Intervista a Lucio Massa – Hacker Porn Film Festival

Intervista a Lucio Massa – Hacker Porn Film Festival
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Lucio Massa è sceneggiatore, regista e produttore cinematografico. La sua carriera parte dall’horror estremo ed approda al porno. Nel 2017 fonda l’Hacker Porn Film Festival che si tiene ogni anno a Roma, al Trenta Formiche, circolo Arci di riferimento del quartiere Pigneto. Dopo aver partecipato all’edizione 2024 del festival abbiamo chiesto al suo fondatore di poter fare quattro chiacchiere sulla storia del festival, la sua politica e la sua evoluzione, il suo futuro.

Quando è nata l’idea di voler creare un festival del cinema porno? E perché un progetto come l’Hacker Porn? Più che un festival sulla pornografia mi sembra un festival contro una pornografia mainstream, omologata, disinnescata.

L’idea del festival nasce nel 2017 in seguito ad un episodio di censura subito dal film Porno e Libertà di Carmine Amoroso. In quel periodo, mentre lavoravo come produttore dell’ultimo film di Luigi Zanuso [Oltre la follia (2016), ndr], ho conosciuto Carmine, il cui produttore associato era Fran Stable. Tutti e tre ci trovammo insieme a discutere della censura che aveva ricevuto la locandina del film su Instagram e Facebook a causa della presenza di un capezzolo, lo stesso problema era capitato spesso nei cinema in cui il film era stato distribuito. La nostra comune insofferenza a quella censura ci legò molto.  Così io e Fran cominciammo a discutere dell’idea di creare un festival che hackerasse non soltanto la pornografia ma tutto quel sistema del cinema e dei suoi festival verso cui ci sentivamo insofferenti. La situazione per noi ormai era ingestibile: la pornografia commerciale non ci interessava e volevamo proporre visioni differenti, proiettare cose mai viste che creassero nello spettatore uno shock. L’idea era di gestire il festival su base volontaria, in autoproduzione. Volevamo creare qualcosa che fosse di tutti e quindi di nessuno, qualcosa che proprio per questo non può essere rubata.

Dove si sono svolte le edizioni del festival?

La prima edizione dal 2017 si è svolta al Kino, poi dagli successivi ci siamo spostati al Trenta Formiche [un circolo arci con sede a Roma, come il Kino, entrambi nel quartiere Pigneto, ndr]. Durante la pandemia ci siamo fermati perché non volevamo fare un’edizione online, ci siamo sempre opposti alle situazioni virtuali. Abbiamo preferito cancellare l’edizione del 2020 e aspettare che si potesse tornare a fare un’edizione in presenza. Vogliamo che durante il festival le persone siano in sala, che vivano direttamente quell’esperienza. Non parlo solo delle proiezioni ma anche dei dj set, delle feste. È questo che rende oggi l’Hacker un festival unico nel suo genere.

Questo mi ha fatto riflettere molto sulla forma che avrei potuto dare a questo articolo. Avevo pensato di fare un reportage dal festival ma mentre ero lì, durante le serate, ho capito che sarebbe stato davvero difficile riportare esattamente quel mood. Avevo l’impressione di banalizzarlo, filtrare con le parole una sensazione difficile da inquadrare senza essere lì, senza varcare una soglia, quella del Trenta Formiche.

Hai colto perfettamente quello che è oggi il festival, un festival difficile. Non perché volessimo creare qualcosa di elitario o una roba radical chic ma perché la nostra era un’idea già radicale in partenza: sfruttare il sistema, le sue lacune, le sue aree grigie e fare qualcosa che fosse veramente contro. Oggi partecipano all’Hacker Porn molti artisti internazionali, vengono a vederlo persone da tutta Italia e dall’estero ma noi non abbiamo fatto molto per farlo conoscere, non ci siamo mai impegnati veramente nel pubblicizzarlo. L’Hacker Porn è una specie di fight club, ti sembra che non esista ma poi esiste. Non che il festival sia segreto ma di solito lo conosci grazie al passaparola, alla voce di un amico, a chi già c’è stato.

Questa impostazione, come dici tu da fight club, la ritrovo anche nella grafica del festival, nelle locandine che risultano abbastanza oscure o nel logo stesso: una falena.

