Il kink dei rapporti di potere

Il kink dei rapporti di potere
Particolari delle opere Prelude of creation e Imagine Origin di Fía Yang, Genesis Series (2023)
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Tra le varie cose di cui siamo tutte un po’ stanche penso che si possa nominare senza sbagliare il sesso. Ma non che siamo stanche di provare piacere attraverso l’atto di fare sesso: siamo stanche invece della sua rappresentazione tipica e del modo in cui impariamo a farlo quando siamo giovani. 

Per molte lettrici non starò dicendo nulla di nuovo: il  piacere femminile e la sua rappresentazione nella filmografia tradizionale, che include anche il porno mainstream, sappiamo bene come sia distorto e orientato tutto al soddisfacimento dell’uomo. Fare sesso, soprattutto da giovani, significa ricalcare le dinamiche dei porno; per una donna questo significa performare, mantenere una parte del cervello in posizione di controllo, senza ricavare particolare soddisfazione. Crescendo, esplorando, ad un certo punto le ragazze, le donne, possono accorgersi che lo sguardo della telecamera non riproduce il loro desiderio: quello che si posa sui corpi femminili è lo sguardo maschile. Il soggetto del sesso non sono loro; il senso di straniamento e di sfruttamento di un corpo che non è il loro ma è come il loro le porta ad assumere un certo distacco dalla pornografia. Questo processo accade, a maggior ragione, a quelle persone che non si identificano nel tradizionale binarismo di genere, e quindi spinte ad ampliare la loro concezione di sessualità. Comincia a svilupparsi uno sguardo sospettoso, critico, si cominciano  a prendere le distanze da questa narrativa delle parti. 

Nel saggio Uno sguardo oppositivo: la spettatrice nera contenuto nella raccolta Elogio del margine (Tamu, 2020), la scrittrice femminista afroamericana bell hooks racconta come la mancanza di rappresentazione della donna nera come soggetto nei film holliwoodiani porti ad una autoesclusione “dal piacere di guardare”. La tradizionale associazione attivo=maschile contrapposto a passivo=femminile fa sì che molte donne si allontanino dai contesti dove viene rappresentata in maniera stereotipata questa divisione dei ruoli, a partire dal cinema holliwoodiano. Identificarsi in essi infatti significa, secondo bell hooks, essere tragicamente  “ridotte all’impotenza”. 

Nel porno questa dicotomia attivo-maschile contrapposto a passivo-femminile viene portata all’estremo e ogni forma di trasgressione a questa norma viene concessa solo se riconosciuta nella sua devianza: classificandole come fetish, sempre e solo dal punto di vista dell’uomo, o male gaze, che si serve della abnormalità o anomalia altrui come oggetto per la propria morbosa soddisfazione. Chi invece mette in discussione la propria sessualità, ad esempio prendendo le distanze dalla consuetudine dell’eterosessualità, si trova sottorappresentato nel porno, la cui facciata di normatività universale della vita sessuale cade fragorosamente. La riscoperta passa ora per la relazione tra persone e non attraverso scene mostrate su uno schermo.

La cosa che fa più rumore di tutte, quando si infrange, è la giustificazione evoluzionista che viene data al rapporto sessuale, che vede l’uomo in posizione dominante e la donna in posizione sottomessa. Quello che viene rappresentato, in realtà, sono le relazioni di potere che permeano la nostra società, cioè il cuore pulsante del patriarcato. Il porno è uno strumento educativo che insegna ai maschi a esigere di essere in posizione di dominio e alle femmine di essere passive e dominate. 

La prospettiva di bell hooks contrappone la donna nera alla donna bianca del femminismo della seconda ondata. Se il femminismo bianco ha tra i suoi obiettivi quello di rendere le donne emancipate attraverso l’ingresso nel mondo del lavoro, cosa possiamo dire delle donne nere che invece già lavorano, ma di certo non si trovano in una posizione migliore? Le parole dell’autrice raccontano che in un contesto “segnato dallo sfruttamento di classe e dal dominio razzista e sessista”, chi è capace di sviluppare uno sguardo oppositivo attraverso “la resistenza, la lotta, le letture e un’osservazione controcorrente” ha allora modo di cominciare un percorso di decostruzione della propria spettatorialità.

Lo sguardo della spettatrice non si limita ai film del cinema ma anche, naturalmente, alla pornografia. Proprio per questo motivo, stanno nascendo sempre più alternative alla pornografia mainstream, specializzate nella rappresentazione di corpi queer e di desideri che verrebbero considerati non convenzionali. 

