La ragazza del porno: intervista a Monica Stambrini

La ragazza del porno: intervista a Monica Stambrini
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Nel panorama del porno contemporaneo è facile una dispersione di sguardo, ci sono tantissimi contenuti fruibili, più o meno mainstream, mentre molto spesso manca un’educazione sessuale ed emozionale adeguata per approcciarsi alle sue stesse immagini. In questa equazione molto spesso è il sesso che diventa educativo, perché è l’unico mezzo che abbiamo per scoprire come funziona il desiderio e in quante modalità diverse si può mostare.

Un altro dato importante è che il porno conserva ancora, nonostante le sperimentazioni sempre più presenti, uno sguardo prettamente maschile: è l’uomo che deve essere soddisfatto, la donna è relegata a oggetto dello sguardo invece che soggetto desiderante. In questo contesto generale il lavoro di Monica Stambrini, regista interessata al mondo del desiderio e ai film espliciti, ci racconta come nasce il suo sguardo cinematografico e il suo rapporto con il mondo del porno.  

Quando ti sei approcciata al mondo cinematografico? e poi come è avvenuto il passaggio dal cinema “ufficiale” al porno?

Finito il liceo mi sono iscritta a una scuola di cinema a Milano, ma ho iniziato a lavorare per la televisione e a fare documentari una volta arrivata a Roma. Dopo aver vinto un premio al Festival di Torino per un cortometraggio, un produttore mi chiamò perché voleva fare un film tratto dal romanzo di Elena Stancanelli, Benzina. Non mi pareva vero, fu un progetto che riuscii a realizzare dopo tre, quattro anni di delirio. Poi non ho più lavorato tanto, sono nati i miei figli, avevo voglia di stare con loro, e forse allora sono stata un po’ sciocca pensando che si potesse facilmente fare la mamma e contemporaneamente i film. Oggi penso che avrei dovuto darmi più da fare in quegli anni, lavorare e non prendermi tutto quel tempo da dedicare esclusivamente ai figli… ma magari ora cambierà per le donne, sarà più facile fare tutte e due le cose. 

Era quindi un momento un po’ di delusione, in cui non trovavo un produttore, non riuscivo a fare le cose che volevo fare, era il periodo Berlusconi, dove c’erano le Olgettine, e le donne soprattutto nella cultura cominciavano a ribellarsi a un certo modo di rappresentarle. Era un momento sicuramente affascinante perché le donne prendevano voce, ma avevo come l’impressione che la sessualità ne uscisse svilita, e percepivo una sorta di alternanza: mettere le Olgettine contro la donna intellettuale, come se fossero due modelli unici. Poi una mia amica giornalista recensì una regista svedese che aveva partecipato a una raccolta di film espliciti a cura di varie registe. Non si trattava ancora di porno, ma ho subito pensato che sarebbe stato fantastico fare un progetto simile in Italia. Così ho cominciato a chiedere a tutte le registe che conoscevo “tu faresti un film porno?”, e tutte, anche le più impensabili, mi dicevano “ma magari”. Così è nato il progetto Le ragazze del Porno, era il 2012-2013. Ci siamo messe insieme, abbiamo parlato moltissimo, abbiamo passato anni a pensarlo e a capire quanto esplicite volevamo essere, quante pornografiche, il famoso dilemma vietato ai 14, vietato ai 18. E poi c’era il problema dei finanziamenti. Erano tante le produzioni interessate, vedevano subito l’appeal di marketing o se non altro di comunicazione. Ma la difficoltà concreta era dove trovare i soldi. Il film esplicito non lo puoi vendere, non lo puoi pubblicizzare, ci sono una serie di regole e soprattutto nessuno si fa bello facendosi pubblicità con un porno, rischia di essere una pubblicità negativa. Quindi è stato molto complesso trovare i soldi per le vie classiche. Così abbiamo deciso di fare un crowdfunding in una galleria d’arte improvvisata (perché una di noi era un’ex gallerista e aveva ancora dei lavori) per un paio di giorni, sia a Roma che a Milano. Abbiamo fatto questa manifestazione che si chiamava Art for Porn, dove abbiamo chiesto a diversi artisti di donarci le loro opere, e con il ricavato abbiamo fatto cinquanta e cinquanta. Lì abbiamo tirato su parecchi soldi, e con quelli siamo riuscite a realizzare due cortometraggi. Dopo questo progetto ho fatto Queen Kong, e in quel periodo ci ha contattato direttamente Valentina Nappi, che avendo saputo del nostro progetto era curiosa di esplorare nuove strade creative. Inizialmente come protagonista per il mio film non mi sembrava la persona adatta, ma dopo poco ho capito che lo era. Valentina è una grande attrice. Per me iniziare a fare porno è stata un po’ una provocazione, ma il sesso mi ha comunque sempre interessata. Sono cresciuta vedendo Bergman, nel quale la sessualità è molto presente e esplicita. 

Qual è il tuo rapporto con il porno?