Si, il nostro logo è un insetto notturno dal doppio sesso. Questa immagine richiama anche il payoff del festival: no gender no border, perché non vogliamo avere un confine preciso. È per questo motivo che le nostre grafiche sono piene di insetti: animali strani, che vivono nell’ombra e possono essere repulsivi per molti. È un’immagine che per noi rappresenta bene l’identità del festival.

Dalla prima edizione al Kino allo spostamento di location al Trenta Formiche e poi nelle edizioni successive – otto in totale – quale è stata l’evoluzione del festival? È variato qualcosa o siete sempre rimasti gli stessi?

Il passaggio alla location del Trenta Formiche per noi è stato determinante. Nel 2018 il cinema Kino, dove avevamo fatto la prima edizione del festival, aveva chiuso e spostarsi al Trenta Formiche è stata per noi una scelta naturale perché avevamo tenuto lì la festa di chiusura della prima edizione dell’Hacker Porn. Il nostro unico progetto fin dall’inizio è stato quello di fare un festival, un festival di cinema, poi l’evoluzione è stata spontanea. A differenza di tanti altri eventi non ci siamo mai voluti posizionare in una prospettiva precisa. Ti faccio un esempio: noi non facciamo altri eventi durante l’anno per finanziare il festival; l’Hacker Porn nasce e finisce nelle settimane in cui ci sono gli appuntamenti, poi torna silente. Non abbiamo nemmeno una pagina social attiva fuori dal periodo delle proiezioni. Il festival per noi non è un lavoro ma un mood.

Le energie dell’Hacker Porn quindi derivano quasi esclusivamente dalle persone che vi partecipano, è una forma di catalizzazione che credo si percepisca durante le proiezioni e gli eventi. Mi stai raccontando di una forma di organizzazione spontanea che oggi è sempre più rara, però per non cadere in una narrazione un po’ idealistica e ingenua, voglio chiederti anche qualcosa sull’aspetto economico: come tornano i conti dell’Hacker Porn? Il festival è autofinanziato e voi tenete molto alla vostra indipendenza organizzativa, a rimanere anticommerciali e lontani dal mainstream. Quali problematiche dovete affrontare nella pratica per portare avanti un festival del genere?

Sicuramente ogni anno dobbiamo fare attenzione al budget. Cerchiamo poi di essere un festival il più possibile accogliente ma senza permetterci sprechi: ospitiamo ad esempio gli artisti in case di amici. Per noi il festival è di chi lo fa, se lo fai e decidi di partecipare ti prendi un po’ del festival ma dai anche qualcosa di tuo: perché vieni, perché ti diverti, perché attraversi esperienze connesse alla sessualità, perché guardi semplicemente un film. È un festival che ti costringe volutamente a esserne parte integrante.

La scelta del Trenta Formiche come location del festival – deliberata o non – mi è sempre sembrata molto azzeccata perché con quei muri di mattoni e i soffitti bassi a volta, nella penombra, sembra di essere tutti stretti in un ventre o in un utero. Almeno avevo questa immagine mentre ero lì.

Si, bisogna dare sicuramente merito al Trenta Formiche di essere diventato una location ideale ma anche di essere ormai parte attiva all’interno del festival. L’Hacker Porn oggi è diventato un evento a cui il loro circolo Arci tiene molto e anche noi ci sentiamo legati a loro, direi che è una simbiosi: se il Trenta Formiche chiudesse non potremmo organizzare il festival in un altro posto. Stiamo comunque pensando di far finire l’Hacker Porn…

Lo hai accennato durante l’ultima sera del festival ma non hai spiegato quali sono i motivi di questa scelta (anche questa in totale controtendenza).

Ci piace l’idea che il festival abbia un termine. Non vogliamo che diventi un’abitudine. È come quando sei in una relazione, se diventa un’abitudine diventa noiosa. Vogliamo che l’Hacker Porn rimanga una cosa viva, è possibile quindi che in uno o due anni decideremo di chiuderlo. Credo sia importante che le cose abbiano una fine, non bisogna lasciarsene ossessionare. Molti cineasti continuano a fare film senza domandarsi se hanno ancora qualcosa da dire e così perdono inevitabilmente di valore. Arriverà un momento in cui il festival potrebbe avere meno da dire in questa forma e allora dovrebbe mutare, in pieno stile Hacker, e diventare qualcos’altro.

