; quali siano questi motivi non viene spiegato, se non attraverso l’ambigua e quanto mai ipocrita attenzione ai “gusti” di un pubblico eterogeneo, senza alcun riferimento alla tutela dei soggetti rappresentati o di categorie di utenti da tutelare. «con la sua ambiguità pervasiva, Melencolia I è un’opera postmoderna, realizzata nel sedicesimo secolo» La melanconia è proprio questo: un dono precario che, se non temperato, porta verso la depressione e l’ansia, se ben utilizzato, eleva l’uomo verso maggiori altezze: «La bugia è nel nostro intelletto, e il buio è così saldamente radicato nella nostra mente che perfino il nostro brancolare verrà meno».
Lascia un commento