Se non fai il bravo, Mothman ti prende. Il piccolo Harry si morse le labbra e strinse forte le gambe, cercando di trattenere un goccio di pipì. Se se la fosse fatta addosso Mothman sarebbe venuto a prenderlo. Lo vedeva già mentre protendeva la lunga proboscide verso di lui per succhiarlo come se fosse un piccolo cartone di succo di frutta. Il bambino si alzò cautamente dal letto e andò fino alla finestra per controllare per la decima volta (dodicesima in realtà) che gli occhi rossi di Mothman non lo stessero spiando nella notte. Tutto era tranquillo, poteva tornarsene a letto. Se si fosse fatto sentire da Ma’, il pericolo sarebbe stato ancora maggiore: stare fuori dal letto dopo le nove era una cosa proibita, proibitissima, che non si doveva nemmeno pensare di fare; se lo avesse colto in flagrante reato, Harry ne avrebbe prese un sacco e il giorno dopo non lo avrebbe mandato in campagna da zia Clare. Il ragazzino suddivideva le sue ansie settimanali tra la scuola, Ma’ e Mothman; ma la domenica, se era stato sufficientemente buono, poteva passare la giornata dalla sua favolosa zia. Clare era la sua unica parente, a parte Ma’, e l’unico adulto di cui lui si fidasse.
Harry si raggomitolò nel letto e provò a dormire. Niente. Strizzò gli occhi e cominciò a contare fino a cento ma era troppo agitato per addormentarsi. Quella sera a tavola, mentre mangiava la fettina di vitello, Ma’ gli aveva detto: “Non so se domani potrai andare da zia Clare. Ti ho dovuto punire già due volte questa settimana. Comportati male un’altra volta, stasera o domattina, e sarò costretta a non mandarti in campagna”. La notizia aveva messo in agitazione il suo figliolo, che si era precipitato a mandare giù il boccone di carne collosa con un po’ di latte. Dopo cena aveva guardato per un po’ la tv senza dire una parola; alle nove, da bravo ometto, aveva spento la TV, lavato i denti, messo il pigiama e poi era andato a letto, pieno di ansie riguardo a Mothman e al giorno dopo. Quella notte sognò di stare su Cocca, la giumenta grigia e bianca sempre incinta, la preferita della zia e anche la sua.
Si svegliò con un sorriso enorme in una mattina soleggiata. Harry aprì le tende per far entrare bene la luce e visto che era ancora presto rispetto all’orario di sveglia, se ne stette a poltrire sul letto, al sicuro ormai dai mostri notturni e, per il momento, dalle minacce di Ma’. Quel pomeriggio, dalla zia, avrebbe giocato con Cocca e il suo ultimo puledrino, avrebbe raccolto more di gelso e mangiato una fetta di crostata alle ciliegie, ma soprattutto sapeva già che la sua giovanissima e bellissima zia lo avrebbe accolto con un abbraccio, lo avrebbe preso per mano tra i filari di peri e lo avrebbe baciato e ribaciato durante tutta la visita. Ad Harry sembrava già di essere avvolto dai suoi lunghi capelli dorati e di essere trattenuto per un po’, come se fosse stato ancora un bambino piccolo, fra le sue braccia morbide. Il ragazzino si stiracchiò felice e andò a lavarsi. Per quella giornata eccezionale aveva in mente di indossare la sua felpa da ninja o, meglio, la felpa che a lui pareva fosse fatta per un ninja.
