Fantasma

Fantasma
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Quello che non è, l’altro abortito e diventato vuoto pulsante che ci cammina accanto, lo spazio lasciato da una ruga: una strada sconosciuta e non più percorribile che ora ho sulla faccia. Il fantasma può essere confuso con la nostalgia ma non lo è (questo punto è molto importante): non è quel qualcosa che è rimpianto perché finito ma ciò che non è mai stato e perciò schiaccia sotto il peso vertiginoso della sua infinita possibilità. È tutto quello che/se/eppure/[?]. 

Fantasma è una parola di otto lettere, derivata dal greco ϕάντασμα: mostrarsi, apparire. La sua radice phanta- è la stessa di fantasia e fantastico, una famiglia di parole che evoca ciò che non esiste o un’immagine irreale di qualcosa non presente. Nell’uso greco, la parola fantasma non è ancora legata al significato oggi più comune di spirito di un defunto, mentre è intesa soltanto come apparizione soprannaturale; con il tempo assume stabilmente la connessione con la morte e il sentimento della paura, concludendo la sua evoluzione semantica nel Romanticismo. La parola fantasma è centrale nel sistema culturale romantico ed è in questo periodo che assume lo stesso significato con il quale la usiamo oggi. In Italia le prime attestazioni risalgono al Duecento, al femminile: la fantasma. Sono suoi sinonimi: larva, lemure, ombra, spettro, spirito, ectoplasma. 

Fantasma è un sostantivo che in funzione attributiva assume una straordinaria prensilità, facendo riverberare la sua patina di inesistenza in tanti significati stupefacenti: l’arto fantasma o algoallucinosi, il disturbo psicosomatico in cui il paziente continua a percepire la presenza del proprio arto amputato; la città fantasma, abbandonata, vuota ma intatta, una città che è il fantasma di se stessa; il governo fantasma, come i fascisti chiamavano i governi democratici in esilio durante l’occupazione tedesca; le parole fantasma che stanno lì incluse nei dizionari senza che nessuno le abbia mai realmente pronunciate; lo scrittore fantasma, che continuiamo ad usare col termine inglese di ghost writer, a meno che non facciamo riferimento a Michele Mari e al suo Ritratto dell’artista da spettro in Fantasmagonia; il vascello fantasma, mito eterno del folklore marinaresco, dalle sfattonate di Coleridge nella Ballata del vecchio marinaio alla faccia tentacolata di Davy Jones in Pirati dei Caraibi, dal titanico Olandese volante di Wagner al silenzioso Gallese volante della Maledizione di Monkey Island; il fantasma (blocchetto di legno della dimensione di un libro) che nelle biblioteche tiene il posto dei libri rimossi, in prestito, per qualche motivo temporaneamente assenti; e poi circuiti fantasma, cerchi fantasma, segnali fantasma, il fantasma formaggino, le radio fantasma.

Ognuna di queste accezioni sarebbe potuta diventare un articolo nel numero di Stanca dedicato al fantasma, che inizia proprio con questo editoriale e durerà per le prossime quattro settimane: articoli fantasma dunque, mancati, abortiti, inviati e persi, pensati e poi dimenticati; ciò che rimane sono gli articoli che usciranno nelle prossime settimane, gli unici che qualcuno è riuscito a trascinare nella realtà e incatenare alla pagina, miracolosamente fuori dalla contingenza del possibile, dell’ancora indeterminato. Troverete in questo numero di Stanca sul Fantasma::

Fabio Ciancone fa un’analisi della lingua usata dai media italiani per parlare di forze politiche radicali, di destra e di sinistra; lo spettro che si aggirava per l’Europa sembra aver cambiato segno e le uniche forze anti sistema odierne sono dirette discendenti del fascismo;

Franco Cimei nel suo racconto Mia nonna e la stratocaster descrive la nostalgia di tornare a casa, nel vecchio paese in Abruzzo, dove “Il frigorifero spento ha gli sportelli aperti” e sono rimaste tutte “le chitarre silenziose in attesa”, appese nella stanza più buia della casa insieme a qualcosa che aspetta il suo ritorno;

Silvia Contini coglie l’occasione di un tweet di Salvini con la sua solita propaganda (“ci stanno riempiendo di clandestini”) per scavare nelle ambiguità tra Fascismo e buonsenso attraverso il percorso di musealizzazione che ha subito il Futurismo dal dopoguerra ad oggi;

Giovanni Padua in Fantasmi materici – Bataille e Lars Von Trier contro l’architettura confronta il film The House That Jack Built di Lars Von Trier con il pensiero di Georges Bataille e Alberto Speer per analizzare come gli edifici sono spesso diventati simboli di spettrale immortalità, espressioni nostalgiche del potere e della sua ideologia, sebbene la materia di cui sono fatti continui a dissolversi e generare rovine;

Maria Giardina racconta di una donna che riflette da sola di notte nella sua casa e finisce nel bel mezzo di un mistero metafisico, appaiono degli strani bagliori ectoplasmici che sembrano provenire dalla doccia, e poi sanitari mutanti, meraviglie linguistiche, viaggi nel tempo;

Livia Mastrodonato in La stanza di Prisca insegue allucinazioni o premozioni nell’orario ambiguo che separa il sogno dalla veglia; sotto al letto si nascondono i mostri mentre i veri fantasmi stanno in mostra sulle nostre pareti;

Federica Ranocchia dialoga con Francesco Marino, autore e digital strategist, sulle modifiche che i social hanno portato nella nostra vita quotidiana, nella politica e nell’etica comune; lo spettro irrisolto tra le nostre azioni nel mondo digitale e il loro corrispettivo reale all’esterno, le conseguenze sulla nostra salute e sulla persistenza della possibilità di una “scelta” nel futuro;

Virginia Maciel da Rocha in Oltre il visibile analizza l’ultimo film di David Robert Mitchell Under the Silver Lake (2018) in cui il passato sembra infestare il presente del protagonista in una Los Angeles rizomatica; se continuiamo a vivere in un passato che è una menzogna, è logicamente necessario che non esista un futuro;

Vittoria Brachi scrive del Manifesto della melanconia, dello scienziato D. R. Finkelstein, che analizza la presenza di fantasmi subliminali all’interno delle incisioni di Durer come forma di autocensura durante la riforma; gli stessi fantasmi oggi sembrano abitare i nostri social;

Questo poteva essere un editoriale fantasma perché l’ho scritto ad agosto senza nessuna voglia di farlo, con una temperatura che ostruiva ogni tipo di pensiero che non fosse puramente procedurale e in cui anche il più denso degli ectoplasmi sarebbe evaporato più in fretta della schiuma di uno schiumaparty a Gallipoli. Quando mi sono proposto per scriverlo ho sentito una forza che alzava il mio braccio e qualcosa ha mosso la mia bocca per pronunciare le parole: lo faccio io.

In tutta la vita, al contrario degli esseri viventi, il fantasma, è l’unico che gode dell’assoluta libertà della sua inesistenza, perché anche se evocato risulta indisponibile, inconcludente, spesso contraddittorio. Il fantasma è libero: questo è spaventoso.

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