Pink Lemonade (regia di Mahx Capacity, AORTA productions, 2020) è un film di circa 20 minuti presentato all’edizione 2021 del festival internazionale di cortometraggi Ce l’ho corto, con sede a Bologna, nella sezione dedicata alla pornografia curata da InsidePorn. La pellicola propone una scena di service: Scarlette, in veste di cameriera, sta servendo una limonata appena spremuta alla Daddy Daemonum X. Tuttavia, nel bicchiere ci sono un po’ troppi cubetti di ghiaccio rispetto a quelli che Daddy vuole solitamente e Scarlette riceve una sculacciata come sgridata, per poi mettersi ai fornelli. Nel farlo è un po’ troppo rumorosa e la padrona di casa non riesce a rimanere concentrata sulle pagine che sta leggendo. Un rimprovero non basta, Daddy si sta arrabbiando. Scarlette, che si era ostinata nel frusciare nel modo più molesto possibile gli involucri degli ingredienti, finalmente riceve la punizione: viene portata in camera, svestita del grembiule e rivestita da bambolina con un abitino in chiffon rosa e una parrucca con frangetta dello stesso colore. Viene legata con nodi shibari fatti ad arte ed ancorata alla testiera del letto grazie ad una ruvida corda in juta. Alcune zone particolarmente sensibili del suo corpo vengono disinfettate e poi trafitte da parte a parte con gli aghi ipodermici dal bordo rosa – che indica uno spessore di 1,2 mm. Daddy, con indosso dei guanti di vinile rosa, apre la confezione di una lama di bisturi, la fissa sul manico e incide la parola “doll”, che subito luccica di rosso, sulla coscia di Scarlette. Con una vecchia polaroid scatta una istantanea in bianco e nero della sua bambolina, soddisfatta della sua opera di rieducazione, quindi procede a liberare la cameriera dalle costrizioni. 

Daemonum X, una leatherdyke di  New York, ha adottato la sua sessualità come stile di vita. Uno dei suoi interessi kink è legato alle religiose: l’erotismo delle suore chiuse in convento, la corporeità di molti tormenti inflitti ed autoinflitti per espiare i peccati. Durante la pandemia Daemonum X ha comprato una vecchia chiesa di fine Ottocento in una località dispersa nella enorme campagna di un qualche Stato confinante e la sta ristrutturando per farne la sua casa delle vacanze nonché ambientazione perfetta per i suoi giochi. Nell’esperienza leatherdyke infatti è centrale rendere la propria vita sessuale uno dei cardini della quotidianità.

Questa sottocultura prende le mosse dalle comunità leather omosessuali maschili che nascono negli Stati Uniti negli anni ‘40, quando rientrano i giovani uomini che erano stati arruolati nell’esercito durante la Seconda guerra mondiale. La combinazione tra ritrovate presenze maschili che hanno appena vissuto il cameratismo dell’esperienza bellica e mezzi di trasporto residui dalla guerra – motociclette in particolare – porta ad una fioritura di club di biker. Essendo ambienti in cui le donne sono quasi totalmente assenti, si tratta quindi di una copertura perfetta per i gruppi di omosessuali che vogliono creare una comunità senza attirare attenzione, che avrebbe altrimenti portato alla loro marginalizzazione sociale. Il problema: in quel periodo l’omosessualità e il sesso S/M sono considerati illegali e i praticanti devono trovare un modo sicuro per identificarsi tra loro. La polizia infatti è autorizzata ad organizzare dei raid per identificare e arrestare, non senza l’uso di violenza, chi è ritenuto colpevole. 

Le comunità leatherdyke prendono le mosse da questo terreno con la differenza che le partecipanti sono donne lesbiche cis e trans. Verso la fine degli anni ’70 emergono i primi club motociclistici composti da donne. Nel 1976 il gruppo – ancora informale – Dykes on Bikes apre il corteo della San Francisco Gay Freedom Parade. Sempre a San Francisco, due anni più tardi, si forma quello che viene ritenuto essere il primo gruppo lesbico S/M, chiamato Samois. Il documentario Bloodsisters (regia di Michelle Handelman, 1995) contiene diverse interviste a donne lesbiche cis e trans che hanno preso parte al movimento in quegli anni. A partire dalle giacche in cuoio, questo materiale diventa un simbolo di identificazione, proprio perché è il materiale con cui vengono costruiti non solo indumenti ma anche strumenti di tortura e accessori. La parola leather finisce per indicare non solo una pratica ma una comunità intraprendente sui fronti dell’attivismo, del mutuo aiuto e dell’educazione, come testimonia Michelle Handelman stessa in una intervista: con il suo documentario ha voluto creare non solo un documento storico ma uno strumento di insegnamento per accrescere la sensibilità verso questa particolare sottocultura. 

Daemonum X a sua volta si è dedicata a questo compito: negli anni ha pubblicato diverse riflessioni sul suo percorso e sui suoi studi sulla cultura leatherdyke nella newsletter Dead but delicious su Substack. Una raccolta di pensieri, elaborazioni e fonti che hanno come punto di partenza solitamente aneddoti della sua vita privata. Uno dei suoi obiettivi è stato l’esplorazione della fantasia sessuale e del gioco di ruolo, che trova così tanta difficoltà nell’essere accettato e ammesso come pratica sessuale normale. Daemonum X si preoccupa innanzitutto di chiarire una cosa: le fantasie sessuali, soprattutto quelle più perverse, non rappresentano necessariamente i nostri desideri più profondi o un qualche tipo di verità nascosta. La maggior parte delle volte, invece, si tratta di un semplice gioco, che ricalca il modello dei bambini quando dicono “facciamo finta che”, solo che invece di riguardare scenari innocenti ha a che fare con strane fantasie erotiche, ad esempio “facciamo finta che tu sei un alieno con i tentacoli e io la tua vittima che è stata rapita per degli esperimenti di riproduzione tra umani e alieni”. Troppo specifica? Forse non avete mai aperto la sezione hentai di un qualsiasi sito porno. E questo non vuol dire che chi gioca a questo gioco speri davvero di avere un rapporto intimo con un essere tentacolato. 

