Essere stanca

Essere stanca
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Sono stanca di essere stanca. Vorrei poter riposare per un tempo infinito. Vorrei un riposo che sia efficace, non un palliativo per poi potersi immergere nella giornata successiva con quel dieci percento di batteria in più, come se fossi un automa con i cavi difettosi. Dormire quel sonno che ti fa sentire vitale, energica, che risana l’amore per se stesse e la vita. Ho scoperto sulla mia pelle che la stanchezza può cronicizzarsi e diventare una sindrome: un insieme di sintomi e di segni che non fanno riferimento a una patogenesi o a una eziologia, a differenza della malattia. La stanchezza, o fatica cronica, si presenta senza motivi apparenti perché quando arriva nella tua vita non ci sono stati cambiamenti evidenti ed è proprio questo a renderla elusiva e desolante.

Io ho riflettuto a lungo sulla mia stanchezza. Ha un effetto importante sulla mia vita. Cose che prima riuscivo a gestire bene diventavano grandi e pesanti. Una cosa in particolare diventa difficile da gestire: il suono, il rumore. La musica a volume troppo alto mi fa perdere l’equilibrio. Stare per ore in un ambiente con la musica alta ha l’effetto di una sbronza: il giorno dopo il mio corpo è indolenzito, le gambe sembrano fatte di legno, la testa dolente rifiuta di concentrarsi su qualsiasi compito mentale.

Forse l’effetto più importante di questa stanchezza è che ho dovuto lasciare il lavoro. Avere musica ad alto volume per otto ore di fila, nel bar dove lavoravo tre giorni a settimana, mi ha lentamente portato a una spossatezza insolubile. Non erano i dieci chilometri che percorrevo tra i tavoli, non erano i secchi di ghiaccio o le casse di bottiglie da spostare, era la musica. Il rumore ha un effetto immediato sul mio corpo e questa forse è la cosa più sgradevole. Quando c’è molto rumore succedono due cose: diventa più difficile muovere il mio corpo nello spazio, diventando maldestra, rompendo bicchieri, rovesciando bottiglie; inoltre il mio cervello perde la capacità di formulare pensieri verbali. Al bar, per turni interi le uniche parole che riuscivo a scambiare erano quelle con i clienti, seguendo il copione prestabilito, mentre le chiacchiere con i colleghi erano impensabili. 

Proteggere la mia energia è diventato un compito fondamentale da quando mi sono resa conto dell’effetto che ha la stanchezza sui processi mentali. Stanchezza significa rabbia, depressione, senso di impotenza. Penso che la situazione sia appesantita dal fatto di vivere in una società che ti dice che se ti impegni ce la fai. Il problema della stanchezza cronicizzata è che l’impegno ti costa molto caro. Se vai in palestra e ti alleni con impegno, il dolore muscolare che si presenta i giorni seguenti è tale che ti vengono i sintomi dell’influenza, febbre compresa. Concentrarsi sullo studio per diverse ore di seguito implica che per i tre giorni successivi non potrai leggere nessun testo più lungo di cinque righe perché il cervello si farà inondare di pensieri intrusivi. Cosa significa allora impegnarsi quando ne va della tua salute fisica e mentale? 

Henrik Ibsen, drammaturgo norvegese del XIX secolo, scrive: “…qualora l’uomo possieda in sé stesso realmente un qualche influsso sul suo destino, ciò accadrebbe in un grado ancora più elevato se possedesse una sufficiente conoscenza di sé per conformare sempre le sue azioni alle forze che ha a disposizione, e per conoscere sempre in modo bastante le proprie inclinazioni, cosicché queste non gli prendano la mano”. La fatica cronica va ad intaccare la precaria conoscenza di sé: si finisce per sovrastimare cronicamente le proprie forze, basandosi sul ricordo di chi eravamo, finendo per svuotarsi completamente. 

Il percorso della guarigione procede non tanto attraverso la medicina quanto imparando a conoscere questa nuova persona di cui ora occupiamo il corpo. Esplorare le proprie forze senza pregiudizi. Imparare da capo cosa significa “impegnarsi” trovando il giusto equilibrio tra sforzo e sopravvivenza. Eppure qui c’è una componente di privilegio da non sottovalutare: poter diminuire la propria produttività fino a ritrovare un livello di attività che si conforma con la nostra possibilità reale ha degli effetti economici. La mia esperienza personale mi ha portato a lasciare il lavoro e sostare per diversi mesi. Potersi isolare e prendere una pausa dalle pressioni sociali, cercare il silenzio fuori e dentro di sé sono elementi centrali in questo tragitto pieno di détour. Quello che voglio però, non è tanto smettere di essere stanca – anche perché le nostre energie non sono accumulabili come si accantona il denaro. Voglio tornare a essere stanca per quello che faccio, non solo perché esisto. Ogni miglioramento è precario, ma più capisco la mia stanchezza, più riesco a decidere per cosa essere stanca.

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