Proprio qualche giorno fa leggevo un’intervista in cui Goffredo Fofi diceva la stessa cosa delle riviste: non dovrebbero durare mai più di cinque anni, altrimenti cominciano a ripetere se stesse; come le relazioni e i festival quindi anche le redazioni dovrebbero avere un fine vita.

Sono d’accordo. Per noi non è un lavoro, è un modo in cui ci piace investire il nostro tempo. E’ un valore insomma. 

Però per adesso siete ancora vivi e quest’anno avete consegnato il premio alla carriera a Jürgen Brüning fondatore del Pornfilmfestival di Berlino. Che rapporto ha l’Hacker Porn con gli altri festival internazionali e quali sono oggi i più interessanti?

Abbiamo relazioni con diversi festival del porno internazionali. Nel creare l’Hacker Porn siamo stati ispirati dal Pornfilmfestival di Berlino che è un nostro punto di riferimento e lo è stato anche per me come produttore e regista. Con altri festival più giovani di noi ed è nata una collaborazione, anche molto stretta, come con il Post-Porn Festival di Varsavia, che è attivo da tre anni e che abbiamo supportato (anche perché volevamo anche noi darlo in culo alla chiesa in Polonia). Cerchiamo sempre di supportare quello che ci piace, ci basiamo ovviamente sui nostri parametri: il turbamento, lo shock emotivo, proiettare ciò che non si era mai visto prima.

Questo mi fa pensare ai tuoi discorsi di introduzione alle proiezioni del festival rispetto ai possibili trigger presenti in video: hai invitato il pubblico ad uscire dalla sala nel caso avesse assistito a qualcosa che lo disturbava ma hai evitato di categorizzare necessariamente ogni visione ribadendo che di per se volete che rimanga incategorizzabile. Parlo soprattutto della sezione No Gender No Border [una delle selezioni del festival che presenta, come si può leggere dal sito, “i cortometraggi più arditi e conturbanti e include una vasta gamma di contenuti, da aghi e cilici a speculum e strumenti dentali, oltre a momenti di connessione profonda e intima, relazioni indissolubili”].

In generale non vogliamo indottrinare troppo con una spiegazione della visione. Sei vuoi, puoi attraversare ciò che vedi, poi se quella cosa ti disturba puoi interrogarti su ciò che senti e magari aprirti a qualcosa di nuovo. La cosa che ci sta più a cuore nelle proiezioni dell’Hacker è problematizzare, non vogliamo accompagnare lo spettatore nella visione. Gli autori dei film o gli organizzatori del festival poi hanno uno spazio per commentare e approfondire i temi delle proiezioni o dare anche un punto di vista ma non pretendiamo di portare alcuna verità allo spettatore.

Avete avuto dei momenti di contestazione o in generale dei momenti di difficoltà durante le diverse edizioni del festival?

No, direi di no. Ci sono sempre stati dibattiti accesi però il festival non è mai stato in difficoltà. Ti cito una frase di uno dei miei maestri, Lucio Fulci: “a una critica risponderemo con un altro film”. Come dicevo il tema centrale del festival è problematizzare, si può parlare, si può discutere, basta che non ci sia un pensiero unico su di un tema, bisogna mantenere sempre aperto il proprio senso critico.

Anche per ragioni oggettive le proiezioni al Trenta Formiche predispongono ad un dialogo orizzontale: non c’è così tanto spazio tra le persone e lo schermo per immaginare una divisione che presenti un’autorità.

Sì, tu parlavi di ventre, a me fa pensare ad un uovo che ti tiene al caldo mentre per osmosi assorbi cose: film, musica, sensazioni.

C’è qualche aneddoto dalle edizioni dell’Hacker Porn che ricordi con particolare affetto?

Ce ne sarebbero davvero tanti. Un aneddoto interessante può essere l’indice delle persone svenute, ce ne sono sempre almeno una o due, teniamo il conto ogni anno. Alcuni anni fa però una di queste persone ha trovato l’idea per fare un film proprio da quello che l’aveva triggerata, l’abbiamo poi proiettato l’anno successivo nella categoria 48 ore [una sezione del festival in cui vengono proiettati cortometraggi realizzati a Roma in 48 ore durante lo svolgimento del festival, ndr]. L’anno prossimo faremo un best of della categoria 48 ore con tutti i lavori che sono stati prodotti in questi anni: corti intorno a Roma, al Vaticano, alla Chiesa, temi molto divertenti…

Oltre ad essere fondatore dell’Hacker Porn hai anche una casa di produzione cinematografica, la Aborsky Production e lavori come sceneggiatore e regista. Quale è stato il tuo percorso verso la scoperta di un cinema “estremo” e cosa ti ha portato poi ad occuparti di porno?

