Mettere in pratica l’utopia

Mettere in pratica l’utopia
© Bruno Munari. Tutti i diritti riservati alla Maurizio Corraini s.r.l.
[Tempo di lettura: 6 pignalenti]

Da un po’ di tempo quando mi sveglio la mattina, metto su la caffettiera e poi mi siedo a leggere ad alta voce le filastrocche di Gianni Rodari. Spesso provo a immaginarne di nuove: una filastrocca su una nave in cielo, un’altra su una cicala che si fuma una sigaretta, un’altra ancora su un fiore che balla il tip tap. È il mio quotidiano esercizio di Fantastica. 

Il libro in questione è Filastrocche in cielo e in terra nell’edizione di Einaudi ragazzi, illustrata da Altan. Un piccolo cimelio che mi porto dietro, di casa in casa, da quando sono piccola. Il testo si apre con una filastrocca che s’intitola “Il dittatore” e fa così:

Un punto piccoletto, 
superbioso e iracondo, 
“Dopo di me – gridava-, 
verrà la fine del mondo!”

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto-e-basta, 
e non è che un Punto-e-a-capo.

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso, 
e il mondo continuò
una riga più in basso.

In queste poche righe sono condensati alcuni dei tratti più importanti della scrittura e dell’immaginario di Rodari: giocare con i significati e i significanti, fare esercizio di fantasia, unire infanzia e politica. Lo scrittore per anni prenderà appunti per la teorizzazione di una Fantastica – uno strumento di immaginazione che non solo rende possibile l’incontro tra parole slegate semanticamente ma che diventa anche uno strumento di utopia politica. Pensiamo a una balena e un’altalena che si scontrano. Rodari lo chiama “binomio fantastico”, può creare realtà inedite: una balena sull’altalena? un’altalena sott’acqua con una balena che le gira intorno? Ma soprattutto ci può far pensare a un mondo diverso, come scrive lo stesso Rodari: “Non bisogna avere paura delle cose che non ci sono. Bisogna aggiungere le cose che non ci sono a quelle che ci sono già. Bambini non disegnate un cane, disegnate animali che non abbiano ancora abbaiato. Seminate nel mare pesci con sette code. Regalate all’aria uccelli dalle ali fiorite”. 

Rodari raccoglie tutti i suoi appunti sulla Fantastica in un saggio uscito nel 1973, intitolato Grammatica della Fantasia. Un compendio su come inventare storie, un primo passo per imparare a teorizzare mondi possibili, perché se posso immaginare qualcosa posso anche praticarlo. Traslare l’esercizio fantastico dall’utopia alla pratica: per questo servono delle linee guida, perché possiamo tutti e tutte esercitare la nostra fantasia, uno strumento democratico. 

Gianni Rodari ha scritto molto ed è ricordato poco, ancora relegato a scrittore per bambini, un autore di serie b, non un intellettuale, emarginato in un piccolo angolo dedicato ai saltimbanchi. 

Solo nel 2020, anno che coincideva con i cento anni dalla nascita dello scrittore, c’è stata una piccola rinascita di studi sull’autore, celebrazioni e festival, panel e conferenze, ma il lavoro più profondo e completo è stato curato da Vanessa Roghi, storica e scrittrice. Proprio nel 2020 pubblica Lezioni di Fantastica. Storia di Gianni Rodari per Laterza, una ricostruzione biografica che si divincola dalla sola narrazione storiografica ma che si immerge nella figura prismatica dell’autore: scrittore, militante, intellettuale, maestro. Certamente non solo uno scrittore di serie b. 

Da poco Vanessa Roghi è tornata in libreria con Un libro d’oro e d’argento. Intorno alla Grammatica della Fantasia di Gianni Rodari, edito da Sellerio. Un testo approfondito che ci fa entrare nel mondo della Fantastica, scoprendo lo studio approfondito di Rodari e i testi con cui si è confrontato durante i suoi anni di ricerca: 

“Il lavoro di Rodari diventerà un’incessante ricerca di strumenti per rendere la Fantastica qualcosa che incida non solo nella vita dei poeti ma di tutti, uno strumento politico. […] La creatività secondo Rodari è un procedimento e, in quanto tale, può essere allenata. […] Non è certo l’unico a pensarlo, ma è uno dei pochi che pensa debba riguardare proprio tutti, questa scoperta. Un altro è Bruno Munari, che illustrerà moltissimi libri di Rodari su incarico di Einaudi. Entrambi devono moltissimo alla lezione di John Dewey, il filosofo americano che a cavallo fra Ottocento e Novecento ha rifondato non solo la tradizione pedagogica occidentale, ma anche il senso della necessità di una educazione artistica per tutti e per ciascuno. Ogni bambino o bambina deve essere trasformato in un critico, a patto di ripensare l’idea stessa di critica. La critica tradizionale, secondo Dewey, confonde i suoi gusti con giudizi assoluti. Quando invece il suo compito consisterebbe nella «rieducazione alla percezione delle opere d’arte», ovvero nello sforzo di favorire una sua autentica comprensione”. 

