The House

The House
The Keeper, Elisabetta Giardina
[Tempo di lettura: 5 pignalenti]

The House è un film di animazione del 2022, diretto da Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr, Paloma Baeza e scritto da Enda Walsh.

Il film è diviso in tre parti: nella prima compare una famiglia umana, persuasa da un losco figuro a lasciare la propria piccola casetta in luogo di una casa signorile e confortevole; nella seconda fa da protagonista un longilineo topo costruttore un po’ radical chic, sempre al telefono con auricolare dotato di cornetta come si usa ora, ossessionato dalla ristrutturazione di una casa in stile moderno; nella terza, infine, una gatta dal carattere controllante, che cerca di tenere in piedi una casa infestata da inquilini morosi e, sullo sfondo, un equoreo scenario apocalittico.

Ma cosa lega questa tripartizione metamorfica, una sfilata di animalia più o meno ributtanti, caratterizzata da personaggi così differenti e cronologicamente distanti? (Si potrebbe dire che la linea del tempo segua un ordine cronologico lineare perché le epoche avanzano in modo uniforme).

Fra le presenze animali che popolano l’animazione (topi, gatti, gatti-scarafaggi, umani), il fil rouge della narrazione è proprio la casa, sempre la stessa, che si ripropone con il medesimo aspetto nelle tre parti del film. Una casa che è per l’appunto metamorfica, post-umana perché al di là del decadimento naturale e apparentemente viva in quel perturbante modo in cui gli oggetti inanimati ci paiono a volte dotati di vita propria.  La casa di The House non soltanto è viva, è anche anarchica, animata da una sua personale sadica propensione a tormentare chiunque abiti in lei. 

Se le epoche si succedono in modo apparentemente lineare, tutt’altro che lineari sono invece le sequenze del film. In una sfilata di scene dai toni paradossali si susseguono genitori corrotti dal lusso e trasformati letteralmente e metaforicamente in poltrone, sadiche case-senzienti che operano modifiche strutturali perverse come un giocatore millennial di the Sims 2 che abbatte muri e porte per vedere i sims sbracciarsi e invocare nella loro strana non lingua “Jaaaa Jaaabaa”. Poi topi esauriti e topi malefici, perturbanti nella loro somiglianza con gli scarafaggi, questi ultimi protagonisti invece di una psichedelica, surreale scena di balli in coro; infine gatti antropomorfi immersi in scenari apocalittici di allagamenti che richiamano le profezie di The Great Derangement di Amitav Ghosh (dove si parla della tracotanza umana e del disastro ecologico che essa si sta autoinfliggendo). 

Ognuno dei protagonisti dell’animazione compie un percorso che sembra contrario, in termini di crescita spirituale, allo scorrere delle epoche storiche. Si realizza una sorta di chiasmo fra il concreto avanzare del tempo e l’evoluzione progressiva della coscienza dei personaggi.

La famiglia della prima sequenza, corrotta dal fascino del lusso e indotta ad abbandonare la propria umile casetta, incontra lo sfacelo completo, che si realizza nella morte concreta di alcuni dei personaggi coinvolti nel rogo finale. Nella seconda parte invece il topo va incontro a quello che si potrebbe forse definire in termini attuali un burn out, e nella terza infine, inaspettatamente e nonostante la desolazione del mondo esterno, avviene una sorta di rinascita interiore. La gatta protagonista di quest’ultima parte veleggerà verso l’orizzonte alla guida della Casa, anch’essa finalmente liberata e trasformata nella scena finale in un vascello, che ricorda alcune sequenze del castello errante di Howl. 

Anche i titoli di coda, accompagnati da una canzone di Gustavo Santaolalla e Jarvis Cocker, sembrano ricalcare molto coerentemente il leitmotiv dell’animazione: “una casa è una raccolta di mattoni…una precoce tomba…”, home è un luogo dove “può nascere amore” e “una house cos’è?”, un semplice luogo che ci incatena e ci fa sentire più soli.

