Consolarsi con l’idea della sopravvivenza

Consolarsi con l’idea della sopravvivenza
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Nel 1968, nel Maryland, l’etologo John B. Calhoun costruì una valle incantata per topi. Un luogo ultra spazioso, pronto a ospitare fino a 3.800 esemplari, costantemente pulito, con cibo e acqua sempre a disposizione. Ce ne mise dentro quattro – due maschi e due femmine – selezionati accuratamente dal National Institute of Mental Health per scongiurare qualsiasi tipo di malattia congenita nella prole: i più sani di tutti i topi.
L’obiettivo di John Calhoun era di studiare i comportamenti dei roditori in condizioni di vita più che ottimali. Dopo un’iniziale euforia generativa, raggiunto un certo numero di elementi, i comportamenti dei topi iniziarono a cambiare.  Nell’Universo 25 – così fu chiamato l’esperimento – gli individui optavano per comportamenti aggressivi, o di completo isolamento sociale e sessuale. Venuta meno la necessità di sopravvivenza della specie, aveva perso valore anche l’istinto riproduttivo del gruppo.

Nel 2022 la ricercatrice Ayako Wada-Katsumata dell’Università statale della North Carolina ha pubblicato uno studio nel quale spiega come gli scarafaggi di sesso femminile abbiano cambiato radicalmente le loro prerogative riproduttive. La presenza di glucosio nei principali insetticidi e trappole ha determinato negli anni lo sviluppo di generazioni avverse a questo tipo di zuccheri. Così gli scarafaggi maschi – quelli ancora propensi a consumare glucosio – hanno visto via via ridotta la possibilità di accoppiarsi con le femmine più evolute.
Quando leggiamo questo tipo di storie, è facile sperimentare una forma strana di perturbamento, fare il gioco di paragonarle con l’esperienza umana, scorgere ossessivamente le somiglianze e le differenze tra le altre specie e la nostra. 

Scarafaggi e topi hanno una caratteristica in comune, che condividono con noi: si adattano estremamente bene e proliferano in ecosistemi che per tantissime altre specie sono resi invivibili dall’espansione dell’uomo. Le specie che non solo sopravvivono, ma addirittura si moltiplicano nel mondo plasmato a “immagine e somiglianza umana” diventano per noi quasi un nemico. Ed è questa somiglianza a rendere il paragone estremamente perturbante.
Non a caso, tornando all’Universo 25, per lo stesso John Calhoun l’intento primario era quello di ipotizzare mutamenti analoghi tra topi e umani in condizione di benessere e prosperità assoluti. Allo stesso modo, la storia della lenta estinzione degli scarafaggi attirati dal glucosio può ispirare immaginari nei quali questa difficoltà a riprodursi potrebbe toccare a qualche tipo di maschio umano – quello poco prestante, il depresso, quello che crede alle fake news?

Mangiare, bere, muoversi, procreare, dormire: è facile pensare alle cose che ci rendono animali e la questione riproduttiva è una di queste. Ma è una volta finita la conta delle somiglianze che entrano in gioco le differenze: 

La sessualità umana è labirintica,  non è governata dall’istinto animale né può ridursi al funzionamento di una macchina. I nostri fantasmi inconsci la rendono sempre deviante, stramba, perversa polimorfa – direbbe Freud.

Massimo Recalcati, La vita erotica ep. 04 – Incompatibilità tra amore e desiderio, storielibere.fm

Gli esseri umani, fin dall’inizio della storia, hanno scisso gli ambiti di riproduzione e sessualità. Fare sesso e procreare per noi sono concetti nettamente distinti, possiamo scegliere di fare l’uno escludendo totalmente l’altro – con metodi anticoncezionali o ricorrendo alla fecondazione assistita. Questo ci ha permesso nei secoli di concentrarci sulla sessualità scardinandola dal presupposto della fecondazione.

Negli ultimi anni siamo arrivati a solleticare zone profondissime ragionando sul sesso. Queste sono sempre più indagate, non solo rispetto a parametri biologici e scientifici, ma anche in relazione al benessere psicologico. Sappiamo che la sfera intima e sessuale è l‘ambiente ideale per una sperimentazione profonda del sé e del contatto con l’altro, l’oggetto del desiderio.
In Il sesso che verrà (2021), l’accademica e scrittrice britannica Katherine Angel presenta un’indagine sull’idea di consenso e sui suoi limiti, così come sul piacere, sull’autonomia e sull’immaginazione nella sfera sessuale, sfidandoci a mettere in discussione tanti dei dogmi che ci imponiamo.  Nel recente caso italiano, Ripartire dal desiderio (2020) Elisa Cuter propone una soluzione: curare se stessi come responsabilità a cui bisogna essere educati, esercitandola – appunto – a partire dal desiderio.

Oggi possiamo vivisezionare scientificamente e intellettualmente la sessualità: riflettere su piacere, godimento e desiderio in maniera distinta. Scavare in profondità significa inoltre decostruire gli schemi che hanno modellato le situazioni e i modi in cui facciamo sesso: il sentimento amoroso, la performatività, il ruolo.

