Open mic di stand up comedy che non fanno ridere

Open mic di stand up comedy che non fanno ridere
Credit: Anastasia Gapeeva
[Tempo di lettura: 4 pignalenti]

Sono stanca di girare per open mic di stand up comedy che non fanno ridere.

Ho trascinato amici e amiche a vedere serate, sperando di farli appassionare al genere e spesso, non sempre, l’unica cosa che ha avuto risvolti comici è stata la nostra perseveranza: con uno stesso amico abbiamo cambiato locale tre volte in cerca di voci nuove, e tre volte abbiamo ritrovato la stessa persona che ci aveva fatto ridere fino alle lacrime, non per l’efficacia delle battute ma per l’imbarazzo provocato dalla sua performance. Era diventata una specie di cosa meta, dove ridevamo di lui e non per lui. 

Dato che la stand up è esplosa (anche se si trova ancora in quella posizione ibrida per cui riesci a condividere un inside joke su un comico che ti piace con una persona che hai appena conosciuto, ma se esci dalla bolla degli amici di amici con cui è probabile che tu condivida degli interessi, e scavalli l’intersezione con la bolla generazionale millennial – genZ, diventa cosa sconosciuta), è naturale che sia aumentato il numero di esordienti, con cui è cresciuto anche il numero di open mic, e con tanta gente nuova che sale sul palco ci sta che qualcuno toppi.

Pensiamo alla situazione: un locale con una cinquantina di persone, accalcate le une sulle altre, la prima fila dista dal palco qualcosa come 40 cm. Sale l’MC e parte l’applauso per scaldare la serata. Dato che nella stand up la quarta parete non esiste ci chiede come stiamo, prende di mira qualcuno e inizia con le domande. Ora, il prendere di mira vorrebbe dire semplicemente che rivolge delle domande a una persona a caso del pubblico, improvvisando delle battute, ma va a finire che poi lo prende di mira nel verso senso della parola, cioè lo offende dimenticandosi che doveva essere anche divertente, nella speranza che scatti comunque la risata. Con l’MC non è andata benissimo ma non prendiamoci male! Col beneficio del dubbio, possiamo avere ancora grandi aspettative per la serata. Comici e comiche si susseguono sul palco: il gruppo è vario, nati tra la metà degli ’80 e i primissimi ’00, più uomini che donne, spesso fuori sede. Gli argomenti più inflazionati sono il sesso, la droga, Tinder, a volte Dio e i preti. Non manca un monologhino sulle donne, gli immigrati, i disabili. Parlare di assorbenti dà l’idea di infrangere un bel tabù e come dimenticare tutte le battute sul duce.

Mi faccio delle domande sulle cose di cui sento parlare, e in realtà non penso che ci siano argomenti che di per sé non fanno ridere. Dipende da come ne parli, dal ritmo e dagli accenti che metti. Una ragazza racconta dei casi umani che si è trovata di fronte passando dalla chat dell’app di dating all’appuntamento reale: insiste tantissimo su quanta voglia aveva di scopare, solo di scopare, su come rifuggisse da qualsiasi intenzione di relazione seria. A quanto pare stiamo proprio assistendo a una spietata vendetta per secoli di rappresentazione castrata del desiderio femminile. Con un sacco di battute esplicite vuole proprio farci capire che non c’è nessun imbarazzo a parlare di questa cosa, deve essere chiaro: lei è una donna e vuole solo scopareeeeee.  

Il ragazzo che sale dopo fa un pezzo sull’alcol e mentre ne parla si autocompiace per quanto fa il matto quando è ubriaco. È veramente convinto che questa cosa lo faccia apparire ai nostri occhi un maschio trasgressivo e affascinante, ma soprattutto crede che 8 birre lo facciano diventare simpatico per osmosi, mentre finisce per ricordare i miei compagni di classe del liceo alle prese con le prime sbronze e le prime bestemmie. L’impressione è che si senta come con gli amici al bar più che davanti a un pubblico. Non ci sono paradossi, rovesciamenti, sospensioni, non c’è niente di quella magia che fa suonare estremamente naturale un racconto in realtà costruito ad arte.  

La serata è andata così e così ed esco con un po’ di disappunto, che però è direttamente proporzionale al gusto e all’appagamento dato da altri spettacoli belli e dagli esordienti brillanti. Più alcune esibizioni ti deludono più sei felice di vedere quelle che ti piacciono. 

Dopo un po’ di tempo e di tentativi ho capito come dedicarmi a spettacoli e serate: qualità (dello spettacolo) batte quantità (di comici). Open mic solo ogni tanto, magari una volta al mese, cercando di variare il più possibile locali e collettivi. Risparmiare sugli open mic e spendere di più sugli spettacoli: se il comico mi piace o se sono curiosa di conoscerlo, vedere un’ora di esibizione, uno spettacolo che ha un inizio e una fine con battute già provate fa la differenza. 

Ho anche scoperto che, quando scelgo gli spettacoli, andare da sola mi piace molto. Posso arrivare quasi all’ultimo minuto, salto i convenevoli con l’eventuale compagnia, mi prendo una birra ed entro subito in sala, così riesco a non berla tutta prima ancora che inizi lo spettacolo e non ne devo prendere 2 (altri 5 euro risparmiati). Vado dritta nella zona sotto il palco, tanto anche se è tardi sono da sola e riesco sempre a trovare un posto rimasto libero in prima o seconda fila, adattissimo a me e scartato dalle comitive di più persone che vogliono stare vicine. Da questa angolazione posso vedere bene le espressioni di chi si esibisce, seguo lo spettacolo senza la pressione di controllare se alla persona che avrei trascinato con me il monologo sta piacendo, metto il telefono in borsa e mi immergo completamente nell’universo parallelo in cui siamo solo spettatori e standupper, dentro la scatola chiusa del locale. Da quando sono stata a una serata che si chiama “Cheaper than therapy”, ogni volta che esco felice da uno spettacolo mi rendo conto di quanto sia azzeccato questo nome e mi godo un po’ la sensazione di piacere per aver riso tanto. Ripenso alle battute e, come mi capita spesso quando ammiro tanto qualcuno che sa fare bene una cosa, faccio fatica a capacitarmi: “quanto cazzo è bravo per aver costruito questa storia in modo così divertente”. 

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