 L’elemento che si ripresenta costantemente nella narrazione insieme a questa casa soprannaturale è la persistenza ossessiva. Ci sono forme di resistenza sparse lungo tutto il film, sia che esse provengano dalla casa, sia che esse provengano dai suoi abitanti. Ma spesso queste resistenze sono un proseguire in direzione ostinata e contraria e incontrano la doppia resistenza dell’elemento Casa, che testa le forze dei suoi abitanti in modo direttamente proporzionale alla loro cieca perseveranza (padre di famiglia corrotto dal lusso; topo workaholic). Forse è la terza parte del film che ci spinge a guardare meno dicotomicamente la questione della resistenza, fornendo una sorta di sintesi dialettica delle parti contrastanti: la gatta è schiava della propria casa ma al contempo riesce a salpare e mollare gli ormeggi proprio trasformando la casa da ancoraggio fisso, immutabile e controllato, che produce sentimenti controllanti, immutabili e stagnanti, a vascello di un movimento verso l’ignoto. Sul finale, forse grazie all’influsso inconscio di quello che è davvero un aiutante nel senso tradizionale fiabesco del termine, il gatto metallaro e coinquilino moroso, la gatta si dispera e prende il comando della casa, facendosi al contempo guidare da lei.

Mi sono posta molte domande su questa animazione. Una parte di me è portata a pensare che sia davvero un’opera degna di nota proprio in virtù di questo pensiero che ricorre ed è ritorto sull’opera, quello che qualche critico farebbe coincidere con la funzione poetica. L’ossessione dei personaggi verso la casa, sulla casa, dentro la casa con e nella casa spinge a tornare di nuovo sul messaggio casa, a cercare di decifrarne il codice criptato in modo ricorrente.

A questo punto, ci si potrebbe chiedere cosa sia una casa. Alcuni dei commenti online al film propongono un’analisi in chiave capitalistica: la casa quando smette di essere casa e diventa qualcosa oltre la casa. Quest’analisi non mi convince del tutto, perché mi viene da pensare alle domus e alle insulae romane, o alle case campidanesi signorili, e alle differenze nelle oikoi greche, e mi pare che la casa sia stata da sempre, con beneficio di ignoranza, simbolo di status quo socialmente determinabili. 

O forse in realtà sono letture molto attuali perché testimoniano la paura di abbandonare un luogo interno – le scene in esterni sono pochissime nel film – di lasciare andare qualcosa e ripartire lasciando gli ormeggi: una metafora per chi si ostina a perstare, rimanere saldi, immutabili. Questo mi fa venire in mente il titolo di una poesia di Vivienne Haigh-Wood, che è stata la prima moglie di T. S. Eliot e purtroppo è conosciuta soprattutto per questo (o per fortuna, altrimenti avremmo dimenticato forse tutti i suoi pensieri e scritti) e che in una poesia si chiede proprio se sia necessario, conveniente stare saldi, restare immutabili. Il titolo del componimento è Necesse est perstare? 

Mutatis mutandis (visto che siamo in tema latino) il titolo di Vivienne pone una domanda la cui risposta non è per niente facile. Ci sono casi in cui siamo totalmente in balia della casa, degli eventi, di agenti esterni; altri in cui ci dobbiamo arrendere ai segnali che infestano la nostra esistenza e infine alcuni in cui la risposta non è così netta, così ‘conseguente’. In questi casi, che sono un po’ come il terzo episodio di The House, e che rispecchiano molto bene la resistenza dei casi della vita a essere volti e ritorti a favore della nostra unità raziocinante che vuole far quadrare la nostra narrazione interiore, non ci sono interpretazioni univoche e simmetriche. Così come l’interpretazione dei sogni fatta da noi e fatta da una persona esterna a noi, alla giusta distanza, può risultare del tutto divergente, anche la risposta al quesito necesse est perstare? non è per niente fiabesca nella sua risoluzione. 

Come ci insegna la gatta controllante, a volte perstare non necesse, ma si può anche salpare e mollare gli ormeggi perstando

Forse ci si sarebbe potuti aspettare – o magari è solo una mia proiezione, una mia interpretazione – che la gatta uscisse dalla casa e affrontasse quel mondo allagato e ignoto su una zattera, insieme a uno dei suoi coinquilini più o meno molesti / aiutanti / antagonisti, ma il finale non è fiabesco come le funzioni dei personaggi, e la scelta è sempre più sfumata, non soggetta a interpretazioni necessarie. 

L’avvicendarsi delle tre parti dell’animazione è scandita da una citazione in esergo, che sembra abbinarsi proprio al percorso spirituale dei personaggi: “sento dentro di me intessersi una bugia”; “allora è persa la verità che non può esser vinta” e “ascolta ancora e segui il sole”. Spesso sappiamo dentro di noi che quello che stiamo agendo è una bugia e solo dopo un lungo periodo di ostinata perseveranza soccombiamo, e raggiungiamo quello che gli inglesi chiamano il nadir, cioè tocchiamo il fondo. Ma dopo l’esaurimento possiamo forse ascoltare ancora e ‘cercare il sole’.

Condividi: