Amen

Amen
Félicien Rops, Pornokratès (1878)
[Tempo di lettura: 5 pignalenti]

I funerali mi fanno venire voglia di scopare, tutte le volte. 

Tutto quel dolore, quello struggimento, le lacrime, le nenie, i fiori didascalici, le persone che si rincontrano dopo anni e si dicono “è un peccato, dovremmo vederci anche in altre occasioni” e poi non rivedi fino al prossimo funerale. Ormai la gente ha smesso di vestirsi di nero e si sentono tutti legittimati a conciarsi in modi orribili: cappelli bordati di fiori in stile elisabettiano, abiti lunghi da debutto in società o bermuda pessimi indossati da uomini che non riescono a piangere ma solo a corrugare le rughe sulla fronte in smorfie orrende. Io non piango mai, nemmeno quando effettivamente vorrei piangere o sfogarmi in qualche modo. 

Al funerale di mia zia ho vomitato tutto il tempo perché la sera prima avevo bevuto cinque gin tonic a stomaco vuoto e dormito tre ore sul divanoletto di un’amica dell’università. La mattina dopo era venuto a prendermi mio padre in macchina e avevamo macinato insieme centoventi chilometri con due fermate per vomitare in bagno. Mio padre non faceva domande, ma so che dentro di sé pensava che quella morte improvvisa mi aveva scossa talmente tanto da vomitare in continuazione, non poteva pensare che era tutta colpa di San Lorenzo e degli studenti di lettere e filosofia. E soprattutto della voglia che avevo la sera prima di scopare con Matteo ma, avendo esagerato con l’alcool, ero finita per terra invece che nel suo letto o sul suo pavimento o nel bagno del locale. 

A questo funerale, invece, sono sobrissima e molto più addolorata, ma non mi esce una lacrima. Vedo la gente con la coda dell’occhio chiedersi perché non sto piangendo, bisbigliano, pensano che sono una strega, un’aggrovigliata creatura indolente. A me viene da ridere ma mi trattengo, anche se ogni tanto sono costretta a mettermi la mano davanti alla bocca per decenza e il parroco mi fissa perché sono in prima fila. Io non lo guardo perché non mi fa arrapare. Invece guardo Luca, che è in terza fila e ha una giacca un po’ dismessa da professore di storia che ama tantissimo i suoi studenti e ha un passato in politica, m’immagino come potrebbe essere sbottonargli i pantaloni di velluto nel confessionale. Vorrei avvicinarmi piano e sussurragli all’orecchio che ho voglia di prenderlo un po’ in bocca, lui ci starebbe perché lo vedo guardarmi le tette piccole e volerle sfiorare, toccare, leccare. Quando sono ai funerali mi sento come quando ero in quarta ginnasio: non penso a nient’altro che al sesso, ma se prima erano gli ormoni, adesso è una strana reazione a questo peso che sento in mezzo al petto. La mia psicologa dice che è una sorta di reazione allergica al dolore, ma invece che grattarmi la pelle, finisco per sentire un calore sempre più forte in mezzo alle mie gambe fini. 

Non riesco a non vedere nella mia testa Luca che mi prende da dietro e io che gli dico che voglio rimanere vestita, ma voglio che mi tocchi, mi slacci i pantaloni e senta come sono accogliente e bagnata nelle mie mutandine di seta rosa. Vorrei sentire il suo cazzo che si strofina contro il mio culo, toccarglielo e poi abbassarmi e prenderlo in bocca. Guarderei le sue toppe rammendate sulla giacca un po’ demodé, comprata probabilmente in qualche mercatino del centro, per poi essere lavata in lavatrice, nella sua casa di proprietà a Monteverde vecchio. Non ha nessuno che fa le pulizie perché non gli piace essere il padrone di qualcuno, ma non ha neanche mai imparato come trattare i capi delicati. Mi sfiora i capelli, ansima, io gli tocco le palle e poi mi inizio a toccare, prima sopra le mutandine e poi sotto. Lui inizia a sudare, lo vedo perché tenta di levarsi la giacca ma non ci riesce. Poi mi alzo e mi metto a novanta gradi, mi piace di più quando mi penetrano da dietro. Mi piace sentire che è duro e mi arriva quasi in pancia, mi piace sentire la mia vagina stringerlo dentro, stretta. 

Parte una preghiera, siamo tutti in silenzio, mio fratello piange, è incontenibile, mia sorella non mi guarda in faccia, mentre io mi sento le mutande bagnate e mi sembra che Luca mi guardi il culo. 

Il parroco dice che il signore è la nostra salvezza e io penso che l’unica salvezza adesso è uscire da qui e scoparmi Luca in macchina perché c’è già la fila per la confessione. 

Il prete finalmente ci libera e io sgattaiolo via, tra la folla che si muove mi avvicino a lui e gli sussurro all’orecchio che sono bagnata. Lui fa finta di non sentirmi, mi fissa un attimo negli occhi e poi torna a guardarmi il culo, sembra che debba prendere delle misure. Tiro fuori dalla borsa un pacchetto di sigarette e me ne accendo una, arriva Giovanni che mi mette un braccio intorno alle spalle e mi chiede come mi sento, io penso arrapata, non lo dico ad alta voce, lui se ne va. Vedo Luca andare via nella folla e me lo immagino tornare a casa a pensare che sono un po’ troppo umorale per lui, che è meglio scopare con Ginevra nel suo lettone con sopra il poster di un film di Tarkovskij che ha visto dieci volte. Forse il mio vero kink è la casa di proprietà. 

Me ne vado a casa di corsa, un po’ annoiata, un po’ addolorata, ho voglia di masturbarmi. In camera da letto prendo il mio vibratore fucsia, lo tengo tra le mani, lo lecco, poi inizio a farmelo vibrare sul clitoride e l’altra parte inizio a farla entrare dentro. Faccio dei movimenti in avanti e indietro, a volte modifico un po’ il ritmo della vibrazione, mi sento sempre più accaldata e ripenso a Matteo e all’ultima volta che abbiamo scopato. Quella volta non era a San Lorenzo ma ad una festa di amici, avevamo bevuto un po’ di tequila e ci eravamo chiusi in bagno a provare la lavatrice nuova, me l’aveva leccata a fondo, lui si masturbava e veniva tutte le volte che venivo io. Una volta l’abbiamo anche fatto al parco della Caffarella, eravamo sbronzissimi e probabilmente qualcuno ci ha anche visti, considerando che voglio sempre farmi scopare a novanta. Mentre penso al cazzo di Matteo, vengo e il mio corpo si rilassa. Prendo qualche secondo di sollievo e poi continuo perché mi piace troppo avere due orgasmi, uno di seguito all’altro.

Da quando ho sbloccato l’orgasmo multiplo, non riesco più a tornare indietro. In genere mi ci vuole molto poco ad ottenere il secondo ed è sempre più potente del primo. Clicco il tastino del vibratore per aumentare ancora di più il ritmo, mentre alcune lacrime iniziano a rigarmi il viso, non riesco ad avere nessun controllo del mio corpo, è come se fosse sezionato e distaccato da me. I miei occhi parlano una lingua che la mia vagina non capisce, oppure è la stessa e sono io a non capire niente. Un momento prima di venire, sento una scarica fortissima di piacere che mi fa rilassare i muscoli e le mucose. Gli occhi sono impastati di lacrime, ma mi sento sollevata. Vengo. Lascio il vibratore accanto a me e chiudo gli occhi. Amen.

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