A colazione Ma’ sembrava di pessimo umore, ma lei era sempre di pessimo umore, perciò, cercò di non pensarci troppo e di concentrarsi sul suo piatto mentre la spiava di sottecchi. Ma’ era sicuramente stanca, poverina, lavorava tutto il giorno e poi doveva anche cucinare e provvedere a un ragazzino ingrato come lui. Gli veniva da piangere se pensava a tutte le volta che era stato cattivo nei suoi confronti; avrebbe voluto chiederle scusa e darle un bacio come faceva con zia Clare, solo che Ma’ a volte sembrava circondata da una gabbia di ferro gelato, che respingeva tutti i suoi abbracci. A volte avrebbe voluto che zia Clare fosse stata sua madre. Un sussulto. Trattene il respiro. Quello sì che era un pensiero cattivissimo. Doveva stare attento o Ma’ se ne sarebbe accorta. Terminò la colazione in silenzio e, cercando di tenere sgombra la mente per non essere localizzato dai radar di Ma’, mise le stoviglie nel lavello e andò in camera a prendere lo zainetto. “Dove vai?”. Silenzio. “Tu oggi non vai da nessuna parte”. “Ma’…” “Mi hai sentita”. “Per favore, Ma’, per favore.” “Ho detto di no, non ti permettere di contraddirmi”. “Perché?” “Perché lo dico io. Tu oggi rimani a casa. Punto. E se continui a fare così te le do di santa ragione.” “Ma’!” Harry si scoprì a urlare. Non gli importava delle conseguenze, non riusciva a starsene zitto di fronte all’ennesima ingiustizia. “Ti odio, Ma’! TI ODIO!” Gli occhi di Ma’ erano nuvole che promettevano burrasca, ma il bambino uscì dalla stanza pestando forte i piedi e, come gran finale, sbatté forte la porta della stanza alle sue spalle.
Si sentiva un ninja fortissimo e decise che quella sera stessa avrebbe affrontato e sconfitto anche Mothman. Rimase di questo avviso per circa dieci secondi, il tempo che sua madre ci mise per entrare in camera sua e afferrarlo per un braccio. Harry si mise a piangere, non provò nemmeno a ritrattare quello che aveva detto, a chiedere scusa o implorare pietà, tanto sapeva di non avere scampo. Ma’ si accomodò sul letto e, dopo avergli abbassato pantaloni e mutandine (umide di pipì), se lo mise a pancia in giù sulle ginocchia. Iniziò uno dei suoi interminabili sermoni sui bambini cattivi mentre Harry piangeva come un capretto già dai primi colpi. Ma’ aveva mani dure e pesanti, si facevano sentire sul culetto del bambino, che in poco tempo fu rosso come le ciliegie che amava raccogliere da zia Clare. Domenica prossima sarebbe sicuramente andata a trovarla. Non avrebbe fatto arrabbiare ancora Ma’. Garantito. Solo, fra un singhiozzo e uno sculaccione, si chiedeva se quella sera sarebbe stato davvero in grado di affrontare Mothman.
Rimasto solo nella stanza, Harry si calmò a poco a poco. Con il petto scosso dagli ultimi singhiozzi si chiedeva se, conciato in quel modo, sarebbe stato ancora in grado di affrontare Mothman. Si asciugò gli occhi con la manica della felpa e, massaggiandosi il culetto, prese il suo diario segreto. Il bambino sfogliò meticolosamente le pagine vuote, prese una penna rossa e scrisse senza togliere il cappuccio “Voglio stare da zia Clare. Ma’ è cattiva”. Ecco fatto: nessuna traccia di inchiostro sul diario e i suoi segreti sarebbero rimasti al sicuro. Rimise tutto a posto e con un sospiro si appoggiò al letto.
Il resto della giornata trascorse in modo oltremodo noioso, con Ma’ che brontolava e lui recluso in casa a sfogliare di malavoglia vecchi fumetti. Anche quel giorno però, finì e scoccarono inesorabilmente le nove. Ora di andare a letto. Harry si sentiva più stanco del solito, anche a causa della battaglia ingaggiata quella mattina con Ma’. Appena si sdraiò bocconi sul letto si addormentò instantaneamente. Si svegliò di soprassalto a causa di uno strano ronzio metallico, sembrava provenire dalla parte opposta della stanza, insieme a uno strano bagliore rossastro. Harry deglutì a vuoto, la bocca secca. “Ci siamo” pensò. Prese la torcia che aveva pronta sul comodino per ogni evenienza e la puntò verso la finestra. Davanti a lui c’era una figura così alta da sfiorare il soffitto, su quella che sembrava essere la testa del gigantesco mostro c’erano due occhi rossi e luminosi come due fanali, aveva due gambe umane e due grandi ali spiegate e tremolanti. E la proboscide… la proboscide… la vescica di Harry si svuotò di colpo e il piccolo ricadde all’indietro ormai tutto fradicio (se l’era fatta addosso) tanta era la paura. Quando riprese pienamente coscienza di sé, si accorse di essere in volo, stretto fra due braccia nere e possenti. “Do-dove mi porti?” biascicò il bambino col poco fiato che gli rimaneva. La risposta arrivò in un ronzio metallico: “Da zia Clare” rispose Mothman.
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