Arcipelago

Arcipelago
Arcipelago Viola, Giulio Turcato
[Tempo di lettura: 4 pignalenti]

Il tema del sesto numero digitale di Stanca non c’è. Quando abbiamo fondato la rivista a gennaio del 2024 – festeggiamo oggi i nostri primi sei mesi da rock star – ci siamo dette che scegliere un filo conduttore tra gli articoli da pubblicare rappresentava prima di tutto un pretesto. Pretesto, tuttavia, non significa casualità. Dietro ogni tema mensile ci sono letture in comune, analisi condotte a partire dalla necessità di sviscerare certe questioni. 

Nessuna urgenza, sia chiaro. Rifiutiamo, anzi, l’idea che la cultura debba procedere per parole d’ordine. Decidiamo quindi di pubblicare, per un mese, proposte sconnesse tra di loro, purché incontrino il nostro gusto. Questa decisione è per noi anche una forma di inchiesta, il tentativo di capire di cosa vogliono parlare le persone che ci leggono. Siamo consapevoli che, soprattutto per riviste ancora agli inizi come la nostra, coloro che ci mandano proposte sono un sottoinsieme dei nostri lettori e delle nostre lettrici. Aprire a proposte di ogni tipo, quindi, è stato un mezzo per conoscere gli interessi della comunità di persone che vogliamo creare attorno alla rivista, perché fare cultura, per noi, è prima di tutto un processo dialettico tra chi scrive e chi legge, il tentativo di dire qualcosa nella consapevolezza che i nostri discorsi nascono dal circostante, dal quotidiano, facendoci noi stesse osservatrici di ciò che ci sta intorno, seguendo una prassi che è tanto teorica quanto politica.

In questo numero leggerete più racconti del solito. Ci siamo domandate perché tante persone sentano l’esigenza di esprimersi in questa forma, poco praticata dalle riviste, poco pubblicata dall’editoria libraria e forse poco recepita dal pubblico. Non abbiamo una risposta, ma ci siamo scontrate con la difficoltà di selezionare i racconti che sono entrati a far parte del sesto numero di Stanca. Maneggiare e commentare un racconto presuppone un approccio diverso da quello del giornalismo culturale, poiché in un racconto, a nostro parere, lo stile e il contenuto stanno in rapporti diversi, per certi versi opposti, rispetto a una forma razionale del linguaggio. Si può portare avanti un discorso per mezzo dello stile? Il racconto può (deve) comunicare un messaggio? È questa la funzione che è necessario attribuire al racconto oggi? L’obiettivo di questo editoriale non è sistematizzare domande estremamente complesse come queste, ma nella prassi di selezione e pubblicazione di un racconto continuiamo a problematizzare queste questioni, scegliendo i racconti che riescono a mostrarci qualcosa senza necessariamente dirla.

Abbiamo selezionato racconti molto diversi fra loro per genere e contenuti, che spaziano dal nonsense allo sci-fi fino alle storie di formazione. Leggerete quindi per primo Febbre di Sofia Carlotto, in cui l’autrice cristallizza il passaggio dall’infanzia all’età adulta come momento ri-significazione del mondo. Cosmogonia di Giacomo Vaccarella racconta le conseguenze sul protagonista di una camera anegotica, un luogo in grado di svuotare le persone del proprio io. Segue una selezione di racconti brevissimi e surreali di Sandro Lezzironi (Millefogli, Zizzona di Battipaglia, Fotosintesi clorofilliana). Infine, IAto di Antonio Bernardini, una storia ambientata in un mondo distopico in cui le IA hanno un corpo e si ribellano alla schiavitù imposta dagli umani. 

Gli articoli, quindi. Teo Ippolito intervista Federico De Vita, autore del podcast Illuminismo psichedelico, che mira a sensibilizzare il pubblico sul valore culturale e sociale degli psichedelici. L’intervista indaga le principali questioni legate alle droghe, alla loro diffusione e al loro uso consapevole, concentrandosi sui miti da sfatare riguardo l’assunzione di psichedelici. Il rinascimento psichedelico è prima di tutto un movimento culturale, che unisce al dibattito sull’uso medico degli stupefacenti anche una normalizzazione dell’aspetto ricreativo e di socializzazione. Pubblicheremo, in seguito, la seconda parte della conversazione con Giulio Calella, direttore editoriale di Jacobin Italia. Calella racconta la storia della casa editrice Alegre, parla delle ragioni che animano il Festival di letteratura working class di GKN e riflette sul senso di fare letteratura militante oggi. Marcello Conti ha recensito per noi Dopo Internet, la raccolta di saggi di Tiziana Terranova edita da Nero nel 2024. Il libro ha una doppia funzione: da un lato essere la cronaca della trasformazione di Internet in un Corporate Platform Complex, dall’altro ricostruire le possibilità che sono andate perdute in questo processo, la lotta tra due idee opposte di rete, la battaglia – come recita il sottotitolo – tra capitale e comune. Maria Giardina intervista Enrico Terrinoni, traduttore, fra le altre, delle opere Joyce e recente autore del romanzo A beautiful nothing, il suo esordio letterario. L’intervista si concentra sui temi del suo ultimo libro, in particolare sul rapporto tra fare letteratura e essere parte dell’accademia, e sulla concezione della letteratura che emerge dallo studio delle opere di Joyce: “Siamo abituati a leggere i libri pensandoli come degli scrigni, che puoi aprire dopo aver trovato la chiave, invece con Joyce, una volta reperita la chiave, apri e trovi un bellissimo nulla”. A concludere il mese, una riflessione di Federica Ranocchia sul rapporto dialettico tra militanza intellettuale e luoghi di produzione della cultura a partire dall’ultimo Salone del Libro di Torino.

Ogni articolo, in un panorama culturale schizofrenico, frammentato e spesso introflesso, rischia di essere un’isola a sé stante, una voce che produce un’eco più o meno grande ma che, indipendentemente da quante volte rimbalzano le onde sonore, si perde nel vuoto. Noi vogliamo per lo meno provare a formare un arcipelago, cucire legami interni fra i nostri articoli, far sì che ogni pezzetto di Stanca sia, alla lunga, la parte di un discorso unitario. È per questo che tutti i pezzi di questo mese, seppur non legati fra loro da un tema, contengono in ogni caso rimandi a qualcosa che abbiamo pubblicato in precedenza e, volontariamente o meno, continuano a far risuonare alcuni dei discorsi che – dopo sei mesi possiamo dirlo – caratterizzano Stanca come rivista.

È forse superfluo provare a fare un bilancio del nostro lavoro dopo un tempo così limitato, una ricorrenza che metterebbe in imbarazzo anche la più smielata delle coppiette, ma sappiamo anche che molte riviste culturali in Italia durano su per giù un anno e non ci riteniamo immuni alle malattie endemiche del fare cultura: mancanza di soldi, difficoltà nel portare avanti un discorso coerente e radicato nella realtà, assenza di spazi e di visibilità al di fuori dei principali canali di comunicazione. 

Alla fine del mese andremo in vacanza e ci ritroverete l’1 settembre al Torrione a Roma, per il primo evento romano di presentazione live dei nostri primi due numeri cartacei. Nel frattempo, ci presenteremo anche a Martinsicuro (TE) il 19 luglio. Parleremo con l’autotune e forse indosseremo gli occhiali da sole. Vi aspettiamo per costruire il fuori, nel frattempo buona lettura.

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