Vanessa Roghi riesce a costruire una geografia intorno alla figura di Gianni Rodari, il suo approccio è più ampio, riesce a mettere in connessione il Rodari scrittore con il Rodari pedagogo. Roghi, negli ultimi anni, si è occupata principalmente di storia della scuola, ha scritto su Don Milani e Mario Lodi, ed è sempre stata in grado di far dialogare questi autori, non solo inserendoli in una traiettoria storicizzata quanto domandarsi quale eredità è utile nel presente. Come in Rodari la Fantastica è pratica, allenamento, in Roghi la storia della scuola è strumento per modificare il presente, per chiedersi sempre: a che punto siamo? In quest’ultimo libro l’approccio di Roghi è ancora più manifesto: Grammatica della Fantasia è un testo per bambine e bambini, è vero, ma fondamentalmente è un testo di educazione politica. Rodari teorizza il conflitto e lo fa coincidere con la Fantastica.  Grammatica della Fantasia scrive allora Roghi è un testo per esercitare l’utopia: “occorre insegnare ai nonni e ai bambini a inventare storie, è vero, ma anche a immaginare un mondo diverso”. Nella sua analisi, Roghi ricostruisce non solo le influenze letterarie di Rodari ma soprattutto quelle pedagogiche, che spaziano da Dewey fino ad autori sovietici, come Anton Semënovič Makarenko. Conflitto è una parola che appare proprio nei testi di Makarenko, ma anche co-esistenza e collaborazione, tutti termini che utilizzano il prefisso “con” che serve a indicare che le cose vanno fatte assieme. La pedagogia è quindi sinergia collettiva, un incontro. Continua Roghi: 

“Un prefisso può tanto, lo sappiamo, lo scrive anche Rodari in un capitolo della Grammatica dove parla proprio del «prefisso fantastico» per inventare storie nuove: lo staccapanni al posto dell’at- taccapanni, per esempio, dove chi è povero può andare e prendersi un cappotto. Si può passare, così, «dal prefisso all’utopia». Perché non è vietato per niente immaginare «una città futura in cui i cappotti siano gratuiti come l’acqua e l’aria. E l’utopia non è meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza (alla quale Gramsci prescrive giustamente il pessimismo metodico) a quello della volontà (la cui caratteristica principale, secondo lo stesso Gramsci, dev’essere l’ottimismo).”

Rodari non solo fa politica nel suo saggio ma ne crea una pratica replicabile, la sua tecnica di creazione fantastica è pronta all’uso, è strumento democratico. Allora quello che viene da chiedersi una volta finito di leggere il libro è, cosa è rimasto della sua teorizzazione? in quale interstizio si è nascosta l’eredità rodariana?

Se inizialmente credevo che il valore del lavoro di Vanessa Roghi fosse fare luce sulle biografie impolverate, con il passare del tempo e con le riletture mi sono resa conto che la grande capacità della teorica è far notare come una rivoluzione linguistica e politica di tale portata non sia stata canonizzata: Rodari non è nei manuali di scuola, continua a essere ricordato come uno scrittore per bambini e viene completamente elusa la sua militanza e il suo progetto politico educativo.

Mi ricordo che quando stavo raccontando la mia ricerca su Rodari a uno dei miei professori universitari, mi rispose “ah Rodari, quel folletto”: vi immaginate definire Pasolini o Moravia, un folletto? Allora mi chiedo se forse il problema non è la scarsa o quasi nulla considerazione dei bambini e delle bambine nella nostra società. Di quanto l’infanzia sia ancora un accumulo di regole, “vietate correre e giocare”, e non un dialogo, un terreno fertile e dinamico di conoscenza e scoperta. Roghi intitola il secondo capitolo del suo libro: servire ai bambini, non servirsi di loro (citando Rodari), e scrive: “Quando Rodari inizia a inventare storie per i bambini e le bambine, negli anni Cinquanta del Novecento, si stanno facendo strada alcune idee di infanzia a volte in fiera opposizione tra di loro. […] Si deve, infatti, decidere cosa farsene dei bambini, adesso. La Costituzione tutela l’infanzia, ma i bambini, in quanto cittadini, sono cittadini del futuro non del presente. La cittadinanza dei bambini, la loro partecipazione attiva e non passiva al processo di costruzione della democrazia, è un tema su cui in molti stanno riflettendo.”

Democrazia, infanzia, bambini, Fantastica non sono parole proibite. Sono parole del presente e del futuro che sembrano essersi nascoste in un angolino della memoria, mangiucchiate da una piccola tarma che ignora quanto è divertente e importante giocare con le parole immaginando cose che non esistono.

Gianni Rodari rimane un scrittore presente nell’immaginario collettivo, i suoi libri si trovano nelle biblioteche e nei mercatini dell’usato, sue citazioni – molto spesso storpiate – circolano ovunque online, gli hanno intitolato parchi e vie in varie città italiane. Rodari rimane più popolare che studiato, più citato che approfondito. Quando nel 1973 scrive e pubblica la Grammatica della fantasia puntualizza che il suo è un piccolo mattoncino di un processo in corso, l’inizio degli studi sulla Fantastica e sull’arte di inventare storie. Mi sembra però che, se da un lato il mondo Rodari sia conosciuto, ben pochi sono stati gli studi di ampliamento della Fantastica e delle sue teorie. Mi sembra che il sasso lanciato nello stagno, per citare lo stesso Rodari, non abbia creato nuove onde concentriche e anzi sia andato giù a fondo, svanito nella sabbia. A volte si cercano nuove parole o nuovi metodi, ma si ignorano quelli che ci sono già, solo perché silenti o ingiustamente dimenticati. È necessario far rientrare la Grammatica della fantasia nelle scuole, nelle aule, nelle discussioni, nel lavoro culturale. La scintilla della Fantastica è una piccola rivoluzione che dobbiamo smettere di ignorare. 

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