È vero che in primis il porno deve essere eccitante, ma ciò che eccita una persona non eccita l’altra, quindi non si può definire cosa è eccitante generalizzando. Esiste una persona sapiosessuale che si eccita vedendo un’attrice nuda che recita da dio e declama Wittgenstein, ma questo può non essere eccitante per tutti. È uno spazio in cui esiste una grande libertà. Per me il bello del porno è che può essere tutto. Per me dire porno è come dire letteratura; ci possono essere dentro una marea di varietà e generi. E soprattutto all’interno della società il porno è estremamente all’avanguardia su tutto, è incredibilmente avanti. Hanno inventato le IA, e il porno fu il primo ad usarle, hanno inventano il 3D, e il porno fu il primo a metterlo in pratica, hanno inventato la macchina fotografica e le prime foto che si trovavano erano di donne o uomini nudi, hanno inventato il cinema e per i primi filmini valeva la stessa cosa. È un mistero che mi affascina il perché l’umanità abbia bisogno di rappresentare e mettere in scena la sessualità. Io credo quindi che il porno possa essere qualsiasi cosa e che ci sia spazio per tutto. È interessante questo discorso anche rispetto alla disabilità. Sono moltissime le persone disabili che hanno il bisogno di riprendersi nudi e buttarsi su YouPorn, a volte è una questione di identità, di voler dire “Io esisto, Io ci sono, Io sono questa cosa qui”.

Che rapporto hai con la definizione di porno femminista? Usi questo termine per presentare il tuo lavoro di regista?

Io ho un grande imbarazzo verso l’uso della parola femminista. Ovviamente sono nata negli anni Settanta e ho vissuto tutta una serie di libertà grazie al femminismo, che per me è sacrosanto, però per molti versi è stato contro il porno. Dal momento che sono una donna, e faccio un porno, allora forse già di per sé diventa un porno femminista. Ecco, il fatto di dover rivendicare qualcosa con un film non mi convince. Queen Kong può essere letto benissimo come un porno femminista, però ad esempio Valentina Nappi viene vista spesso come un’antifemminista, ed è una delle donne più femministe che conosca, non tanto per le idee che ha ma per la vita che conduce. Che le femministe non riconoscano in Nappi una femminista mi porta a chiedermi io dove sto. Noi de Le Ragazze del Porno siamo state considerate porno femministe, il che mi pare ovvio visto che siamo donne che fanno porno, era già un’operazione femminista se vuoi. 

La pornografia, con tutto quello che porta: la sessualità, l’esternare il desiderio, il dire in quanto donna “il porno piace anche a me”, “anche io voglio essere una fruitrice e anche io voglio fare porno”, tutto questo si colloca all’interno di un discorso femminista. Ma è anche vero che in questo mondo, dal punto di vista lavorativo, e anche questa è una cosa che mi ha detto Valentina Nappi e mi ha sempre fatto molto pensare, le attrici porno vengono pagate di più rispetto agli attori, cosa che nel cinema “ufficiale” è completamente rovesciata. E già qui sorgono delle domande. Poi ad esempio di registe donne nel porno ce ne sono di più che nel cinema generale. Per quanto riguarda la rappresentazione della sessualità si è pensato a lungo che il porno fosse esclusivamente per uomini -perché a noi femmine ci hanno insegnato che non dobbiamo guardarlo, non dobbiamo assolutamente desiderare nulla- e per questo viene fatto spesso secondo un linguaggio legato a ciò che si pensa sia quello che piace agli uomini, fregandosene di quello che piace a noi perché non contemplate come fruitrici. 

Adesso le cose stanno cambiando, le spettatrici cominciano ad essere anche donne, e si sta iniziando a fare dei film che possano piacere anche a loro. Il punto è che questo genere di porno a me il più delle volte fa schifo. Diventa tutto una musichina soft, è tutto molto carino, dolce, e io penso che allora mi riconosco quasi più in un Rocco Siffredi. Quindi credo che anche li decidere per categorie cosa piace alle donne e cosa piace agli uomini sia sbagliato, e faccio fatica ad applicare categorie di genere a quello che ci piace guardare e a quello che desideriamo.

Quanto senti che il tuo immaginario sia stato condizionato dalla visione del porno mainstream? e quanto ti ha influenzato nella costruzione dei tuoi film?

Mi sono sempre interrogata su quanto la mia visione si fosse fondata su una realtà pornografica plasmata da uomini. Ho fruito a lungo materiale pornografico fatto per loro, quindi il mio immaginario sessuale si è creato inevitabilmente in questo modo. Però credo che a un certo punto bisogna avere a che fare con il proprio immaginario, e lì bisogna giocare. E credo anche che se smetti di fare quello e fai un film per fare un manifesto diventa un’altra cosa, e non è ciò che piace fare a me. 

Poi certi porno degli anni Settanta erano anche molto divertenti e creativi, ad esempio Gola profonda, che è la storia di una donna che non ha la clitoride e la cerca, per poi scoprire di averla in gola. Già un film che parla di clitoride e di una donna che è alla ricerca della propria clitoride è un messaggio femminista, che diventa anche surreale, ironico e pornografico.

Com’è fruire collettivamente un film porno? Che tipo di esperienza è per te in quanto regista e spettatrice?