Ma se la discussione è viva a livello accademico, nel dibattito pubblico l’educazione sessuale fatica a essere riconosciuta come un diritto. 
Gli spazi dove queste riflessioni si sviluppano sono echo chamber che permettono ad alcuni di iper approfondire, tenendo lontani coloro i cui feed vertono su altri interessi. Il fatto che la sessualità sia un tema importante per la nostra salute, non lo rende in automatico un fattore di azione urgente e necessaria per la collettività. La decostruzione e la contemplazione della sessualità, per ora, viaggiano su un binario che appena si sfiora con una seria e complementare azione istituzionale.

E’ ancora molto difficile scontrarsi con l’ignoranza di chi non ha mai approfondito l’argomento, riempire le lacune, confrontarsi con gli stessi strumenti, per poi concludere insieme: il sesso che verrà ripartirà dal desiderio!

L’arduo compito di parlarne, in questo scenario, ricade spesso sull’intrattenimento.
Too Hot to Handle è un reality show prodotto da Fremantle e distribuito da Netflix che si pone come obiettivo di insegnare a giovani ragazzi single a creare legami autentici. Come? Il montepremi scende ogni volta che tra i concorrenti accade qualcosa di sessuale. E piace tantissimo, il programma televisivo è stato il più visto su Netflix durante la sua prima settimana di uscita.
Un’assistente vocale di nome Lana ti impone di creare relazioni affettive frenando i tuoi impulsi sessuali, punendoti se non rispetti le regole. Milioni di persone guardano attente, forse divertite, di sicuro curiose.

Dall’altra parte, gli scorci che si aprono nel dibattito scientifico e filosofico non vengono veramente intercettati dalla collettività generalista, non riescono a diventare mainstream. La riflessione rimane il più delle volte cristallizzata nell’individualità ideologica – woke – piuttosto che in un concreto dibattito sociale democratico, affaticato anche da condizionamenti politici, religiosi, o comunque legati alla morale. I tentativi di tradurre il progresso in legge sono spesso fallimentari e si rivelano lenti rispetto alla corsa del pensiero. Nell’affrontare la questione prevale un senso di riluttanza, esitazione, incertezza o reticenza.

E’ troppo recente l’idea che abbiamo di sessualità come tema importante al quale dedicare riflessione e cura. Roba del secolo scorso. Prima degli studi di Kinsey, il sessuologo americano che rivoluzionò le ricerche sulla sessualità negli anni 50, per secoli si è giudicato moralmente deplorevole tutto ciò che trascendeva il fine procreativo dell’atto sessuale. La sentenza arrivava puntualmente dal buon costume sociale e includeva parole come “peccaminoso”, “immorale” o “perverso” – ancora oggi tutte parole con accezione negativa.
Il comportamento omosessuale, la masturbazione, il sesso orale, venivano visti come un godimento lussurioso, da non commettere o tuttalpiù da tenere nascosto.

Nel 1948 Alfred Kinsey pubblicò Sexual Behaviour in the Human Male, la prima parte dei risultati di un’ inchiesta statistica condotta nel campo del comportamento sessuale umano: il lavoro fu enorme, Kinsey e il suo team coinvolsero decine di migliaia di persone in interviste, raccogliendone poi 18.000 in un rapporto. L’obiettivo era consegnare alla scienza una documentazione statistica estesa e dettagliata su questo ambito del comportamento umano.
La ricerca presentava per la prima volta la Heterosexual-Homosexual Rating Scale – conosciuta semplicemente come “la scala Kinsey”, un metodo di classificazione dei gusti e comportamenti sessuali che rivoluzionò le conoscenze scientifiche dell’epoca. La scala agiva secondo un criterio di gradualità, sia tra individui distinti sia descrivendo il comportamento del singolo a seconda delle circostanze ambientali e temporali. Fino a quel momento era normale pensare gli individui come prevalentemente eterosessuali – o, per esclusione, omosessuali – e che l’astinenza sessuale fosse la norma.

Lo studio fu molto criticato. Oltre a ricevere obiezioni di tipo moralistico, vennero segnalati problemi nel metodo usato per la scelta del campione. Tuttavia, il dibattito che ne seguì permise alla scienza di riflettere sul tema in modo infinitamente più complesso rispetto a come era stato fatto fino a quel momento. La produzione scientifica accompagnò un cambiamento culturale che confluì nella depatologizzazione dell’omosessualità negli anni ‘90.

A poco a poco abbiamo allontanato alcuni tabù dalla nostra cultura, sempre più scientifica e gradualmente meno moralistica, ma si soffre ancora di una lentezza a decostruire, lasciare andare secoli di cultura del tabù.

Nell’ambiente dell’informazione e dei megafoni mediatici in generale, nonostante si riconosca l’importanza della tematica, si arranca nel trattarla apertamente, senza doppi sensi o giri di parole: nel rilassarsi.
Parlare di sesso e intimità fa paura, e nei casi in cui questa è mitigata dalla consapevolezza scientifica, il risultato è quasi sempre imbarazzante. Quando non lo è, è tragico: ci si intristisce per l’isolamento relazionale e sessuale degli hikikomori, si piange per i corpi svenduti delle onlyfanser e si ha paura dei giovani che stuprano per colpa degli esempi che trovano nei porno.

