Il gioco della bottiglia

Il gioco della bottiglia
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Andava bene con chiunque la prima volta. Bastava fosse abbastanza attraente per me. Non avevo mai avuto in testa tutte quelle storie sulla prima volta con il sentimento, che circolavano soprattutto fra le ragazze degli ambienti vicini al mio. O della prima volta con il primo fidanzatino, sbadata ma delicata. L’idillio di baita alla Dawson’s Creek, dove Joey non è poi così contenta e dice che è stato ‘ok’. Per far capire ai Pacey di questo mondo, gentili e sensibili al punto giusto ma con le loro congenite sbadatezze cromosomiche, che è solo ok, che non basta la loro affinità erettiva a renderci soddisfatte, ci volevano strumenti altrettanto delicati e cauti. La mitologia andava smontata lentamente, cercando di inserire pezzi nuovi a un puzzle già completo.

Ma io non avevo alcuna voglia di inserirmi in questa mitologia. Non consideravo nemmeno l’idea di esser guardata male, giudicata. Il fine superava di gran lunga la cronologia di manierate strategie per non far pensare che la stavi dando così al vento, svendendo la tua preziosa ortaggesca amica. Io avevo fretta di estropear la flor. 

Le mie pupille si dilatavano perdendosi in fantasie improvvise, specialmente a lezione, e mi rodevo per aver rinunciato alla proposta di Giorgio, che per perbenismo avevo valutato sconcia, di diventare scopamici. Era uno statuto privilegiato molto in voga intorno al 2010, amici con benefici. Avevo fatto un sogno, che aveva suggestionato la mia mente ancora immersa nella superstitio sessuale. Amo moltissimo le etimologie perché sono veramente una cosa vera e reale, sono quello che sono e basta. Questo pensiero letteralmente stava sopra il mio desiderio e lo schiacciava, o meglio, lo sbavava. 

Avevo sognato che Giorgio e io ci spogliavamo sul letto matrimoniale dei suoi, pensiero che mi conturbava sempre un po’ per la mia connaturata idea di purezza dei luoghi, e mi faceva paura l’idea di essere un replicante delle passioni o non-passioni dei suoi, che magari si sarebbero metamorficamente trasferite sulle nostre o sulle non-nostre. Insomma lui poi si stendeva nella sua moderata lunghezza – altezza – e baciandomi mi sbavava tutta la bocca.

Questo mi riportava a un non tanto rimosso ricordo d’infanzia, quando propongo di giocare, o anzi avvallo la proposta, e poi tutti si tirano indietro, ma io non ho paura, però il fratello della mia compagnetta di pallavolo mi sbava in un aborto di bacio stampo, poi va dalla mamma a lamentarsi che l’avevo costretto a questo prematuro incontro di corpi, e a me rimane solo una magra sbavatura che mi fa ripugnare per anni i baci non dati a regola d’arte e mi espone alla gogna pubblica dei parenti dell’amica, che mi guardano tutta la sera con disappunto, e anacronisticamente mi sento come la protagonista di Shiva Baby, solo che non posso nemmeno bere per porre rimedio.

Sono coricata a letto e guardo il telefono a pancia in giù, sento che quell’elemento del mio corpo così sensibile e simile alla punta del pisello – le etimologie dei nomignoli che diamo alle parti del corpo sono finte, non sono né vere né reali, operano sulla legge linguistica del tabù (sostituisci quello che ti fa paura, non nominare l’orso) e rimandano a mondi completamente sfasati, per far slittare a vuoto il nostro pensiero sull’oggetto del desiderio, sulla voglia di nominare qualcosa.

Prick, dick 

Cazzo 

Cock

Minchia –

allora scrivo a Giorgio, gli mando un messaggio con dei puntini, controcanto dei suoi con quelle faccine che, no comment. Lui vuole il suo, ma io mi prenderò il mio. Materialismo contro teodicea, carne contro pensiero, “no ma unisci le due cose, aspetta fino al matrimonio, falla durare”, sfinisciti di voglia, super stai alla tua voglia con fronzoli e pizze, discorsi sul futuro che poi due anni dopo scopri di essere qualcun’altra, un’altra persona, diversa, di non volere niente di quello che pensavi di volere e allora sono cazzi amari. 

Finalmente lo vedo, il suo cazzo, che non assomiglia per niente a uno di quei piselli schiacciati dentro a un baccello; siamo sul suo letto, perché ho dato alla mia idea di purezza dei luoghi il beneficio del veto – forse è qualcosa di più della superstizione? – è pieno di fronzoli, ma sono venature e inclinazioni reali, vere come il fatto che sto facendo sesso, e sono una cosmonauta, in questo nuovo mondo.

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