Io credo che le esperienze per me da regista -e io non sono una regista di porno, ho fatto due film espliciti con un linguaggio pornografico- più emozionanti siano state proprio le proiezioni in pubblico, più di qualsiasi altro film. Oltre alla bellezza del film, c’è proprio l’emozione di vederlo in pubblico, e questa cosa gli toglie forse anche un po’ di erotismo, lo trasforma in una cosa facilmente ludica. Però in verità se tu entri nel film, ci entri e basta, e devo dire che è molto liberatorio, che tutto quel pudore cade in un attimo e si capisce che non c’è niente di male in quello che si sta vedendo. La trovo un’esperienza emozionante e costruttiva. Poi ovviamente se sei un minore, e la sessualità per te è un mistero, può essere un po’ uno shock. Sei abituato a vedere tutto il giorno gente che si spara, magari vedere gente che fa sesso è un po’ un trauma, ma c’è da chiedersi perché la violenza non sia uno shock e la sessualità invece si. 

Ti sembra che le donne abbiano una reazione specifica alla visione dei tuoi film? 

No. Forse sono più rassicurante perché non è il classico film porno, quindi possono avvicinarvisi con più giustifiche, sono più serene. Per tante donne può essere più rassicurante già il packaging, ci si accostano più volentieri, e poi soprattutto è rassicurante quando lo si proietta in pubblico, in un cinema, allora diventa un evento. Che siano uomini o donne non vedo molta differenza, quelle sono generalizzazioni difficili da fare. Il porno è per tutti ormai, tanto più se fatto fuori dal mainstream; ma anche il porno mainstream è per tutti, moltissime donne lo guardano e a tante piace anche Siffredi che sculaccia.

In che modo ti sembra sia cambiato il modo di approcciarsi alla sessualità oggi rispetto ad esempio a quando tu eri giovane?

Non lo so… io in quanto madre e Ragazza del Porno con i miei figli non parlo molto di questo, cioè ne parlerei ma non voglio troppo forzare la mano. Do abbastanza per scontato che loro sappiano che io ci sono per parlare e che non è un argomento tabù, anche se ovviamente un po’ lo è nei rapporti madre-figlio. Diciamo che io non ho proprio il polso della situazione. Però dal poco che capisco mi sembra che questo sia da un lato un momento molto più libero proprio per tutto il discorso gender, di fluidità, e forse c’è più libertà di essere. Quando ero giovane io, a Milano in un certo contesto, con un tipo di educazione che io avevo, la sessualità era molto raggiungibile e da ragazza mi sentivo molto libera. Poi soffrivo di amore, mi innamoravo, mi sentivo a volte usata, come succede in qualunque momento storico, però non mi sentivo meno libera in quanto donna. Insomma ero abbastanza scatenata, e mia madre era anche un po’ preoccupata… 

Oggi però ho come l’impressione che forse la sessualità sia caricata da più cose. Il rischio è che sia un po’ un inganno questa libertà del fluido, in cui comunque alla fine ti devi sempre definire. É come il queer che da un lato è come dire “Sono fuori dalle regole”, e poi scoprire che invece ci sono una marea di regole anche dentro al queer. Una mia amica mi raccontava che adesso in ogni film, nei porno e nei film generali con scene di sesso, è d’obbligo una nuova figura, l’intimacy coordinator, che è una figura che sembra di censura ma in verità dovrebbe essere una persona che aiuta la comunicazione, però fa un po’ ridere che ci debba essere una persona che monitora e che è obbligatoria, diventa tutto più controllato.

Ma in ogni epoca noi donne siamo state educate a credere che se fai sesso allora deve essere necessariamente una cosa importante, ci hanno insegnato a dare un valore al nostro sesso, se “la dai” deve essere a qualcuno per cui ne vale la pena. Il sesso per la società ha un valore che non è attribuito personalmente -perché è il tuo corpo e giustamente gli dai un valore, ma è quasi percepito come un valore di transazione. C’è un discorso che fece Valentina Nappi, per il quale fu ampiamente criticata, sul caso Weinstein. Diceva “se fosse cool essere Valentina Nappi, non esisterebbe il caso Weinstein”, cioè, continuare a usare il sesso come una merce di scambio, vuol dire dargli troppo valore; se le donne “la dessero a tutti” senza troppi problemi, non ci sarebbe più la questione-provocazione non molto apprezzata all’epoca. 

Ho chiesto poi qualche consiglio a Monica Stambrini su come reperire materiale pornografico interessante fuori dal mainstream -ma va bene anche dentro, e mi ha girato questa incredibile “Mappa Ragionata Del Porno On Demand”, elaborata da lei nel 2018 per NERO:  https://not.neroeditions.com/porno-on-demand-mappa/A conclusione dei suoi suggerimenti, che spaziano dalla categoria Amputee di PornHub, all’artista, sex worker, femminista, Annie Sprinkle, Monica Stambrini scrive: “Molto spesso c’è bisogno di disturbare per rivendicare dei diritti negati e per affermare la propria identità. Farlo con il porno è forse più facile, soprattutto per le donne che ancora non hanno una gran voce. Se non altro perché nel porno c’è molta più libertà espressiva che in tanta altra arte”.

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