Per quanto riguarda, poi, l’azione istituzionale, nemmeno in questo ambito la questione della sessualità è una cosa seria come dovrebbe.
In Europa è stato reso obbligatorio l’insegnamento di sessualità e affettività fin da giovanissimi: in Svezia già nel 1955, in Germania dal 1968, in Danimarca, Finlandia e Austria dal 1970, in Francia dal 1998. In Italia non abbiamo ancora niente che permetta di dotarsi a livello nazionale di percorsi didattici che introducano i giovani ai temi che riguardano la società e le relazioni. Eppure ci sono state proposte negli anni, ne parla in maniera estesa e molto dettagliata Silvia Gola in un pezzo intitolato Educare alla sessualità sul Tascabile:

Non solo fa bene, ma i giovani la vogliono. Come si nota nell’Indagine nazionale sulla salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti (2019), è schiacciante la percentuale di studenti che ritengono che la scuola debba garantire l’informazione su sessualità e riproduzione: per alcuni dalle elementari (11%), per altri dalle scuole medie inferiori (50%) e per altri ancora dalle scuole superiori (32%). Al contrario, solo il 6% degli intervistati dichiara di non ritenere utile questo insegnamento. Da parte di ragazzi e delle ragazze esiste, dunque, una forte domanda per avere un’educazione all’affettività e alla sessualità.

Silvia Gola, Educare alla sessualità – A che punto siamo con l’educazione sessuale in Italia, il Tascabile

Rimanendo sui dati, c’è speranza: non stiamo correndo il rischio che la sessualità umana cambi in peggio, piuttosto le cose stanno migliorando lentamente. Nel 2019 l’istituto Censis con Bayer ha pubblicato un resoconto completo sui comportamenti sessuali degli italiani. La ricerca spiega come e quanto le persone fanno sesso, il loro rapporto con il piacere, se conoscono le norme di sicurezza – infettive e contraccettive – e dedica l’ultima parte alla descrizione del cambiamento avvenuto rispetto al 2000, in vent’anni. Si nota che le persone sono sempre più convinte che sessualità e amore siano separabili  – l’80% degli intervistati del 2019 a fronte del 50% del 2000. Cresce la consapevolezza, ma non si traduce in niente di concreto: i dati sulla frequenza dell’attività sessuale non sono cambiati notevolmente. Possiamo pensare che ciò che manca siano gli strumenti di comprensione: un bagaglio di conoscenze apprese per riconoscere le dinamiche con le quali si manifestano la nostra sessualità, le relazioni e il piacere.

In migliaia di anni abbiamo viziato il piacere del palato, modificandolo culturalmente. Mangiare, da bisogno necessario per la sopravvivenza, è diventato godimento e appagamento del gusto personale – anche sforando i limiti della sostenibilità. Ci piace raccontare quanto è bello mangiare, ci viene l’acquolina in bocca nel pensare a qualcosa di cui avremmo voglia, e la cosa non ci imbarazza più di tanto. E’ bello mangiare e godere mangiando. Provare a fare lo stesso discorso su come viviamo la sessualità è molto difficile e sembra psichedelico.

Pensare individualmente alla propria sessualità si porta appresso la questione sociale, della procreazione, dell’eterosessualità, della castità. Eppure, non è altrettanto psichedelico – quanto piuttosto verosimile – immaginare un prossimo futuro con spazi di dialogo safe nei quali esprimere in libertà il proprio piacere e le proprie emozioni al di là del sentimento amoroso. Un futuro nel quale le nuove generazioni non si sentiranno frustrate a esporsi.

Chiuderò con delle riflessioni che hanno a che fare con quella sensazione di imbarazzo che si prova quando si scopre gradita una cosa alla quale a priori non ci si era voluti avvicinare. E’ una sensazione particolare, lì per lì ancora da razionalizzare, è difficile ammettere di esserci sbagliati. L’imbarazzo è forte soprattutto perché non si manifesta nei confronti dell’altro, quanto più in noi stessi: da quanto ci piaceva fare quella cosa? Perché prima non ci aveva mai intrigato il pensiero?  Perché ci sta piacendo qualcosa che ritenevamo così lontana da noi – o che giudicavamo moralmente?

La difficoltà nel rispondere a queste domande è la stessa che ci ha abituati a pensare ad alcune condotte sessuali come qualcosa di perverso, deplorevole, animale. Sono socialmente immorali e coloro che le praticano diventando aborti evolutivi, inumani, possono essere sottoposti a castrazione chimica!

E nel profondo di noi stessi, a volte, nel fare quella cosa a letto che non racconteremmo a nessuno, ci siamo detti di aver agito per istinto. E’ facile sperimentare nell’arco della vita la consolazione di sapersi animali, di dover sottostare – appunto – all’istinto per sopravvivere. Pensarci come topi o scarafaggi. Ma spesso si tratta solo di una consolazione depressa, che protegge la vulnerabile paura di affrontare le parti più profonde di sé.

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