Il mio percorso nel cinema inizia dall’horror, poi mentre stavo lavorando al film Hippocampus M 21th, prodotto da Luigi Pastore – una rivisitazione di M – Il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang – la scrittura di quel film aveva smosso in me qualcosa e mi sono accorto che scrivere film horror mi interessava sempre meno, nonostante venissi da quella cultura. Ho deciso poco tempo dopo di contattare Luigi Zanuso perché mi interessava l’idea di fare un film da produttore con lui. Finito di girare quel film [Oltre la follia (2016), ndr], lo portammo al Pornfilmfestival di Berlino, insieme ad un’altro, Undercover Mistress, diretto da Giulio Ciancamerla. È a quel punto che ho iniziato a pensare di poter fare anche delle cose mie nel porno, così il mio percorso è diventato sempre di più una ricerca dell’estremo, di un immaginario al limite di ciò che le persone hanno voglia di vedere.

Durante l’Hacker Porn consegnate due premi intitolati a delle persone, parlo dei premi Capozzi e Barone, immagino siano delle personalità che sono state in qualche modo importanti per il festival, puoi dirmi qualcosa a riguardo?

Questi due premi sono nati come tributi a due nostri amici: Michele Capozzi, pornologo e padre putativo del porno italiano. Capozzi era a New York durante la Golden Age del porno e ha riportato in Italia molte contaminazioni, è stato un grande promotore del porno, un agitatore culturale e ha organizzato tanti eventi connessi al porno. Quando è morto, due anni fa, abbiamo immediatamente deciso di intitolare a lui un nostro premio che solitamente è legato a orge – che a lui piacevano molto – oppure a esordienti talentuosi che vogliamo lanciare, dato che è stato anche un grande talent scout. Il premio Barone è in ricordo di un’altra presenza costante nelle nostre feste ed eventi: Barone era parte della comunità kinky e amava molto il BDSM, il suo premio va quindi a opere che rappresentano questo tipo di immaginari.

Vorrei chiudere con una domanda extra-porno: so che sei un fan dei CCCP, cosa ne pensi di questa reunion? Andrai a vederli dal vivo?

Certo che andrò a vederli! La mia generazione è cresciuta con i CCCP e la possibilità di rivedere insieme Zamboni, Ferretti, Fatur e Annarella non possiamo perdercela. Comprendo ovviamente le critiche verso il lato commerciale dell’operazione e quelle in particolare rivolte a Ferretti che da un po’ di anni è diventato amico della Meloni e pure del Papa e magari torna a suonare perché deve rifare il tetto alla stalla dei cavalli. Sono andato a vedere la loro mostra a Reggio Emilia e quando vedi i bauli che ha riaperto Annarella con i costumi e tutta quella roba di scena, ecco quello non può lasciarti indifferente, credo che quell’emozione sia stata vera anche per loro e che quel pezzo di verità ce l’abbiano messo dentro in questa reunion. Poi ho letto che Ferretti è davvero in forma! Io mi ricordo che ai tempi di Linea Gotica dei CSI, nel ’92, stava malissimo, sul palco non si reggeva in piedi. Sono andato ad un loro concerto proprio in quell’anno a Melpignano, avevo 18 anni, c’erano questi punk che mettevano paura per come erano vestiti e iniziarono a protestare perché volevano ascoltare soltanto le canzoni dei CCCP, cominciarono a lanciare bottiglie di birra sul palco e Ferretti fu costretto a interrompere il concerto tentando di spiegare che i CCCP erano morti e non avrebbero fatto quelle canzoni. Nonostante tutto, secondo me, dopo quarant’anni rimangono un gruppo di rottura ancora oggi. Anche se il pubblico va al concerto solo per criticarli e dirgli che sono dei mercenari, lo trovo comunque interessante a prescindere. Sono curioso di vedere quando scatenano Fatur fuori dalla gabbia cosa succede.

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