Questo tipo di gioco di fantasia ha  una sua funzione molto particolare: si tratta di una “tecnologia di genere radicale” che consente di uscire dal binarismo imposto/riconosciuto dalla società – nonostante le aperture più recenti alla fluidità – e di creare e immaginare nuovi generi, dai più vanilla ai più perversi. Daemonum X racconta quindi che le “play parties” sono luoghi sociali di rinnovamento radicale di sé e di creazione di possibilità di espressione che sono normalmente iper-limitate. Il confine del gioco è il dispositivo attraverso il quale si entra e si esce da questo mondo, un portale verso una realtà che si sovrappone e si alterna permettendo alle partecipanti di creare momenti di vera sospensione del giudizio. Vera, perché non è più confinata all’esperienza della propria mente, perché esiste una comunità che crea questa pratica. 

Il BDSM a sua volta è un laboratorio di rapporti di potere. L’aspetto mentale di questa pratica assume un ruolo centrale soprattutto nell’aspetto D/s, tanto che le pratiche sessuali tradizionali possono diventare tanto marginali da essere totalmente assenti. Nella relazione kink di dominazione e sottomissione si sperimenta con il potere. Quanto potere una persona è disposta a cedere? Quanto potere l’altra è disposta a prendere? Suonerà strano, ma si racconta spesso che è difficile trovare una persona disposta a prendere il potere e a gestirlo bene. Sembra controintuitivo nella nostra società, dove le vite umane sembrano dover essere tese a massimizzare il proprio potere, sia esso economico, relazionale o quant’altro. Forse invece il fatto che sia più facile incontrare una persona disposta a sottomettersi che una che desidera dominare potrebbe farci pensare che alla fine l’esistenzialismo ha colto in pieno una fragilità dell’essere umano: non poter più cedere la responsabilità delle nostre vite a una entità superiore è un accollo enorme e molti di noi ne farebbero a meno, per quanto liberatoria possa essere questa nozione. E quindi si potrebbe dire che molte persone cercano un rifugio da questo dovere di prendersi cura della propria vita cercando un essere umano a cui affidarla, per un periodo di tempo dalla lunghezza variabile. In realtà, un vero rapporto di sottomissione e dominazione deve essere scelto consapevolmente dai partecipanti alla relazione ed è fondamentale che vengano negoziati i limiti del contratto tra le parti, tra cui l’estensione del potere ceduto e la durata della cosa. Esistono dinamiche D/s che finiscono quando la sessione di gioco arriva al termine, oppure diventa un vero e proprio stile di vita. 

Se guardiamo bene intorno a noi, nella vita di tutti i giorni, è pieno di relazioni D/s: in primis sul posto di lavoro, conciliate dalle gerarchie dei ruoli, ma non solo. La vera differenza è che questi ruoli non sono stati scelti consapevolmente e molto spesso, anche se ce ne rendiamo conto, non possiamo immediatamente uscire dalla rete di relazioni in cui siamo situati. La società che la femminista bell hooks ci racconta attraverso il suo sguardo intersezionale è una società attraversata da relazioni in cui vi sono disparità che provengono da condizioni esterne al singolo individuo: non possiamo scegliere in quale corpo nasceremo, se sarà bianco, nero, uomo, donna; non possiamo scegliere la nostra familgia di origine e il luogo in cui verremo al mondo; l’orientamento sessuale e l’espressione di genere giocheranno un ruolo importante nella vita adulta nel determinare quali privilegi saranno concessi o rimossi. In base a ognuna di queste variabili saremo sottoposte relazioni di potere che variano in intensità, in entità. Essere donne nere working class significa essere al gradino più basso di questa gerarchia. Uomini neri omosessuali non potranno trovare rifugio nel privilegio della mascolinità cis. Le donne bianche potranno accorgersi di avere il privilegio del colore della pelle, e se appartengono alla classe media avranno anche il privilegio economico della loro classe sociale. 

La fantasia D/s permette invece di sovrascrivere tutte queste dinamiche ribaltando la concezione di potere non come dispositivo di sofferenza ma di piacere – anche attraverso il dolore fisico delle corde di juta legate attorno ai polsi, agli aghi che attraversano la pelle, alla lama del bisturi che incide il ruolo della sottomessa sulla sua pelle affinché non se lo scordi. Nella sottomissione il dolore psicologico della umiliazione, che forse precede e ingloba il dolore fisico della tortura, può diventare strumento di affermazione di sé, di trascendenza esistenzialista: la scelta, la volontarietà e spontaneità presenti alla base dei rapporti D/s possono recuperare e riparare la loro assenza che risulta in una frustrazione dolorosa nella cosiddetta socialità normale. 

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